Parigi, d’antichi Lutezia, triste suono della calma Senna al chiaroscuro dei boulevards, alcova di raminghi e borghesi, non sei che terra di uomini.
Oggi vado, ramingo tra i volti, evaso dalla mia prigione d’oro, ed anch’io non so più chi sono– forse un pio che resuscita i morti… forse un reo, mendicante perdono–
Osserva la terra lacerata, trafitta dai papaveri vermiglio e dall’erba rigogliosa, dalla formica operosa e da tutta la minuzia viva.
Svanì rapido col suo mistero. Era il baleno, l’istante del bocciolo dischiuso, aperto e già concluso nel suo profumo aitante.
O mosca nera, nel calice caduta, morta ebbra del mio vino, tomba più dolce non puoi bramare.
L’uomo che a me porge la sua mela appare agli altri il Diavolo tenta… ma occhi non ha di tentazione. Ci accomuna un’inquietudine serena…
L’insonnia sopisco col dolce quieto vino. Già più non ho parole nel mio cuore stanco. Allo sguardo ogni cosa
Parigi, il tonfo d’un sasso, nella tua Senna caduto, pare il cuore. Parigi, terra umana d’umani addii,
Guardo le strade ricolme di gente, o me ferito da sentenze innocue. Ascolto d’esse l’infelice niente sparso per sillabe confuse e roche… E sento il cuore, spento di speran…
Mi parrà di morire nell’ora di un bacio quando calde salive fonderanno le anime. Quali enigmi di ghiandole,
Ramingo per lidi evanescenti, andavo, intriso di libertà scadent… presso uno sciabordio di vetro, fuggendo dai cementi informi nel meriggio d’un dì mortuario.
Ebbe così albore l’ultimo declino, alzandosi quel fungo velenoso sull’uomo inerme al suo destino. Poi ancora l’ardore indecoroso: il soldato decorato
La notte mia trascorro in ebbri stinti sguardi. Il bello ammiro, il dolce male, delle sfumate cose. Il brutto del mio aspetto ignoro.
Vorrei trovarmi ancora in interminabili respiri, nei miei passi distanti di creatura carnale, essere in amore. Sarei leggero
Tardiva di un’ora un’ora t’ho attesa, sorella mia buona che lasciai bambina. In quell’ora, sospesa,