Svanì rapido col suo mistero. Era il baleno, l’istante del bocciolo dischiuso, aperto e già concluso nel suo profumo aitante.
Lambisci pure, o luce d’oro, i miei mattini d’ombra. Campisci il cielo del tuo inchiostro chiaro… Quando sparuta alla riviera ti sporgi, s’incorona il mare
Chissà se la volontà s’incrini all’impotenza del volere dinnanzi al fatto necessario, o se l’atto sempre sia contrario al caotico destino.
E tu, di Minerva ministra, che per trecce infuocate coroni il tuo capo, hai un cuore tra i seni e lo servi al destino?
Parigi, d’antichi Lutezia, triste suono della calma Senna al chiaroscuro dei boulevards, alcova di raminghi e borghesi, non sei che terra di uomini.
Canta qui un murmure: madide punte cadute per sorte ai reduci arbusti… e il crocchio della suola sugli ad… fuscelli in rovina, vene consunte raccolte sui tronchi rigidi e spog…
Dannati quei poeti che non dissero con pia voce di follia, ai calmi delittuosi timpani di fulgenti divise decorate, a mani avide brandenti saluti
L’insonnia sopisco col dolce quieto vino. Già più non ho parole nel mio cuore stanco. Allo sguardo ogni cosa
Colsi, chino, la bellezza, tutta chiusa in una sfera, dispersa nella bufera aprilina d’una brezza.
Pantani di bitume innaffia l’acqua… crosciando violenta sui catrami sm… Come sporcizia laida e incrostata, scalcina la grazia dai prometei vo… Oltre la cupola, sferzata dai nimb…
Domani, mia guerra e martirio, linfa del giglio e dell’acanto, sarai rugiada nel mattino, goccia tenera, in sè racchiusa, più resiliente e gracile struttura
Oggi vado, ramingo tra i volti, evaso dalla mia prigione d’oro, ed anch’io non so più chi sono– forse un pio che resuscita i morti… forse un reo, mendicante perdono–
Ombra notturna, lugubre forma, luce che sei, sospesa, accogli gli occhi miei, dai sogni ormai perduti tormentati, in questa veglia buia!
La roccia non disgrega al colpo della goccia e, pare strano, ma vano è lo scalpello aguzzo sul mio cristallo duro.
Fu un istante dal tuo poggiolo. Fu un raggio, emerso da un cumulo di nuvole eburnee. Tu, elevata, a leggere sedevi, a me donata dal Caos benevolo d’un destino.