Supino al fianco d’una venere —nel vuoto che succede al culmine— ho perduto la scienza d’esistere. Poco più d’un respiro è valsa questa piena assenza del vivere.
Ebbe così albore l’ultimo declino, alzandosi quel fungo velenoso sull’uomo inerme al suo destino. Poi ancora l’ardore indecoroso: il soldato decorato
Lambisci pure, o luce d’oro, i miei mattini d’ombra. Campisci il cielo del tuo inchiostro chiaro… Quando sparuta alla riviera ti sporgi, s’incorona il mare
Ti sei spenta, fiamma dolce. Ed ora è fredda, ora è amara, l’aria satura del tuo fumo.
Ramingo per lidi evanescenti, andavo, intriso di libertà scadent… presso uno sciabordio di vetro, fuggendo dai cementi informi nel meriggio d’un dì mortuario.
L’insonnia sopisco col dolce quieto vino. Già più non ho parole nel mio cuore stanco. Allo sguardo ogni cosa
Il sole a filo del germoglio gravido, limone appeso, un globo smusso di quarzo citrino. E dietro la quiete
E tu, di Minerva ministra, che per trecce infuocate coroni il tuo capo, hai un cuore tra i seni e lo servi al destino?
T’ho amata sul Tevere, torbide acque corsiere, sapendoti perduta. Chissà in quali riviere, nota sconosciuta,
Chissà se la volontà s’incrini all’impotenza del volere dinnanzi al fatto necessario, o se l’atto sempre sia contrario al caotico destino.
Ti sia questa sete proibita se già credi che non berrai più, mio giovane amico innamorato in questa festa che è la mia tortu… Non giova al puledro il seno cavo
Pantani di bitume innaffia l’acqua… crosciando violenta sui catrami sm… Come sporcizia laida e incrostata, scalcina la grazia dai prometei vo… Oltre la cupola, sferzata dai nimb…
La roccia non disgrega al colpo della goccia e, pare strano, ma vano è lo scalpello aguzzo sul mio cristallo duro.
Domani, mia guerra e martirio, linfa del giglio e dell’acanto, sarai rugiada nel mattino, goccia tenera, in sè racchiusa, più resiliente e gracile struttura
La notte mia trascorro in ebbri stinti sguardi. Il bello ammiro, il dolce male, delle sfumate cose. Il brutto del mio aspetto ignoro.