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L’Asfodelo

Glauco.

ODERBE, approda un fiore d’asfodelo!
Chi mai lo colse e chi l’offerse al mare?
Vagò sul flutto come un fior salino.
 
O Derbe, quanti fiori fioriranno
che non vedremo, su pè fulvi monti!
Quanti lungh’essi i curvi fiumi rochi!
 
Quanti per mille incognite contrade
che pur hanno lor nomi come i fiori,
selvaggi nomi ed aspri e freschi e molli
 
onde il cuore dell’esule s’appena
poi che il suon noto par rendergli odore
come foglia di salvia a chi la morde!
 

Derbe.

Io so dove fiorisce l’asfodelo.
Là nel chiaro Mugello, presso il Giogo
di Scarperia, lo vidi fiorir bianco.
 
Anche lo vidi, o Glauco, anche lo colsi
in quell’Alpe che ha nome Catenaia,
e all’Uccellina presso l’Alberese
 
nella Maremma pallida ove forse
ei sorride all’imagine dell’Ade
morendo sotto l’unghia dei cavalli.
 

Glauco.

O Derbe, anch’io errando su i vestigi
della donna letèa, vidi fiorire
tra Populonia e l’Argentaro il fiore
 
della viorna. Tutto le sorelle
bianche il bosco aspro nelle delicate
braccia tenean tacendo, e i negri lecci
 
e i sóveri nocchiuti al sol di giugno
dormivan come venerandi eroi
entro veli di spose giovinette.
 

Derbe.

In Populonia ricca di sambuchi
io conobbi il marrubbio che rapisce
l’odor muschiato al serpe maculoso
 
e l’ebbio che colora il vin novello
di sue bacche e lo scirpo che riveste
il gonfio vetro dove il vin matura.
 

Glauco.

La madreselva come la viorna
intenerire del suo fiato i tronchi
vidi a Tereglio lungo la Fegana,
 
e il giunco aggentilir la Marinella
di Luni, e su pe’ monti della Verna
l’avornio tesser ghirlandette al maggio.
 

Derbe.

I gigli rossi e crocei ne’ monti,
alla Frattetta sotto il Sagro, io vidi;
anche alla Cisa in Lunigiana, e all’Alpe
 
di Mommio dove udii nel ciel remoto
gridar l’aquila. Spiriti immortali
pareano i gigli nell’eterna chiostra.
 
La bellezza dei luoghi era sì cruda
che come spada mi fendeva il petto.
Con un giglio toccai la grande rupe,
 
che non s’aperse e non tremò. Mi parve
tuttavia che un prodigio si compiesse,
o Glauco, e andando mi sentii divino.
 

Glauco.

Nella Bocca del Serchio, ove la piana
sabbia vergano oscuramente l’orme
dei corvi come segni di sibille,
 
il narcisso marino io colsi, mentre
l’ostro premea le salse tamerici,
i cipressetti dell’amaro sale.
 
Lo smílace conobbi attico; e al Gombo
anche conobbi il giglio ch’è nomato
pancrazio, nome caro ai greci efèbi;
 
e tanto parve ai miei pensieri ardente
di purità, che ai Mani dell’Orfeo
cerulo io lo sacrai, al Cuor dei cuori.
 

Derbe.

O Glauco, noi facemmo della Terra
 
la nostra donna ed ogni più segreta
grazia n’avemmo per virtù d’amore.
 
Come il Sole entri nella Libra eguale,
ti condurrò su i monti della Pieve
di Camaiore, e alla Tambura, e ai fonti
 
del Frigido, e lungh’essa la Freddana
dietro Forci, e nell’Alpe di Soraggio,
che tu veda fiorir la genziana.
 

Glauco.

Bella è la Terra o Derbe, e molto a noi
cara. Ma quanti fiori fioriranno
che non vedremo, nelle salse valli!
 
Le Oceanine ornavan di ghirlande
i lembi della tunica a Demetra
piangente per il colchico apparito.
 
Com’entri nello Scòrpio il Sole, o Derbe,
ti condurrò su i pascoli del Giovo
in mezzo ai greggi delle pingui nubi,
 
perché tu veda il colchico fiorire.
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