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Antonia Pozzi

Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – Milano, 3 dicembre 1938) è stata una poetessa italiana. Biografia Figlia di Roberto Pozzi, importante avvocato milanese, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, Antonia scrive le prime poesie ancora adolescente. Studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove intreccia con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, una relazione che verrà interrotta nel 1933 forse a causa di forti ingerenze da parte dei suoi genitori. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, frequentando coetanei quali Vittorio Sereni, suo amico fraterno, Enzo Paci, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, e segue le lezioni del germanista Vincenzo Errante e del docente di estetica Antonio Banfi, forse il più aperto e moderno docente universitario italiano del tempo, col quale si laurea nel 1935 discutendo una tesi su Gustave Flaubert. Tiene un diario e scrive lettere che manifestano i suoi molteplici interessi culturali, coltiva la fotografia, ama le lunghe escursioni in bicicletta, progetta un romanzo storico sulla Lombardia, studia tedesco, francese e inglese viaggia, pur brevemente, oltre che in Italia, in Francia, Austria, Germania e Inghilterra, ma il suo luogo prediletto è la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne, nella provincia di Lecco, dove si trova la sua biblioteca e dove studia, scrive a contatto con la natura solitaria e severa della montagna. Di questi luoghi si trovano descrizioni, sfondi ed echi espliciti nelle sue poesie; mai invece descrizioni degli eleganti ambienti milanesi, che pure conosceva bene. La grande italianista Maria Corti, che la conobbe all’università, disse che «il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi. Era un’ipersensibile, dalla dolce angoscia creativa, ma insieme una donna dal carattere forte e con una bella intelligenza filosofica; fu forse preda innocente di una paranoica censura paterna su vita e poesie. Senza dubbio fu in crisi con il chiuso ambiente religioso familiare. La terra lombarda amatissima, la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili». Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrisse quell’anno a Sereni. A soli ventisei anni si tolse la vita mediante barbiturici in una sera di dicembre del 1938, nel prato antistante all’abbazia di Chiaravalle: nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale»; la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento della Pozzi fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite. È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo: il monumento funebre, un Cristo in bronzo, è opera dello scultore Giannino Castiglioni. La poesia Parte dal crepuscolarismo di Sergio Corazzini: «Appoggiami la testa sulla spalla / che ti carezzi con un gesto lento [...] Lascia ch’io sola pianga, se qualcuno / suona, in un canto, qualche nenia triste» per poi interiorizzarlo: «vivo della poesia come le vene vivono del sangue», scrive. E infatti cerca di esprimere con le parole l’autenticità dell’esistenza, non trovando verità nella propria. Quanto riservata e rigorosa fu la sua breve vita, altrettanto le sue parole, secondo la lezione ermetica, «sono asciutte e dure come i sassi» o «vestite di veli bianchi strappati», ridotte al «minimo di peso», come le descrisse Montale, parole che trasferiscono peso e sostanza alle immagini, per liberare l’animo oppresso ed effondere il sentimento nelle cose trasfigurate. Dall’espressionismo tedesco trae atmosfere desolate e inquietanti:«le corolle dei dolci fioriinsabbiate.Forse nella nottequalche ponte verràsommerso.Solitudine e pianto –solitudine e piantodei larici» oppure:«All’alba pallidi vedemmo le rondinisui fili fradici immotespiare cenni arcani di partenza» o anche: «Petali violami raccoglievi in gremboa sera:quando batté il cancelloe fu oscurala via del ritorno» La crisi di un’epoca s’intreccia alla sua tragedia personale e se, come scrisse in una lettera, «la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare», quel dolore non si placa nella sua poesia ma, come un fiume carsico, ora vi circola sotterraneo e ora emerge e tracima, sommergendo l’espressione poetica nel modo stesso in cui travolse la sua vita. Antonia Pozzi nel cinema Antonia Pozzi è stata raccontata nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada Poesia che mi guardi, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, tenutasi nel 2009. In occasione del centenario della nascita della poetessa, i registi lecchesi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania hanno realizzato un film documentario prodotto da Emofilm intitolato “Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa”, presentato in anteprima a Lecco e Pasturo nel marzo 2014.Il 19 febbraio 2016 esce in sala al Cinema Mexico di Milano il film sulla sua vita intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino, con Linda Caridi nel ruolo di Antonia Pozzi. È citata in Chiamami col tuo nome, uscito nel 2017, dal personaggio di Marzia (Esther Garrel) che riceve un libro di sue poesie dal protagonista, Elio (Timothée Chalamet). Nel film, ambientato nell’estate del 1983, Elio dona a Marzia una copia dell’edizione Garzanti di Parole curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino per la collana Poesia. Questa edizione nella realtà è comparsa per la prima volta nel 1989.

Franco Fortini

Franco Fortini, nato Franco Lattes (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994), è stato un poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano. Figura controversa, è annoverato da alcuni tra le personalità più interessanti del panorama culturale del Novecento. Biografia Franco Fortini nasce da Dino Lattes, avvocato livornese di origine ebraica, ed Emma Fortini del Giglio, cattolica non praticante. La fanciullezza I primi anni di vita di Fortini lasciarono nello scrittore ricordi dolorosi che riappariranno nei suoi scritti e nelle sue poesie. Il padre aveva partecipato come volontario alla guerra del '15-'18 e aveva sposato Emma l’anno precedente al rientro dal fronte di Asiago. In seguito si era iscritto al Partito repubblicano e aveva partecipato attivamente alla vita politica, ma il rifiuto ad iscriversi al Partito fascista gli aveva precluso la carriera professionale. Uomo colto, appassionato di musica, collaboratore di fogli satirici e del quotidiano fiorentino il “Fieramosca”, frequentava artisti e letterati e la sua biblioteca era ricca di testi eterogenei: Jahier, Lucini, Barbusse, la Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, I doveri dell’uomo di Mazzini. La madre era un’appassionata lettrice di romanzi che prendeva in prestito dalla Biblioteca Circolante del Gabinetto Vieusseux insieme ai libri per il figlio. Franco ricorda di aver letto, tra il 1924 e il 1926, nella casa dei cugini materni, Gli esempi di bello scrivere del Fornaciari, un’antologia scolastica tra le più diffuse dell’Ottocento, le poesie del Giusti, le Novelle della nonna che egli chiamerà la sua “letizia infantile”, Jules Verne, De Amicis e più tardi Pinocchio. Nonostante la diversa estrazione religiosa, i coniugi Lattes non erano praticanti e Franco crebbe in un ambiente laico. Della sua casa non riporta precisi ricordi, perché la famiglia Lattes cambia spesso abitazione, passando da pensioni ad appartamenti ammobiliati, subendo anche dei pignoramenti. La casa che ricorda è quella di via Rondinelli, vicino al Duomo, dalle cui finestre egli assiste al passaggio in auto di Mussolini. Nel periodo dell’infanzia, Franco assiste numerose volte ad episodi di violenza che gli rimangono impressi nella memoria, come il pestaggio a cui accennerà nella poesia Milano 1971 dopo le cariche della polizia alla Facoltà di Architettura di Milano: «Avevo cinque anni quando vidi i fascisti picchiare / uno che non aveva salutato la bandiera». Nel luglio del 1925 nasce la sorella Valeria e nello stesso anno il padre viene arrestato con l’accusa di aver collaborato con il gruppo “Non mollare” di Salvemini e dei fratelli Rosselli e da allora sarà sempre sospettato di attività contro il regime. Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre vi è una sanguinosa sparatoria innescata da fascisti vicino al mercato di San Lorenzo (descritta da Vasco Pratolini nel suo romanzo Cronache di poveri amanti): l’avvocato Console, che condivideva lo studio con il padre di Franco, viene ucciso insieme alla moglie. Dino Lattes riesce a fuggire e per quindici giorni la famiglia non saprà nulla di lui. La formazione scolastica e letteraria Nel 1926 Franco viene iscritto al ginnasio Galileo dove impara il francese da una zia di origine svizzero-francese di nome Binder. Risalgono al 1927 le letture dei Fratelli Karamazov, quella di Martin Eden e della Bibbia protestante, che il padre aveva portato a casa di ritorno da una Fiera del libro a Firenze. Franco ricorda che il romanzo di Jack London lo aveva appassionato al punto di condurlo ad identificarsi con l’umile personaggio, mentre il romanzo di Dostoevskij e la Bibbia costituiranno letture fondamentali, dal punto di vista morale e letterario, della sua formazione di scrittore. Tra i dodici e i tredici anni egli legge moltissimo e scrive intensamente riempiendo quaderni di prose e di versi, nel 1930 viene iscritto al Liceo Ginnasio Dante che frequenterà con buon profitto. Risale a questo periodo la scoperta della passione per la pittura e il disegno. Gli anni del Liceo Fra la seconda e la terza liceo, con i risparmi ottenuti dal guadagno delle lezioni private, è in grado di comprarsi molti libri che leggerà avidamente. Tra i contemporanei le letture che lo colpiscono maggiormente sono: Un uomo finito di Papini, Ragazzo di Jahier, Il mio Carso di Slataper e Foglie d’erba di Whitman che confesserà di aver letto, sottobanco, durante le lezioni di matematica. In questi anni il giovane Franco frequenta un gruppo di amici (Giorgio Spini, Giampiero Carrocci, Franco Calamandrei, Piero Santi, Alessandro Parronchi, Valentino Bucchi, Giancarlo Salimbeni, Geno Pampaloni e altri), con i quali potrà discutere di arte, di teatro e di musica. Costoro hanno in comune la passione per il cinema francese, soprattutto per Duvivier e René Clair tanto da assumere come parola d’ordine quelle della canzone La liberté c’est toute l’existence cantata nel film À nous la liberté. Gli anni universitari: 1935-1940 Nel 1935 viene selezionato per la sessione di Arte ai Littoriali di Roma dove ha occasione di rivedere, in piazza della Sapienza, Mussolini e di conoscere Cassola, con il quale condividerà la passione per il Dedalus e Gente di Dublino di Joyce. Nello stesso anno consegue la maturità e per volontà paterna viene iscritto alla facoltà di giurisprudenza ma frequenterà anche Lettere, sostenendo gli esami complementari che gli verranno riconosciuti in seguito per la seconda laurea. Nel 1936 diventa assiduo frequentatore della Biblioteca Marucelliana dove trascorre i pomeriggi liberi dalle lezioni a studiare e a leggere. Escono in questo periodo i suoi primi testi, una prosa e una poesia: Colline colorate e Paesaggi su Anno XIII, e su Lo squillo un Riassunto della Quadriennale. Durante questo periodo la sua passione per l’arte e quella per la letteratura hanno il medesimo peso, tanto che lo stesso Fortini dirà: «...ho continuato fino a diciotto, diciannove anni a non sapere se la mia vocazione fosse quella del pittore piuttosto che quella dello scrittore». Pubblica in questo stesso anno una serie di prose e versi sulla Gazzetta quotidiano fascista della Calabria e della Sicilia e, visto in una cartoleria “Il giuoco del Barone”, variante del “Giuoco dell’oca”, decide con l’amico Valentino Bucchi di farne un libretto. Alessandro Parronchi scrive il testo e l’opera che verrà rappresentata al teatro sperimentale di via Laura nel 1939 segnando il debutto di Bucchi come musicista. Durante i giorni di festa Franco approfitta per scoprire, da solo o con gli amici dell’università tutti caratterizzati da ideologie antifasciste, le opere d’arte di varie città: Ferrara, Venezia, le città dell’Umbria e i centri minori della Toscana. Nel 1937 viene selezionato ai pre-littoriali di Firenze per il convegno di arti figurative di Napoli e avrà modo di incontrare Attilio Momigliano, suo futuro professore di Letteratura italiana. Durante i Littoriali di Napoli, prese parte al dibattito sull’arte e l’architettura con una decisa posizione contro il nazionalismo e l’arte della "romanità", suscitando motivo di scandalo. In questo periodo continua a scrivere sui fogli giovanili fascisti, come Il Bò e Goliardia Fascista", ma collabora anche alla rivista cattolica Gioventù Cristiana. L’amicizia con Giorgio Spini, valdese, lo mette in contatto con l’ambiente protestante fiorentino. Risale a questo periodo la lettura di Kierkegaard, Barth e Cromwell. Si dedica anche alla lettura de La Metamorfosi di Kafka, che nel 1990 tradurrà egli stesso, e dei romanzi di Döblin, Mann, Lawrence e Huxley. Nel 1938 mentre si trova a Forte dei Marmi insieme agli amici Bucchi e Carrocci gli giunge la notizia della morte di D’Annunzio e improvvisa dei versi di commemorazione piuttosto irriverenti nei confronti del poeta. Si consolida intanto l’amicizia con Giacomo Noventa che aveva fondato a Firenze nel 1936 La Riforma Letteraria, rivista fortemente polemica contro la cultura italiana del tempo. In questo periodo Fortini collabora ad essa, come pure alla rivista Letteratura diretta da Alessandro Bonsanti, con poesie, racconti e articoli critici. Dopo aver partecipato ai Littoriali del Gruppo Universitario Fascista (GUF), questa volta anche per la letteratura, parte per Palermo dove, come era già successo a Napoli, il Convegno prenderà una piega sgradita alle autorità fasciste che dovranno intervenire per sedare il tumulto creato dai suoi interventi e da quelli di Antonello Trombadori, Alberto Graziani e Bruno Zevi. I littoriali palermitani, malgrado le polemiche suscitate, segneranno per Franco una svolta decisiva. L’incontro con coetanei che non aveva mai conosciuto prima, ma ai quali si sente accomunato dalla vocazione antifascista e dalla maturazione intellettuale, lo aiuteranno a schiarirsi le idee: «Avevo ventuno anni e le cose mi si chiarirono una volta per tutte». Il soggiorno in Sicilia gli ispira un racconto, scritto al ritorno dall’isola, dal titolo La morte del cherubino di stucco, pubblicato da La Ruota nel 1941 come omaggio allo scultore siciliano Giacomo Serpotta. Rientrato a Firenze riesce ad evitare, con un certificato medico, di essere arruolato nella “milizia universitaria” che, in vista della imminente visita di Hitler, voleva giovani per assolvere a compiti di ordine pubblico. Legge in questo periodo Resurrezione e Anna Karenina di Tolstoj e a casa di un’amica ebrea finlandese assiste ad una esibizione di Montale. A dicembre una circolare del Ministero dell’educazione nazionale sulla dispensa dal servizio del “personale di razza ebraica” esonera dall’insegnamento Momigliano, al quale Franco aveva chiesto la tesi. Al Momigliano, nella cattedra di letteratura italiana, subentra Giuseppe De Robertis con il quale Fortini entra subito in contrasto. Nel 1939 l’espulsione dal GUF a causa delle leggi razziali rende più acuta la sua crisi religiosa tanto che, per sua consapevole scelta, vorrà ricevere il battesimo per diventare valdese. Continua intanto a dipingere e a pubblicare sulla Riforma versi e racconti, scrive varie tesine, segue con qualche interesse le lezioni di Giorgio La Pira e nello stesso anno si laurea in legge, con una tesi in filosofia del diritto su “Lo spirito antimachiavellico della Riforma nell’opera di don Valeriano Castiglione”, ottenendo come punteggio: 100/110. Nel 1940 ottiene un incarico di supplente in un Istituto Tecnico di Porto Civitanova nelle Marche e ritornato a Firenze darà lezioni private riprendendo a frequentare i corsi della Facoltà di Lettere. A Mario Solmi chiede la tesi in storia dell’arte su Rosso Fiorentino e per vedere le opere del Rosso e dei manieristi visiterà la Toscana progettando di continuare, dopo la laurea, le ricerche in Francia. Nello stesso anno il padre viene arrestato come “ebreo pericoloso” e condotto alle Murate ed egli si recherà con la madre a trovarlo con una certa frequenza. Il 25 giugno ottiene la laurea in Lettere ma deve subito sostituire il padre, che nel frattempo era stato trasferito ad Urbisaglia in un campo di ebrei internati, nello studio legale. Il mese successivo scrive al capo della polizia chiedendo indulgenza per il padre. Ad agosto l’internamento sarà revocato ma Dino non potrà, se non clandestinamente, svolgere la sua attività professionale. Per evitare il servizio militare Franco si iscrive ad un corso di perfezionamento in storia della lingua italiana e su indicazione di Luigi Russo e Bruno Migliorini lavora ad un progetto per una edizione di Galeazzo di Tarsia. Aveva letto in questo periodo gli scrittori del Cinquecento e tra i romanzi contemporanei era rimasto colpito da Conservatorio di Santa Teresa di Romano Bilenchi che recensirà sulla rivista Ansedonia firmandosi per la prima volta Fortini. Dal 1941 al 1945: il periodo bellico La chiamata alle armi, che era giunta nel luglio del 1941, viene accolta da Franco come una liberazione perché entrare nell’esercito voleva dire uscire dall’insopportabile situazione determinata dalle leggi razziali e rientrare nella normalità. Nell’estate del 1941 viene richiamato alle armi e assegnato come soldato semplice alla caserma romana di viale delle Milizie dove rimane per tre mesi e ha modo, durante le libere uscite, di entrare in contatto con i gruppi antifascisti. In seguito viene trasferito a Civita Castellana, dove conosce Pietro Ingrao, con il grado di sergente ad un corso per sottufficiali e vi rimane per tutto l’inverno tra il '41 e il '42. In seguito viene inviato a Spoleto per tre mesi ad un corso di allievi ufficiali e infine vicino a Sanremo con il compito di sostenere psicologicamente i soldati, reclute del 1923. Viene intanto pubblicata la sua prima traduzione dal francese dalle Edizioni di Leggere d’oggi, la rivista che continuava Ansedonia, di Un cuore semplice di Flaubert. A novembre si trova a Genova pochi giorni dopo il bombardamento navale inglese e scrive in questa occasione i versi Italia 1942 che saranno in seguito raccolti in Foglio di via. Trasferito all’inizio del '43 a Costigliole Saluzzo, in Piemonte, è tra coloro che sono incaricati di accogliere i reduci dalla Russia. Viene trasferito a Casino di Terra presso Cecina e verso il 20 luglio si trova in licenza a Firenze per un concorso a cattedra nella scuola media. Il 27 partecipa ad una riunione del Partito d’Azione che gli affida dei manifestini da diffondere a Pisa durante il viaggio di rientro al reggimento. Parte con il suo battaglione e nelle settimane precedenti all’armistizio si trova a Milano come sottotenente di fanteria e qui ritrova l’amico Ingrao disertore da un anno e in clandestinità. All’indomani dei primi bombardamenti di agosto conosce Elio Vittorini con il quale era stato in corrispondenza per una traduzione da Voltaire. Il 21 agosto, recandosi a Roma per partecipare ad un concorso per l’insegnamento e di passaggio per Firenze, ha modo di rivedere i familiari. Rientrato a Milano l’8 settembre riceve da un attendente la notizia dell’armistizio. Rifugiatosi in Svizzera, dopo un tentativo fallito di armare i soldati della propria caserma contro i tedeschi, passa alla resistenza e partecipa alla Repubblica Partigiana dell’Ossola, prendendo parte alla ritirata e alla fine di quella repubblica, esperienze fondamentali per la sua formazione di uomo e di scrittore. Raggiunta Lugano, Franco sarà condotto a Bellinzona, sede del comando territoriale della Polizia dell’esercito e di alcuni campi di raccolta dei profughi, dove rimane fino al 18 settembre. Classificato come profugo “civile” perché ebreo ma anche “politico” per le sue idee, viene messo in quarantena al campo di Adliswil, nel cantone di Zurigo, uno dei più grandi della Svizzera tedesca. Il 23 viene autorizzato a lasciare il campo e destinato a Zurigo dove sarà ospite dei Fuhrmann e avrà l’obbligo di presentarsi una volta alla settimana alla polizia. Sarà questo uno dei più intensi periodi per la sua esperienza intellettuale e politica. Il suo garante, Alberto Fuhrmann studente in teologia e poi pastore valdese per riformati di lingua italiana, lo inserisce in un mondo che Fortini considererà sempre la sua seconda università. Nella casa di Alberto egli incontra pittori, musicisti, studenti universitari e intellettuali provenienti da tutta l’Europa e ritrova Adriano Olivetti che aveva conosciuto nel 1938 a Milano. Sono di questo periodo le molte letture e la composizione di quei versi che confluiranno in Fogli di via. Egli trascorre le giornate recandosi spesso all’università, frequentando il caffè "Sèlect", dove vengono proiettati film d’avanguardia e dove conosce Luigi Comencini. Al ristorante “International” incontra Diego Valeri, Ignazio Silone e giovani militanti del Partito d’Azione con i quali stringe amicizia. Nel 1944 a causa di una mancanza di prospettiva socialista all’interno del Partito d’Azione, si iscrive al PSIUP, che diventerà in seguito PSI ricevendo da Silone la tessera del partito che manterrà fino al 1958. Inizia a collaborare con il periodico della federazione socialista in Svizzera: L’Avvenire dei lavoratori. Tra i primi testi pubblicati sul periodico vi sono alcune poesie e articoli dedicati a Benedetto Croce e a Giovanni Gentile. Collabora in questo periodo anche alla Rivista della Svizzera italiana che sarà pubblicata a Locarno. Il giorno dello sbarco in Normandia, alla fine di giugno, si trova con Olivetti a Zurigo quando giunge l’ordine di raggiungere un campo di lavoro agricolo a Birmensdorf. Alla fine di agosto, Franco chiede di poter tornare a Zurigo e il permesso gli arriverà in ottobre da Berna. Giungono intanto sempre più numerose le notizie di oltre confine facendo aumentare tra gli esuli il desiderio di poter ritornare in Italia. All’inizio di ottobre egli decide di partire con altri amici e viene accompagnato alla stazione da Ruth Leiser che aveva conosciuto ad una festa di internati. Raggiunta Locarno da Lugano prosegue in auto per Camedo ma, fermato dalla polizia svizzera a Ponte Ribellasca, viene consegnato ai partigiani. Passato il confine il 9 ottobre a Domodossola viene subito assegnato all’ufficio stampa della giunta provvisoria di governo, dove incontra Gianfranco Contini, Giansiro Ferrata, Umberto Terracini, Mario Bonfantini. L’11 ottobre, alla notizia dell’avanzata dei tedeschi e della disfatta della repubblica partigiana, Franco parte in treno per Briga diretto in Svizzera e ad Iselle trascorre la notte in casa di un ferroviere. Al mattino riparte per Domodossola e dopo essersi presentato al comandante della brigata Matteotti, continua la fuga verso le montagne. Chiede intanto di unirsi ad un reparto che deve muovere contro i fascisti ma i partigiani, ritirandosi, fanno saltare i ponti lungo la valle. Franco è costretto a risalire la val Devero marciando nella neve alta e, arrivato in Svizzera, ritrova altri profughi della Valdossola. Rimane per un po’ di tempo nel campo di raccolta di Briga e poi a Pully e Tour Haldimand in un campo per ebrei ortodossi e in seguito in un carcere preventivo per detenuti comuni, al Bois Mermet di Losanna, sotto l’accusa da parte della polizia elvetica di non aver rispettato le procedure durante un’assenza dal campo. A Zurigo il 14 dicembre del 1944 viene rappresentato con successo il suo atto unico Il soldato. Dimesso da Losanna il 25 gennaio del '45 Franco è destinato a Spiez dove farà il lavapiatti in un albergo requisito. In questo periodo si dedica alla traduzione del Romeo e Giulietta al villaggio di Gottfried Keller. Ritornato a Zurigo per alcune licenze trova alloggio presso Regina Kägi-Fuchsmann che gli farà da garante. Riprende a collaborare con L’Avvenire dei lavoratori e a pubblicare sul periodico del Partito socialista ticinese Libera stampa diretto da Alberto Vigevani e Luigi Comencini e sulla rivista Arte, letteratura e lavoro. La notizia della liberazione lo coglie a Spiez il 25 aprile e finalmente l’11 maggio può tornare in patria. Il ritorno in patria Al ritorno in patria Fortini inizia subito a scrivere articoli che vengono pubblicati sull’Avanti! e alla fine di giugno decide di trasferirsi a Milano dove viene a sapere di aver vinto la cattedra nel concorso del 1943 ma, senza molti ripensamenti, decide di rinunciare all’insegnamento. La collaborazione alle riviste Per tutto il 1945 la collaborazione alle riviste l’Avanti!, La lettura e Italia libera, sarà intensa e il 1º agosto diventa redattore praticante di “Milano sera”, periodico curato dapprima da Bonfantini, poi da Vittorini e in seguito da Alfonso Gatto. Consegna in questo periodo a Vittorini il dattiloscritto Fogli di via che viene trasmesso da quest’ultimo all’Einaudi. Prepara intanto con Vittorini ed Albe Steiner Il Politecnico e corregge gli articoli dei collaboratori rivedendone le traduzioni. Dal 1946 al 1950: il suo esordio letterario Intramezzando il lavoro al Il Politecnico con la collaborazione alla Lettura, è ospite assiduo della Casa della Cultura e il 7 aprile 1946 si sposa con Ruth Leiser nel Municipio di Milano. Il suo primo libro di versi: Foglio di via Il 30 aprile dello stesso anno viene pubblicato, nella collana di poesia di Einaudi, il primo libro di versi, Foglio di via con un suo disegno in copertina e una dedica al padre. Il primo a recensire il libro sarà Italo Calvino sull’Unità. Trasformatosi “Il Politecnico” da settimanale a mensile Franco, pur continuando la collaborazione con esso, diventa anche collaboratore dell’Avanti!. Conosce intanto, nella sede dell’Einaudi romana, Cesare Pavese e nel luglio dello stesso anno ha occasione di conoscere e intervistare per il “Politecnico” Jean-Paul Sartre che si trovava a Milano con Simone de Beauvoir per una conferenza. Nei giorni seguenti Sartre e Fortini, a casa di Vittorini, lavoreranno alla stesura del programma di un numero dedicato all’Italia di Les Temps Modernes, la rivista fondata nel 1945 da Sartre. Essa uscirà nel 1947 con i contributi di Sergio Solmi, Giacomo Debenedetti, Vasco Pratolini, Alberto Moravia, Ignazio Silone e lo stesso Fortini. Si intensificano nel frattempo le letture e le traduzioni dalla letteratura straniera; Alfred Jarry, Guillaume Apollinaire, Pierre Reverdy, George Orwell, Stephen Spender, Antonio Machado, Federico García Lorca. Sulla “Gazzetta del Nord” di Noventa viene pubblicata in dicembre “Una conversazione in Valdossola” che costituirà la prima serie delle Sere in Valdossola del 1963. Non smette nel frattempo di tradurre (Ramuz per le Edizioni di Comunità e Éluard per Einaudi) e di collaborare alla rivista Omnibus con brevi articoli di costume, firmandosi con lo pseudonimo di “Minko”. Impiegato all’Olivetti Nell’agosto del 1947 intervista Thomas Mann che si trovava nella villa dei Mondadori sul lago Maggiore e l’intervista viene pubblicata sull’"Avanti!". Costretto dalle necessità economiche ad accettare l’offerta di Olivetti per un impiego negli uffici della pubblicità si trasferisce ad Ivrea e il 1º agosto viene assunto. Nel 1947 si chiude intanto l’esperienza del “Politecnico” sul quale Fortini aveva pubblicato oltre cinquanta testi tra articoli e poesie. Al gennaio del 1948 risale la recensione per l’"Avanti!" del libro di Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio, che farà nascere una forte polemica all’interno del partito. Insieme alla moglie Ruth traduce Timore e tremore di Kierkegaard e scrive nel frattempo il racconto Agonia di Natale che verrà pubblicato da Einaudi nella primavera dello stesso anno. Continua a dedicarsi alla prosa e scrive il racconto La cena delle ceneri che verrà pubblicato solamente nel 1988 e L’interdetto che rimarrà inedito. Il 14 luglio, in seguito dell’attentato a Togliatti, si era intanto creato ad Ivrea, tra gli operai, un clima di grande tensione ed egli è tra i sostenitori della rivolta. L’amico Adriano Olivetti lo comprende e, invece di licenziarlo, lo trasferisce nella sede di Milano alla pubblicità. Il lavoro all’Olivetti lo mette a contatto con i grafici, specialmente con Giovanni Pintori, ma anche con diversi poeti come Giovanni Giudici con i quali preparerà gli slogan per la pubblicità. Traduzioni, recensioni e viaggio in Germania Dopo la sconfitta delle sinistre del 1948 il clima politico era mutato profondamente ed era iniziato il periodo che Fortini chiamerà più tardi con il titolo del suo libro: “dei dieci inverni”. Risale alla fine di gennaio la recensione di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica e la traduzione, in collaborazione con la moglie Ruth, di Alfred Döblin e André Gide che verrà pubblicata l’anno successivo dall’Einaudi. Viene intanto invitato da un ufficiale inglese a prendere contatto con un centro di rieducazione di giovani hitleriani presso Hannover e alla fine dell’estate si reca in Germania con Ruth. Tutti i resoconti del viaggio sono pubblicati sul “Nuovo corriere”, “Milano sera” e “Il mondo” e verranno raccolti l’anno successivo in "Comunità" con il titolo Diario tedesco pubblicato come libro dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1991. Convegni, saggi e viaggio a Londra Nel 1950 continua la collaborazione con l’"Avanti!" e nel frattempo diventa più intensa la sua attività di critico per "Comunità" dove, nella rubrica “Bibliografia letteraria”, recensisce le novità del momento. Si deve a questo periodo la lettura approfondita di Lukács. Interviene all’inizio di aprile al “Convegno del Movimento per la Riforma religiosa” che si tiene a Bergamo e il 16 giugno, in occasione del maggio musicale, vengono messi in musica i suoi versi tratti da “Foglio di via” da Valentino Bucchi. In occasione di una serata per Carlo Levi, che si tiene durante la settimana Einaudi, ritrova Pavese che aveva appena ricevuto il Premio Strega e scrive un commento ad un suo saggio intitolato Sul mito. Dopo il suicidio di Pavese, avvenuto poco dopo quell’incontro, Fortini scrive sull’"Avanti!" l’articolo Pavese si è ucciso. Risale a questo periodo un viaggio a Londra dove ha modo di conoscere Eliot. Il periodo dal 1951 al 1954: intensa attività di traduttore e di critico Si intensifica intanto l’attività di traduttore che diventerà prevalente negli anni tra la fine del 1940 a tutto il 1950. Molte le versioni dal tedesco compiute con la consulenza di Cesare Cases e in collaborazione con la moglie. Risalgono a questo periodo le traduzioni di Bertold Brecht, delle poesie di Villon, di Marcel Proust, di Simone Weil e Fortini sembra aver accantonato la poesia. Conosce in questo periodo un gruppo di giovani che alla letteratura preferivano l’economia e la filosofia e che avevano stampato in proprio una piccola rivista intitolata Discussioni. Questa rivista veniva data in distribuzione ad una cerchia di amici e conoscenti e tra gli argomenti che trattava vi erano quelli sul significato della guerra in Spagna, sull’uso della violenza, sulla politica dell’Unione Sovietica e sul pensiero di Gramsci. Nel 1951 invia a Montale una cinquantina di poesie per averne un giudizio e ne riceve un parere severo ma penetrante che Fortini definirà “tanto sconvolgente quanto deprimente”. Nel 1952 viene invitato da Calvino a collaborare al Notiziario Einaudi con una nota su Pavese. Continua a prestare saltuariamente consulenza editoriale per l’Einaudi analizzando L’uomo senza qualità di Musil e la biografia di Büchner a opera di Handis Mayer oltre a curare i testi teatrali di Brecht. Nel luglio dello stesso anno compie un altro viaggio a Londra con Ruth e, di passaggio a Parigi, assiste alla prima teatrale di En attendant Godot di Samuel Beckett. Muore il 18 novembre Paul Eluard e al necrologio che Montale fa sul Corriere della Sera, “La morte di Paul Eluard”, Fortini risponde con una lettera in cui esprime il suo disappunto per il taglio che Montale ha dato all’articolo, tacciandolo di "malignità civettuole e cattivo gusto". Continuando intanto le numerose recensioni su Comunità, la collaborazione con l’Avanti! e con il Notiziario Einaudi. In questo periodo pubblica su Botteghe Oscure Sere in Valdossola. Inizia nel 1953 la collaborazione a Nuovi Argomenti e su Botteghe oscure appaiono alcune poesie, di cui cinque sotto il titolo Versi per Ruth e una dal titolo Sestina per Firenze. Le poesie dedicate a Ruth vengono raccolte nello stesso anno in una plaquette fuori commercio dal titolo Sei poesie per Ruth e per me. Nel 1954 traduce per le Edizioni Comunità L’enraciment di Simone Weil e grazie a Vittorio Sereni pubblica nella edizione della Meridiana Una facile allegoria. Esce lo stesso anno da Einaudi Minima moralia di Adorno che accende all’interno del gruppo di “Discussione” appassionati dibattiti al quale Fortini partecipa attivamente. Nel marzo scrive su Nuovi Argomenti un articolo intitolato Appunti su “Comunismo e Occidente” e riceve “una misura disciplinare” dalla Federazione socialista milanese. In aprile ha inizio la sua collaborazione a Il contemporaneo sul quale tiene la rubrica “lettere francesi”. A giugno scrive su Lo spettatore d’oggi la recensione di Le degré zéro de l’écriture di Roland Barthes e alla fine di ottobre diventa consulente della collana dei Saggi dell’Einaudi. Il periodo dal 1955 al 1957: grande impegno politico Nel 1955 Fortini si dedica all’approfondimento del lavoro per Discussioni e Officina e si trova a contatto con Pasolini, Leonetti, Roversi e Romanò. Nello stesso anno l’ex gruppo di “Discussioni”, formato da Armanda Guiducci, Roberto Guiducci, Luigi Amodio, Stefania Caproglio, si riunisce per decidere di stampare “Ragionamenti” con l’intento di farne una rivista “di critica e di informazione sui maggiori temi del pensiero marxista contemporaneo, in una prospettiva antistalinista ma non riformista, e per una riunione nel ”blocco storico" delle sinistre “con l’intenzione di rivolgersi soprattutto agli intellettuali e ai quadri dei movimenti di sinistra”. La rivista, che avrà vita fino al 1957, esce con tiratura limitata e sostenuta finanziariamente solamente dai redattori e dagli abbonamenti e viene accolta con indifferenza dai socialisti e con ostilità dai comunisti, ad eccezione di Della Volpe. In marzo Pasolini scrive a Fortini una lettera con la quale lo invita a collaborare a Officina e in risposta Fortini gli invia quattro poesie e in seguito, su richiesta dello stesso Pasolini, aggiungerà un Allegato con il titolo L’altezza della situazione, o perché si scrivono poesie che appariranno sul fascicolo di settembre. A luglio si reca ad Helsinki come “osservatore” al “Congresso della pace” ed incontra letterati famosi tra i quali Nazım Hikmet che intervista per “Il contemporaneo”. Grazie ai contatti con Hikmet, che lo introduce ad Alexei Surkov, poeta, segretario dell’Unione degli Scrittori sovietici, Fortini si reca per la prima volta in Urss, per quindici giorni. A ottobre si reca in Cina in visita ufficiale nella Repubblica Popolare Cinese con la prima delegazione italiana formata, tra gli altri, da Piero Calamandrei, Norberto Bobbio, Enrico Treccani e Cesare Musatti. Il viaggio durerà un mese e il diario della visita verrà pubblicato l’anno seguente in Asia Maggiore dedicato a Carlo Cassola suo compagno di viaggio che, a sua volta, gli dedicherà Viaggio in Cina. Di ritorno dalla Cina inizia a collaborare all’Enciclopedia A/Z della Zanichelli curandone diverse voci e affida a Sereni un fascicolo di circa ottanta poesie per vedere se c’è la possibilità di pubblicare una nuova raccolta. Traduce una vasta scelta di versi di Éluard con una ricca introduzione, pubblica la plaquette In una strada di Firenze e sul primo numero di Ragionamenti di settembre-ottobre scrive un saggio su Leo Spitzer dal titolo Critica stilistica e storia del linguaggio. Legge intanto gli scritti di Auerbach, Maurice Merleau-Ponty e Lucien Goldmann del quale tradurrà, nel 1961, “Le dieu caché”, continua a tradurre Brecht e scrive i versi A Boris Pasternak. Il 2 gennaio del 1956 scrive a Pasolini, che era stato accusato di "oscenità" per il romanzo Ragazzi di vita, offrendo la sua testimonianza di critico. Sempre nel mese di gennaio inizia il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e le notizie che pervengono creano forti emozioni:"Ricordo – egli scrive – che quando da non so quale oratore è stato fatto il nome di Antonov-Ovseenko, cioè della persona che aveva ricevuto nelle sue mani la capitolazione del governo provvisorio al momento della presa del Palazzo d’Inverno, e che poi era stato una delle vittime di Stalin, noi abbiamo capito (...) che qualcosa di straordinario stava avvenendo". In febbraio Fortini incontra Brecht a Milano in occasione della rappresentazione dell’Opera da tre soldi al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler e a marzo viene aperta su “Il contemporaneo” un’inchiesta sulla cultura di sinistra che suscita una forte polemica coinvolgendo intellettuali e politici e nella quale egli interviene con un articolo intitolato I politici intellettuali. A settembre viene pubblicato in un supplemento di Ragionamenti il testo di Fortini e Guiducci, Proposte per una organizzazione della cultura marxista in Italia che riprende l’argomento rivelato dalla polemica e cioè la richiesta di “autonomia” degli uomini di cultura dalle direzioni culturali dei partiti, la loro auto-organizzazione all’interno del “blocco storico” delle sinistre e il loro controllo degli strumenti di espressione culturale. Il libro Asia Maggiore che esce in aprile viene recensito su “Rinascita” con una critica negativa e Fortini viene accusato di essere “nemico del popolo cinese”. Il dattiloscritto Dieci inverni, che consegna a Gianni Bosio gli verrà restituito senza nemmeno essere sfogliato. Fortini intanto ha dato le dimissioni dalla Casa della Cultura. La conoscenza e l’amicizia con Edgar Morin e Roland Barthes gli permettono di avviare, parallelamente a Ragionamenti e con una comune redazione, la rivista parigina Arguments. Il 19 ottobre del 1956 ha inizio la crisi polacca e il 23 dello stesso mese la rivolta a Budapest che viene seguita ora per ora dall’Unità. Il 31 dello stesso mese vi è l’intervento anglo-francese a Suez e il 4 novembre giunge la notizia dell’intervento sovietico. Risale a questo periodo la poesia 4 novembre 1956: "Il ramo secco bruciò in un attimo/Ma il ramo verde non vuol morire./Dunque era vera la verità./ Soldato russo, ragazzo ungherese,/ non v’ammazzate dentro di me./ Da quel giorno ho saputo chi siete:/e il nemico chi è". Tra la fine del 1956 e l’inizio del 1957 prosegue la collaborazione con Officina e l’intenso rapporto con Pasolini nell’ipotesi di un lavoro comune. Viene attaccato dal Contemporaneo per un intervento fatto su Mondo operaio dal titolo “Organizzazione della cultura. Interpretazioni della ”intellighentsia ungherese" e in seguito verrà più volte censurato dall’"Unità". Nell’aprile dello stesso anno recensisce sull’Avanti! Mythologies di Barthes e pubblica su Ragionamenti la traduzione della Poesia agli adulti di Adams Wazyk. Per l’editore Schwarz pubblica la traduzione di Idee e opinioni di Albert Einstein avvalendosi di Camillo Losurdo per la parte scientifica e un’edizione numerata di Sestina a Firenze con litografie di Ottone Rosai. Nell’ottobre raccoglie una selezione degli scritti di un decennio di attività legato alla vita culturale e politica del paese che vanno dal periodo 1947-1957 che saranno pubblicati da Feltrinelli con il titolo Dieci inverni. Contributo ad un discorso socialista. Sull’Avanti! esce il 10 dicembre una recensione dell’opera firmata da Luciano Della Mea nella quale Fortini viene accusato di aver compiuto un errore di fondo nel parlare di divisione, all’interno del socialismo scientifico, del potere tra la politica e la cultura e tra i politici e gli intellettuali.Roberto Guiducci interviene sullo stesso giornale in difesa del libro ma la recensione e il silenzio della dirigenza del Partito socialista fanno riflettere Fortini che decide di uscire dal PSI. Alla fine dell’anno restituirà la tessera del partito a Pietro Nenni. Il periodo dal 1957 al 1962: un periodo di riflessione Con la chiusura di Ragionamenti e l’interruzione alla collaborazione con l’Avanti!, ha inizio per Fortini un periodo di profonda riflessione che lo allontanerà dall’impegno militante e lo avvicinerà maggiormente a quello letterario. Scrive su Officina una serie di poesie e alcuni importanti saggi come quello sulla metrica e su Hugo Friedrich mentre “La situazione” e "Il Caffè" pubblicano alcuni suoi testi poetici. Insieme ad un gruppo di giovani musicisti torinesi, tra i quali Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Emilio Jona e Michele Straniero, partecipa al rinnovamento della “canzonetta” e scrive testi per musica leggera tra i quali Tutti amori che viene musicata da Liberovici e che farà parte del repertorio del gruppo, nominatosi I Cantacronache, insieme alla versione di Fillette di Quenéau e Campane di Roma che, a causa della censura per i versi "lungo un divano/ del Vaticano/ seder vorrei/ con te, mio amor...", non sarà mai eseguita. Cura insieme a Libero Bigiaretti Olivetti 1908-1958, un volume che illustra i cinquant’anni dell’attività dell’Olivetti mentre nel lavoro di traduzione ha la prevalenza l’opera di Brecht del quale esce, nel 1958, la versione del “Romanzo da tre soldi” e l’anno seguente “Storie da calendario” e l’antologia “Poesie e canzoni” con una sua introduzione. Sempre nel '58 continua con fervore l’opera di traduttore e le sue letture abbracciano ambiti diversi. Traduce opere di György Lukács e di Adorno, i saggi di Edmund Wilson, quelli di Francis Otto Matthiessen e del suo “Rinascimento americano”, del quale Pavese aveva voluto la traduzione, e in seguito si dedica ai formalisti russi, a Lévi-Strauss e Saussure oltre ai saggi di carattere storico di Needham sulla Cina e di Deutscher su Trockij. Il secondo libro di versi: Poesia e errore Nel 1959 Giorgio Bassani, allora direttore della “Biblioteca di letteratura” di Feltrinelli lo consiglia nella strutturazione dell’antologia che raccoglie la sua produzione letteraria dal 1937 al 1957 e che uscirà con il titolo Poesia e errore da Feltrinelli; nel frattempo cura per Garzanti l’antologia Il movimento surrealista. Si guasta intanto il rapporto con Officina e Fortini, in una lunga lettera, si confiderà con l’amico Pasolini scrivendo: "C’è in me qualcosa che allontana la gente e mi impedisce l’amicizia. La cosa si ripete negli anni con tanta regolarità che non posso imputare gli altri. Ma riuscissi a capire cos’è ed a emendarmi". Il 31 maggio, dopo una correzione e un taglio senza essere avvisato di un suo articolo su Lukács, decide di lasciare Officina che con il numero del maggio-giugno chiuderà le pubblicazioni. Riprende la sua collaborazione all’Avanti! con una serie di riflessioni dal titolo Cronache della vita breve, scrive l’introduzione ad un’antologia di poesie di Mao Tse-Tung e, sempre nel 1959, assume la direzione della collana “Piccola Biblioteca Einaudi” dedicata alle opere scientifiche, storiche e sociologiche. Alla fine del gennaio del 1960 la canzone di maggior successo di Fortini, Quella cosa in Lombardia, viene cantata in un recital al teatro Gerolamo da Laura Betti. Nello stesso anno muore Olivetti, che Fortini ricorderà in un breve articolo sull’Avanti!, e Noventa al quale dedicherà la poesia Per Noventa: "Più d’ogni parola a me maestro/ per disperato orgoglio a falsi òmeni,/ vecchio, fingevi d’arrenderti. Io / ero lontano da te, coi tuoi versi". Nel luglio dello stesso anno, dopo la manifestazione in piazza contro il governo Tambroni, parte con la moglie Ruth per l’URSS e il viaggio, compiuto in macchina, durerà un mese. Di ritorno dal viaggio, su sollecitazione di Vittorini, pubblica un saggio su Le poesie italiane di questi anni, traduce Zazie nel metrò di Queneau e scrive il testo per il documentario All’armi siam fascisti! di Cecilia Mangini, Lina Dal Fra e Lino Micciché. Nel 1961 Fortini continua le traduzioni da Brecht e pubblica, sul secondo numero di Rendiconti, una serie di poesie tra cui La gronda. Sarà di questo anno la sua partecipazione alla prima “Marcia della pace” da Perugia ad Assisi, insieme a Solmi, Calvino, Capitini e Fausto Amodei, con il quale nell’occasione compose la canzone che nella versione discografica prenderà il nome di La marcia della pace. Termina intanto l’esperienza della “PBE” e Fortini rimane consulente dell’Einaudi ma senza uno specifico incarico editoriale. Nel novembre, in seguito alla repressione da parte della polizia parigina di una manifestazione a favore dell’indipendenza algerina, rimprovera Barthes e altri intellettuali di aver assunto un atteggiamento distaccato rispetto agli avvenimenti e proprio con Barthes avrà un duro scambio epistolare. In questi anni di “occultamento politico” Fortini inizia un diverso ciclo di collaborazioni entrando in contatto con gruppi eterogenei di intellettuali, coloro che nel corso degli anni sessanta e settanta contribuiranno al rinnovamento della cultura italiana. Inizia a frequentare il gruppo di “Quaderni rossi” e inizia la collaborazione alla rivista Quaderni Piacentini alla quale fornirà l’indirizzo per i primi numeri. Prosegue intanto la sua attività di recensore e di saggista sulla rivista Il Menabò e su quella di Vittorio Sereni, “Questo e altro” dove continua la serie delle “Cronache della vita breve”. Il 26 gennaio del 1962 muore il padre. Nei mesi che seguono la sua scomparsa, Fortini riprende la Poesia delle rose, un poemetto di 144 versi originariamente scritto nel 1956, per pubblicarlo con la Libreria Antiquaria Palmaverde di Bologna di Roversi. Scrive intanto il testo, su richiesta di Paolo e Carla Gobetti, per il documentario “Scioperi a Torino” che otterrà forti proteste sindacali oltre che il giudizio negativo di Italo Calvino che dissentiva da quello che gli sembrava un attacco da sinistra alle posizioni sindacali. Dal 1963 al 1987: una nuova svolta Nel 1963, ottenuta la riammissione nei ruoli della Pubblica Istruzione, Fortini inizia la carriera d’insegnante. Ottiene i primi incarichi di Lettere italiane e Storia dapprima in alcuni istituti tecnici di Lecco e di Monza per poi approdare, nel 1966 a Milano. Il '63 è anche un anno importante per la storia dello scrittore, infatti la casa editrice Mondadori, grazie a Sereni che ne è il direttore editoriale, pubblica la sua terza raccolta di versi Una volta per sempre che ottiene una buona attenzione da parte della critica. Ancora grazie a Sereni viene accolta nella collana “Il tornasole” Sere in Valdossola e le edizioni Avanti! pubblicano Tre testi per film che comprendono “All’armi siam fascisti”, “Scioperi a Torino” e “La statua di Stalin”. Sempre nel 1963 viene tradotta in tedesco per Suhrkamp un’antologia dei versi da “Poesia ed errore” e “Una volta per sempre” da Hans Magnus Enzensberger. Nel novembre termina il rapporto con Einaudi dopo varie proposte e controproposte di Giulio Bollati e di Giulio Einaudi riguardo alla sua funzione all’interno della casa editrice. Con l’arrivo dell’estate del 1964 Fortini si trasferisce nella nuova casa di Bavognano di Ameglia che sarà da quel momento il luogo delle sue vacanze e quello che farà da sfondo a molte sue poesie, disegni e pitture. Traduce con Ruth per Feltrinelli Poesie per chi non legge poesia di Enzensberger e collabora a Le muse. Enciclopedia di tutte le arti di De Agostini. Pubblica su Quaderni piacentini e Giovane critica alcuni saggi e l’11 settembre inizia la traduzione del Faust di Goethe con la consulenza del germanista Cases. Nel 1965 esce Verifica dei poteri dal Saggiatore e l’antologia Profezie e realtà del nostro secolo da Laterza, entrambi discussi e recensiti su molti periodici e quotidiani. Continua a ritmo intenso le letture più disparate e rimane colpito dal libro “Gli strumenti umani” di Sereni, di cui scrive, nel marzo 1966 un’ampia recensione su “I quaderni piacentini”. È di questo anno la polemica con le neoavanguardie che accusa di usare il sarcasmo come “destrutturazione verbale dei miti borghesi”. Nel dicembre dello stesso anno viene sequestrato il disco Le canzoni del no di Maria Monti, che contiene “La marcia della pace”, scritta in collaborazione con il cantautore torinese Fausto Amodei, e lo scrittore subisce un processo dal quale verrà però presto assolto. Nel 1966 pubblica L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici e all’inizio del 1967 pubblica la nuova edizione di Foglio di via. A Pasqua si reca a Praga con Zanzotto, Giudici e Sereni. Il 23 aprile partecipa ad una manifestazione per il Vietnam e viene criticato dagli organi di stampa del Partito comunista. Nell’estate, in seguito alla Guerra dei sei giorni, scrive I cani del Sinai che uscirà in autunno procurandogli “isolamento e odi tenaci”. Nel 1968 Fortini, pur continuando ad insegnare e a tradurre il Faust, è presente alle varie manifestazioni studentesche e nel momento di maggiore forza del Movimento studentesco pubblica su Quaderni piacentini il saggio Il dissenso e l’autorità. Sarà di questo periodo e proprio a causa delle lotte degli studenti e del loro scontro con la polizia la rottura definitiva con Pasolini alla fine di maggio. Alla tavola rotonda che si teneva a Roma organizzata da L’Espresso per l’intervento dello scrittore intitolato “Il PCI ai giovani!!”, Fortini legge privatamente all’amico il testo che aveva preparato per l’occasione nel quale affermava:"Presente e futuro dei movimenti studenteschi. Tema troppo serio per parlarne qui. Non sono qualificato per farlo (...). Qui si deve discutere invece di una carta scritta da uno dei maggiori scrittori del nostro paese.//Il mio giudizio è di tristezza e di rifiuto". In Attraverso Pasolini Fortini scrive: "...Ero davvero esasperato dal suo atteggiamento; ben più che per il testo a favore dei poliziotti, quel che trovavo insopportabile era di accettare lo sfruttamento pubblicitario, e la inevitabile trasformazione in volgare propaganda, di quel suo scritto". Dopo gli scontri di Parigi tra poliziotti e studenti, dove c’è il primo morto, Fortini insiste con Pasolini per persuaderlo a non far registrare il suo intervento su L’Espresso, ma all’indomani il testo viene comunque pubblicato e Fortini interviene sullo stesso quotidiano, il 23 giugno, con un articolo contro Pasolini dal titolo È come una carta acchiappamosche. Nel dicembre dello stesso anno pubblica Ventiquattro voci per un dizionario di lettere. Breve guida ad un buon uso dell’alfabeto e nello stesso mese, dopo la strage di Piazza Fontana, su richiesta degli studenti del liceo milanese tiene una lezione sull’Uomo a una dimensione di Marcuse. Partecipa ai funerali di Pinelli a Musocco il 20 dicembre e il racconto di quell’evento comparirà nella seconda edizione dell’Ospite ingrato. Nel gennaio del 1969 viene pubblicato da Mondadori nella collezione dello “Specchio” Poesia ed errore e contemporaneamente esce alle stampe la plaquette Venticinque poesie 1961-1968. In collaborazione con Augusto Vegezzi realizza un’antologia destinata al biennio delle scuole superiori intitolata Gli argomenti umani. In questo periodo collabora poco alle riviste e dedica la maggior parte del tempo alla traduzione del Faust terminandone la versione nel 1970. Il 21 gennaio 1970 Fortini partecipa ad una manifestazione indetta dal Movimento studentesco e dopo aver assistito in prima fila all’andamento degli scontri tra la polizia e gli studenti scrive per la Questura una Testimonianza dettagliata degli avvenimenti. A maggio Bucchi presenta, nel maggio Musicale di Firenze, la sua opera Il coccodrillo di cui fa parte la Canzone della coesistenza e Fortini scrive per l’autore la filastrocca Il Pero e il però. Alla fine del 1970 verrà pubblicata da l’Universidad de Venezuela di Caracas, l’edizione in lingua spagnola di Verifica dei poteri: Los poderes culturales. Nel 1971 Fortini ottiene il premio "Città di Monselice" per la traduzione letteraria del Faust e all’inizio di novembre tiene una lezione su Montale a Canterbury, all’Università del Kent. Nel corso dell’anno ottiene la libera docenza e da metà novembre inizia ad insegnare alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università di Siena, Storia della critica letteraria che inaugura con un corso monografico sulla poesia di Manzoni. Risalgono al maggio del 1972 i versi Per Serantini scritti per un giovane anarchico che era stato ucciso a Pisa dalla polizia durante una manifestazione: "A quelli che lo hanno ucciso/ il governo ha benedette le mani con un sorriso". Accetta in seguito di essere iscritto come indipendente nella lista elettorale del Manifesto, al quale collabora dall’anno precedente, per le elezioni legislative. Il capolista è Pietro Valpreda, l’anarchico accusato della strage di Piazza Fontana. Il quarto libro di versi: Questo muro In agosto si reca per la seconda volta in Cina e al rientro viene a sapere dall’amico Sereni che la raccolta Questo muro uscirà presto nello “Specchio” di Mondadori. Tiene intanto all’università il corso dedicato a "La poesia italiana degli anni 1910-1925 nella critica letteraria del periodo 1950-1970". Nel giugno del 1973 esce la raccolta Questo muro che comprende i versi composti dal 1962 al 1972 e a luglio viene pubblicato, nella collana monografica Il castoro della Nuova Italia, il primo studio approfondito sull’opera fortiniana dal titolo Franco Fortini di Alfonso Berardinelli. Si intensifica intanto la collaborazione a il manifesto e nell’estate del 1974 escono Saggi italiani e l’antologia Poesie scelte (1938-1973) curata da Pier Vincenzo Mengaldo. All’università tiene il corso dedicato a “Simbolismo europeo e simbolismo italiano nella critica dello scorso trentennio”, collabora alla rivista aut aut mentre interrompe la presenza su Quaderni piacentini. Muore a novembre del 1975 Pier Paolo Pasolini e Fortini partecipa ai funerali amareggiato, come scriverà in seguito, per non essere riuscito a risolvere le loro ostilità e vincere il silenzio degli ultimi sei anni. Con il 1976 inizia un periodo di intensa collaborazione al Corriere della Sera mentre ritorna a tradurre Brecht. Nell’estate di quello stesso anno viene girato il film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Fortini/cani, dai Cani del Sinai. All’università tiene un interessante corso biennale su "L’ordine e il disordine. Esempi di critica e di letteratura, in Italia e in Europa, nel periodo 1915-1925", nel quale analizza i testi di Croce, Gobetti, Gramsci, Ungaretti, Rebora, Onofri, Montale, Valéry, Šklovskij, Eliot, Breton, Trockij. Risale al 1977 la seconda edizione, in collaborazione con Walter Binni, del Movimento surrealista, I poeti del Novecento e la raccolta saggistica Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965-1977. A novembre dello stesso anno, quando cambia la direzione del “Corriere della Sera”, Fortini interrompe la collaborazione. Intanto a Siena continua il corso dell’anno precedente discutendo nei seminari “Un’idea di Dante” di Gianfranco Contini e “Linguaggio e silenzio” di Steiner. Nel maggio del 1978 si reca in Inghilterra per tenere una conferenza all’Università del Surrey, a Brighton, dal titolo Dei confini della poesia e nello stesso anno vengono tradotte da Michael Hamburger una scelta di poesie tratte da “Una volta per sempre” e “Questo muro” mentre Einaudi raccoglie i suoi primi tre libri di poesia sotto il titolo Una volta per sempre. Poesie 1938-1973. Nel 1979 prosegue in modo assiduo la collaborazione al manifesto, ma un suo saggio pubblicato sui Quaderni Piacentini a proposito del Doppio diario di Giaime Pintor suscita molte polemiche determinando la frattura con Luigi Pintor direttore del manifesto’ e il rapporto termina bruscamente. Lavora nel frattempo ad un saggio su Noventa, tiene il corso all’università dedicato alle principali teorie della letteratura e in Francia, per i “Cahiers du cinéma” esce “Les chiens du Sinai” nell’edizione Albatros con la versione francese dei “Cani del Sinai”. Nel febbraio del 1980 viene pubblicata la plaquette intitolata Una obbedienza con l’introduzione di Andrea Zanzotto e durante l’estate esce la raccolta di saggi Per Franco Fortini. Contributi e testimonianze sulla sua poesia con gli interventi di Alberto Asor Rosa, Cesare Cases, Mario Luzi, Pier Vincenzo Mengaldo, Giovanni Raboni e Vittorio Sereni. Nei primi mesi del 1981 è a Parigi per preparare un corso su Manzoni e frequenta assiduamente la Bibliothèque Nationale. Si reca in seguito in Inghilterra e per qualche giorno è a Cambridge e a Londra. Nell’aprile dello stesso anno subisce una perquisizione da parte della Questura nella casa di via Legnano per le indagini in corso sulla “lotta armata” senza alcun risultato e da ottobre, terminata la collaborazione a “Il Messaggero”, riprende quella con il “Corriere della Sera”. Scrive Un vero veduto dalla mente su richiesta di Walter Binni, un testo autobiografico per le "Notizie e dichiarazioni di scrittori (1911-1917)" raccolte per la “Rassegna della letteratura italiana” e inizia a tradurre Milton. Nel 1982 continua la collaborazione con il “Corriere della Sera” diretto da Alberto Cavallari e a giugno dello stesso anno pubblica una scelta delle proprie versioni poetiche intitolata Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia mentre lavora alle traduzioni dei racconti di Kafka e dei versi giovanili di Proust. Nel 1983 muore l’amico Sereni e a lui lo scrittore dedica sul “Corriere della Sera” Un dialogo che non è finito. Lavora intanto a una Storia della traduzione dal “Conciliatore” a oggi e ad un’introduzione a Michelet. A novembre, in occasione dell’invasione da parte dell’esercito degli Stati Uniti dell’isola di Grenada, scrive sul “Corriere della Sera” l’articolo Quei morti strascinati con la faccia in giù, che suscita aspre critiche. Il quinto libro di versi: Paesaggio con serpente Nel gennaio del 1984 tiene una serie di conversazioni sulla Radio della Svizzera Italiana su autori e poeti italiani e ad aprile dello stesso anno esce il quarto libro di poesie intitolato Paesaggio con serpente. Invitato da Bruce Merry come visiting professor all’Università di Witswatersrand, Johannesburg, si reca a maggio in Sudafrica dove rimarrà fino a giugno tenendo lezioni e seminari su Leopardi, Dante, Lukács. Al rientro in patria interrompe la collaborazione con il Corriere della Sera e inizia quella con Panorama. Intanto continua le letture, pubblica una serie di versi destinati ad una nuova edizione dell’"Ospite ingrato" e realizza una plaquette intitolata Memorie per dopodomani nella quale raccoglie tre scritti del 1945, 1967 e 1980. All’inizio del 1985 pubblica Insistenze. Cinquanta scritti 1967-1984 e da aprile inizia a collaborare al L’espresso. In giugno gli viene assegnato il premio Montale-Guggenheim per la raccolta di poesie Paesaggio con serpente. In ottobre muore Calvino e Fortini pubblica su L’espresso il ricordo intitolato Quel che ci unisce, quel che ci divise. Viene intanto pubblicato dall’editore Marietti L’ospite ingrato primo e secondo. Tra gennaio e marzo del 1986 si reca più volte a trovare i detenuti per reati politici nel carcere di San Vittore e in primavera è a Palermo per il premio Mondello. Giunge intanto il momento della sua messa fuori ruolo come docente e l’Università di Siena organizza in quella occasione un seminario intitolato “Metrica e biografia. La ricerca poetica, critica e ideologica di Franco Fortini”. Esce nel frattempo La lotta mentale. Per un profilo di Franco Fortini di Romano Luperini che costituisce un importante punto di riferimento della bibliografia su Fortini poeta e intellettuale. In occasione del convegno su Giacomo Noventa che si tiene a Venezia e a Noventa di Piave, Fortini pubblica in forma di preprint un saggio scritto nel '79-80 intitolato Note su Giacomo Noventa. Esce intanto la plaquette I confini della poesia e il testo della prolusione tenuta nel dicembre del 1981 all’Università di Siena: La poesia ad alta voce. A novembre viene invitato a Lione da Remi Roche e Bernard Simeone per una conferenza e vengono intanto pubblicate, da Simeone e Jean-Charles Vegliante, una ricca scelta di poesie tradotte in francese con il titolo Une foìs pour toutes. Poésie 1938-1985 che comprende anche lo scambio epistolare tra Fortini e Roche. Alla fine dell’86 Einaudi pubblica la sua traduzione di Nella colonia penale e altri racconti di Kafka. Il periodo dal 1987 al 1990: il recupero degli scritti e l’opera della critica Esce nel luglio del 1987 una nuova serie di saggi sulla letteratura italiana dal titolo Nuovi Saggi italiani e a settembre una raccolta di versi scartati dalle prime due raccolte insieme ad inediti con il titolo Versi primi e distanti 1937-1957. In novembre si reca in Canada e negli Stati Uniti dove tiene una conferenza di teoria della letteratura alla Harvard University e a Toronto seminari e letture. Al rientro in Italia riprende la collaborazione con il Corriere della Sera e inoltre collabora all’Espresso e al Manifesto mentre procede al recupero di prove narrative disperse e inedite. A novembre esce la seconda monografia ad opera di Remo Pagnanelli. Nel gennaio del 1988 compie un viaggio con la moglie Ruth nei Grigioni e ad aprile si reca in Israele a trovare la figlia adottiva Livia che vi abita da un anno. In quell’occasione scrive un racconto dal titolo Un luogo sacro che sarà raccolto nel 1990 in Extrema ratio. Alla fine di maggio, nell’ambito dei festeggiamenti per il ritiro dall’insegnamento universitario, si inaugura a Siena una mostra intitolata “Franco Fortini:cinquant’anni di lavoro” e viene proiettato il film con la regia di Riccardo Putti “E vorreste non parlassero...”. Sempre nell’ambito dei festeggiamenti vengono pubblicati in suo onore da Luperini una miscellanea di saggi intitolata Tradizione/ traduzione/ società. Saggi per Franco Fortini, mentre a cura di Carlo Fini esce Indici per Fortini che contiene la bibliografia degli scritti, la guida ai soggetti dell’opera saggistica, una notizia biografica, l’antologia e la bibliografia della critica. Nel 1989 Einaudi pubblica la nuova edizione di Verifica dei poteri che contiene una premessa scritta alla fine del 1988. A maggio chiude definitivamente con il “Corriere della Sera” a causa di uno scontro con il direttore Ugo Stille che non vuole pubblicare un suo intervento sulla politica dello Stato d’Israele nei confronti della Palestina. L’articolo su Israele e Palestina uscirà con il titolo Lettera agli ebrei sul “Manifesto” il 24 maggio. Il 12 settembre viene pubblicato sul supplemento satirico “Cuore” dell’"Unità" il testo “Comunismo” scritto in seguito alla caduta del muro di Berlino. Gli ultimi anni: 1990-1994 In questo periodo Fortini continua a collaborare al Manifesto e all’Espresso e dal giugno 1992 al supplemento della domenica del Sole 24 ORE. Fino al 1992 ritorna ogni anno a Siena per tenere seminari e lezioni ai corsi di Storia della critica letteraria tenuti da Giuseppe Nava. Nell’inverno tra il 1989 e il 1990, tiene a Napoli una serie di 4 seminari dal titolo "Realtà e paradosso della traduzione poetica", organizzata dall’Istituto di Studi Filosofici per iniziativa del Professore Gargano, dei cui atti esce un’edizione universitaria (University College London, 2004), a cura di Erminia Passannanti. Nel febbraio del 1990 si reca a Napoli per un seminario sulla traduzione presso l’Istituto superiore di studi filosofici e a maggio partecipa a Siena ad un convegno dal titolo "1960-1990: le teorie letterarie, il dibattito metodologico e il conflitto delle poetiche". Nello stesso anno si reca a Londra per una lettura di poesie e durante l’estate lavora sul Tasso. A novembre Garzanti pubblica Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine e nel febbraio del 1991 esce, a cura di Paolo Jachia in stretta collaborazione con Fortini stesso, Non solo oggi. Cinquantanove voci, che estrae dai saggi e articoli una specie di dizionario fatto di parole-chiave del suo lavoro intellettuale. Nel 1992 compie durante l’anno alcuni viaggi per partecipare ad importanti convegni: ad aprile è a Toronto, a fine giugno a Dublino, nell’ottobre, dopo Vienna, è a Cracovia e a novembre a Lugano. Nel 1993, sempre curato dal giovane critico Jachia, esce Fortini. Leggere e scrivere che ripercorre in forma di colloquio, dall’infanzia in poi, le letture e le passioni intellettuali dello scrittore. Nell’aprile dello stesso anno viene pubblicato da Einaudi Attraverso Pasolini che comprende una piccola parte dell’opera ideata anni prima e annunciata come “in preparazione”, opera che uscirà postuma. A giugno viene ricoverato d’urgenza all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano per un intervento chirurgico. Gli viene diagnosticato un tumore al colon che non può essere rimosso. Si riprende lentamente e ritorna ad Ameglia ma l’11 settembre deve essere nuovamente operato. L’intervento ha luogo nell’ospedale di Barga, in provincia di Lucca. Il 5 ottobre viene dimesso e dopo un breve periodo ad Ameglia rientra a Milano. Muore il 28 novembre 1994 e la salma viene inumata presso il cimitero di Montemarcello ad Ameglia. Il sesto libro di versi: Composita solvantur A febbraio del 1994 viene pubblicato il suo sesto e ultimo libro di poesie dal titolo Composita solvantur (alcuni testi anticipati, con versione francese a fronte di J. Ch. Vegliante, su Les Langues Néo-Latines 265, 1988). A novembre è ricoverato all’Ospedale Sacco di Milano, dove muore la notte del 28. Archivio e biblioteca personale Prima di morire, dona alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena il suo archivio privato, di cui sono parte lettere, manoscritti, inediti, disegni e pitture. Nel 1995, dietro approvazione del Consiglio di Facoltà, si è costituito il Centro Studi Franco Fortini, i cui fini sono la promozione della sua opera, edita e inedita, e lo studio del suo lascito. Fra gli strumenti del centro, il periodico “L’ospite ingrato”, pubblicato con scadenza semestrale dell’editore Quodlibet, e disponibile in rete “L’ospite ingrato” Rivista del Centro Studi Franco Fortini Attività di paroliere Scrisse anche alcuni testi per canzoni: suoi sono, pur se non compare nei crediti, i versi iniziali che costituiscono l’incipit di Domenica e lunedì di Angelo Branduardi, suo allievo di liceo; scrisse inoltre una versione del canto socialista L’Internazionale, più fedele al testo originale rispetto al libero adattamento di E. Bergeret (che è la più diffusa in Italia), Quella cosa in Lombardia di Enzo Jannacci e un Inno nazionale (parodia dell’Inno di Mameli). Opere Libri e raccolte * Foglio di via e altri versi, Einaudi, Torino, 1946 (edizione critica e commentata a cura di Bernardo De Luca, Quodlibet, Macerata, 2018) * Agonia di Natale, Einaudi, Torino 1948; seconda edizione Giovanni e le mani, prefazione di Giovanni Raboni, Einaudi, Torino, 1972. * Sei poesie per Ruth e una per me, tipografia Lucini, Milano, 1953. * Una facile allegoria, Edizioni della Meridiana, Milano, 1954. * In una strada di Firenze, Edizioni Linea grafiche, Milano, 1955. * Asia maggiore. Viaggio nella Cina, Einaudi, Torino, 1956. * I destini generali, S. Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1956. * Dieci inverni (1947-1957) Contributi ad un discorso socialista, Feltrinelli, Milano, 1957. * Sestina a Firenze, Schwarz, Milano, 1959. * Il movimento surrealista, Garzanti, Milano, 1959. * Poesia e errore, Feltrinelli, Milano, 1959. * Poesia delle rose, Libreria Antiquaria Palmaverde, Bologna, 1962. * Sere in Valdossola, Mondadori, Milano, 1963. * Tre testi per film, Edizioni Avanti!, Milano, 1963. * Una volta per sempre, Mondadori, Milano, 1963. * Profezie e realtà del nostro secolo. Testi e documenti per la storia di domani, Laterza, Bari, 1965. * Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Il Saggiatore, Milano, 1965. * L’ospite ingrato. Testi e note per versi ironici, De Donato, Bari, 1966. * I cani del Sinai, De Donato, Bari, 1967: nuova edizione Einaudi, Torino, 1979 con una Nota 1978 per Jean– Marie Straub; nuova edizione con in appendice F, Fortini, Lettera agli ebrei italiani, Quodlibet, Macerata, 2002. * Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, sottotitolo di copertina Breve guida a un buon uso dell’alfabeto, Il Saggiatore, Milano, 1968. * Ventiquattro poesie 1961-1968, S.I.E., (1969). * Questo muro, Mondadori, Milano, 1973. * Saggi italiani, De Donato, Bari, 1974. * La poesia di Scotellaro, Basilicata, Roma, 1974. * Poesie scelte (1938-1973) a cura di Pier Vincenzo Mangaldo, Oscar Mondadori, Milano, 1974. * I poeti del Novecento, Laterza, Bari, 1977. * Questioni di frontiera. Scritti di politica e di letteratura 1965- 1977, Einaudi, Torino, 1977. * Una volta per sempre (Foglio di via – Poesia e errore – Una volta per sempre– Questo muro) Poesie 1938-1973, Einaudi, Torino, 1978. * Una obbedienza, introduzione di Andrea Zanzotto, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 1980. * Il ladro di ciliegie e altre versioni di poesia, Einaudi, Torino, 1982. * Memorie per dopodomani. Tre scritti 1945 1967 e 1980, a cura di Carlo Fini, Quaderni di Barbablù, Siena, 1984. * Paesaggio con serpente, Einaudi, Torino, 1984. * Inesistenze.Cinquanta scritti 1976-1984, Garzanti, Milano, 1985. * Dei confini della poesia, Edizioni l’Obliquo, Brescia, 1986. * La poesia ad alta voce, a cura di Carlo Fini, Taccuini di Barbablù, Siena, 1986. * Note su Giacomo Noventa, Marsilio, Venezia, 1986. * Nuovi Saggi italiani 2, Garzanti, Milano, 1987. * Versi primi e distanti 1937-1957, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1987. * La cena delle ceneri & Racconto fiorentino, prefazione di Mario Spinella, Claudio Lombardi Editore, Milano, 1988. * La morte del cherubino. Racconto 1938, a cura di Carlo Fini, Taccuini di Barbablù, Siena, 1988. * Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine, Garzanti, Milano, 1990. * Versi scelti 1939-1989, Einaudi, Torino, 1990. * Diario tedesco 1949, Piero Manni, Lecce, 1991. * Non solo oggi. Cinquantanove voci, a cura di Paolo Jachia, Editori Riuniti, Roma, 1991. * Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino, 1993. * Composita solvantur, Einaudi, Torino, 1994. * La guerra a Milano. Estate 1943. Edizione critica e commento a cura di Alessandro La Monica, Pisa, Pacini Editore, 2017. Edizioni postume * Poesie inedite, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Einaudi, Torino 1995 * Trentasei moderni. Breve secondo Novecento, prefazione di Romano Luperini, Manni, Lecce 1996 * Disobbedienze 1. Gli anni della sconfitta. Scritti sul Manifesto 1985-1994, prefazione di Rossanna Rossanda, manifestolibri, Roma 1997 * Dialoghi con Tasso, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo e Donatello Santarone, Bollati Boringhieri, Torino 1998 * Dissobedienze II. Gli anni dei movimenti. Scritti sul Manifesto 1972-1985, manifestolibri, Roma 1988 * Franchi dialoghi, F. Fortini– F. Loi, Manni, Lecce 1998 * Il dolore della verità: Maggiani incontra Fortini, a cura di Erminio Risso, Manni, Lecce 2000 * Le rose dell’abisso, a cura di Donatello Santarone, Bollati Boringhieri, Torino 2000 * Disegni Incisioni Dipinti. Catalogo ragionato della produzione pittorica e grafica di Franco Fortini, a cura di Enrico Crispolti, Quodlibet, Macerata 2001 * I cani del Sinai, Quodlibet, Macerata 2002 * Un dialogo ininterrotto. Interviste 1952-1994, a cura di Velio Abati, Bollati Boringhieri, Torino 2003 * Un giorno o l’altro, Quodlibet, Macerata 2006 * Lezioni sulla traduzione, Quodlibet, Macerata 2011 * Capoversi su Kafka, Hacca, Matelica 2018 Traduzioni in volume * G. Flaubert, Un cuore semplice, Edizioni “Lettere d’oggi”, Roma 1942 * C.F. Ramuz, Statura umana, Edizioni di comunità, Milano 1947 * P. Éluard, Poesia ininterrotta (Illustrazioni di Bruno Cassinari), Einaudi, Torino 1947 * S. Kierkegaard, Timore e tremore (Lirica dialettica di Johannes de Silentio), prefazione di J.Wahl, Edizioni di Comunità, Milano 1948 * A. Döblin, Addio al Reno (in collaborazione con Ruth Leiser), Einaudi, Torino 1949 * A. Gide, Viaggio al Congo e ritorno dal Ciad, Einaudi, Torino 1950 * B. Brecht, Madre Courage e i suoi figli (in collaborazione con Ruth Leiser) Einaudi, Torino 1951 * B. Brecht, Santa Giovanna dei macelli (in collaborazione con Ruth Leiser), Einaudi, Torino 1951 * M. Proust, Albertine scomparsa, in Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi, Torino 1951 * S. Weil, L’ombra e la grazia, introduzione di G. Thibon, Edizioni di Comunità, Milano 1951 * S. Weil, La condizione operaia, introduzione di A. Thévenon, Edizioni di Comunità, Milano 1952 * M. Proust, Jean Santeuil, Einaudi, Torino 1953 * S. Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso la creatura umana, Edizioni di Comunità, Milano 1954 * P. Éluard, Poesie. Con l’aggiunta di alcuni scritti di poetica, Einaudi, Torino 1976 * J.W. Goethe, Goetz von Berlichingen (in collaborazione con Ruth Leiser) in: Teatro tedesco dell’età romantica, Edizioni RAI, Torino 1956 * A. Einstein, Idee e opinioni (con la consulenza di Camillo Losurdo), Schwarz, Milano 1957 * B. Brecht, Il romanzo da tre soldi (in collaborazione con Ruth Leiser), Einaudi, Torino 1958 * B. Brecht, Poesie e Canzoni, (in collaborazione con Ruth Leiser), bibliografia musicale di G. Manzoni, Einaudi, Torino 1959 * B. Brecht, Storie da calendario, (in collaborazione con Ruth Leiser), Einaudi, Torino 1959 * R. Queneau, Zazie nel metrò, Einaudi, Torino 1960 * L. Goldmann, B. Pascal e J. Racine, (in collaborazione con Luciano Amodio), Lerici, Milano 1961 * A. Frénaud, L’agonia del generale Krivitski, Il saggiatore, Milano 1962 * H.M. Enzensberger, Poesie per chi non legge poesia. Trenta poesie (in collaborazione con Ruth Leiser), Feltrinelli, Milano 1964, Milano * P. Huchel, Strade strade (in collaborazione con Ruth Leiser), Mondadori, Milano 1970 * J.W. Goethe, Faust, I meridiani, Mondadori, Milano 1970 * B. Brecht, Poesie di Svendborg seguite dalla Raccolta Steffin (con una introduzione del traduttore), Einaudi, Torino 1976 * M. Proust, Poesie, Einaudi, Torino 1938 * F. Kafka, Nella colonia penale e alti racconti (con una nota del traduttore), Einaudi, Torino 1986 Opere in collaborazione * Olivetti 1908-1958, a cura di L. Bigongiari, testi di F. Fortini, Olivetti, Ivrea 1958 * Gli argomenti umani. Antologia italiana per il biennio delle scuole superiori, di A.Vegezzi e F. Fortini, Morano, Napoli 1969 Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Fortini

Maria Luisa Spaziani

Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014) è stata una poetessa, traduttrice e aforista italiana. Biografia Maria Luisa Spaziani nacque in un’agiata famiglia borghese di Torino, dove il padre era proprietario di un’azienda che produce macchinari per l’industria chimica e dolciaria. Ancora studentessa, a soli diciannove anni, diresse una piccola rivista, prima chiamata «Il Girasole» e poi «Il Dado», il cui redattore capo era Guido Hess Seborga, che la fece conoscere negli ambienti letterari; ottenne e pubblicò inediti di grandi nomi nazionali come Umberto Saba, Sandro Penna, Leonardo Sinisgalli, Vasco Pratolini, e internazionali, come Virginia Woolf. Intanto frequentava l’Università di Torino, facoltà di Lingue, laureandosi infine con una tesi su Marcel Proust, relatore il francesista Ferdinando Neri. La cultura francese e la Francia con i suoi autori in seguito sarebbero diventati una sorta di stella polare nel suo immaginario e nel suo vissuto, grazie anche a una serie di soggiorni a Parigi a partire dal 1953, anno del conseguimento di una borsa di studio. Nel gennaio del 1949 conobbe Eugenio Montale durante una conferenza del poeta al teatro Carignano di Torino, e fra i due nacque, dopo un periodo d’assidua frequentazione a Milano, un sodalizio intellettuale caratterizzato anche da un’affettuosa amicizia.Ebbe quindi inizio anche la prima stagione poetica di Maria Luisa Spaziani, che mise insieme un gruppo di liriche e le inviò alla Mondadori. Durante il soggiorno francese del 1953 scrisse nuovi testi, che vennero aggiunti all’originario disegno della raccolta. La casa editrice Mondadori rispose favorevolmente e pubblicò nel 1954 Le acque del Sabato, nella prestigiosa collana Lo Specchio. Nel 1956 la fabbrica del padre subì un tracollo economico, che costrinse la giovane, di ritorno da un viaggio premio negli Stati Uniti promosso per giovani di talento da Henry Kissinger, a cercare un impiego stabile, come insegnante di francese in un collegio di Torino. Il contatto con studenti adolescenti le fece vivere una stagione di luminosa felicità che traspare nelle poesie più originali della sua prima produzione poetica, Luna lombarda (1959), poi confluite nel volume complessivo Utilità della memoria (1966). Negli anni 1955 e 1957 Maria Luisa Spaziani insegnò lingua e letteratura francese presso il liceo scientifico del collegio Facchetti di Treviglio. A tale periodo e a tali luoghi dedicò la poesia Suite per A. con la quale nel 1958 vinse il Premio Lerici (presidente di giuria Enrico Pea). Nel 1958 dopo dieci anni di fidanzamento, testimone di nozze il poeta Alfonso Gatto, sposò Elémire Zolla, studioso della tradizione mistica ed esoterica. Senza più gli slanci amorosi che caratterizzavano i primi anni, il lungo legame con Zolla s’incrinò quasi subito finendo nel 1960, anno in cui il matrimonio venne sciolto. La Spaziani venne quindi chiamata ad insegnare all’Università di Messina lingua e letteratura tedesca fino a quando non si liberò, nello stesso ateneo, l’incarico di lingua e letteratura francese; proprio in quegli anni in ambito accademico cura volumi come Pierre de Ronsard fra gli astri della Pléiade (1972) e II teatro francese del Settecento (1974). Fervida e proficua la sua attività di traduttrice dall’inglese, dal tedesco e dal francese: Pierre de Ronsard, Jean Racine, Gustave Flaubert, P.J. Toulet, André Gide, Marguerite Yourcenar, Marceline Desbordes Valmore, Francis Jammes. La statura intellettuale di Maria Luisa Spaziani superò i confini nazionali: nei viaggi in Francia e negli Stati Uniti la poetessa ebbe tra l’altro modo di conoscere personalità di rilievo assoluto del Novecento letterario come Ezra Pound, Thomas Stearns Eliot, Jean-Paul Sartre. Buona parte del libro di poesie L’occhio del ciclone (1970) fu ispirato dalla sua esperienza vissuta in Sicilia, con i suoi paesaggi e il suo mare, cui fanno seguito raccolte sempre più “diaristiche” e “impure” come Transito con catene (1977) e Geometria del disordine (1981), che si aggiudica il Premio Viareggio per la poesia. Nel 1979, del lavoro poetico di Maria Luisa Spaziani, autrice ormai affermata, con introduzione di Luigi Baldacci, venne pubblicata un’antologia (una seconda, ampliata sarebbe poi uscita nel 2000, e una terza seguì nel 2011) negli “Oscar” Mondadori. Tenne la presidenza infine nel 1982, dopo esserne stata nel 1978 fondatrice, per onorare la memoria del poeta, il Centro Internazionale Eugenio Montale, ora Universitas Montaliana, e il Premio Montale. Negli anni 80 fu autrice e/o conduttrice di alcuni programmi per Radio Rai. Gli ultimi anni Coronamento della storia e del percorso poetico dell’autrice è infine Giovanna d’Arco (1990), poema in ottave di endecasillabi senza rima che testimonia un lungo interesse dell’autrice per questo personaggio. In quest’opera Maria Luisa Spaziani si proponeva di reinventare in una narrazione popolaresca e fabulosa in versi, attraverso il personaggio di Giovanna d’Arco, i suoi oltre cinquant’anni d’ininterrotta e costante attività letteraria, giornalistica e di ricerca. Il poemetto, in un adattamento per frammenti, ha trovato una trasposizione teatrale poetica e visionaria nella regia di Fabrizio Crisafulli (Jeannette, 2002). Maria Luisa Spaziani ha scritto numerosi articoli, apparsi su riviste e quotidiani, saggi critici e una raccolta di racconti, La freccia (2000). È stata tre volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, nel 1990, 1992 e 1997. È stata presidente onorario del Concorso L’anima del bosco, nato nel 2006 e promosso da Magema Edizioni, e presidente onorario del Premio Internazionale Torino in Sintesi riguardante il genere aforistico. Nel 2012 la sua carriera fu onorata con la pubblicazione del Meridiano Mondadori dedicato alla sua opera poetica. Per diversi anni aveva fatto parte della giuria del Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del Premio Internazionale Mario Luzi. Maria Luisa Spaziani si è spenta a Roma il 30 giugno 2014, all’età di novantun anni. Opere principali Poesia Primavera a Parigi, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1954 Le acque del sabato, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1954 Luna lombarda, Venezia, N. Pozza, 1959 Il gong, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1962 Utilità della memoria, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1966 L’occhio del ciclone, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1970 Ultrasuoni, Samedan, Munt press, 1976 Transito con catene, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1977 Poesie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1979– introduzione di Luigi Baldacci Geometria del disordine, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1981– Premio Viareggio La stella del libero arbitrio, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1986 Giovanna D’Arco, romanzo popolare in sei canti in ottave e un epilogo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990 Torri di vedetta, Milano, Crocetti, 1992 I fasti dell’ortica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996 La radice del mare, Napoli, Tullio Pironti editore, 1999 La traversata dell’oasi, poesie d’amore 1998-2001, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002 La luna è già alta, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006 L’incrocio delle mediane, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2008 L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2012 Narrativa Donne in poesia, interviste immaginarie a celebri poetesse dell’Ottocento e del Novecento, Venezia, Marsilio, 1992 La freccia, racconti, Venezia, Marsilio, 2000 Montale e la Volpe, scritti autobiografici, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011 Saggistica Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese, 1959 Il teatro francese del Seicento, 1960 Ronsard fra gli astri della Pleiade, Torino, Eri, 1972 Racine e il “Bajazet”, Roma, Lo faro, 1973 Il teatro francese del Settecento, Roma, Lo faro, 1974 Il teatro francese dell’Ottocento, Roma, Lo faro, 1975 Il teatro francese del Novecento, Messina, EDAS, 1976 Teatro La vedova Goldoni, 2000 La ninfa e il suo re Teatro comico e no, Roma, Bulzoni, 1992 Traduzioni Amicizie violente di Winston Clewes, Mondadori La vittima di Saul Bellow, Feltrinelli Poesie di Sully Prudhomme, Fabbri Editori Poesie di Paul-Jean Toulet, Einaudi Götz von Berlichingen in “Teatro” di Johann Wolfgang von Goethe, Einaudi Novelle orientali di Marguerite Yourcenar, Rizzoli Fuochi di Marguerite Yourcenar, Bompiani (Premio Piombino 1986 per la traduzione) Il colpo di grazia di Marguerite Yourcenar, Feltrinelli Alexis o il trattato della lotta vana di Marguerite Yourcenar, Feltrinelli Così sia ovvero Il gioco è fatto di André Gide, SE Le meteore di Michel Tournier, Garzanti Il gallo cedrone di Michel Tournier, Garzanti Gaspare, Melchiorre e Baldassarre di Michel Tournier, Garzanti Il dubbio e la grazia di Alain Bosquet, Città Armoniosa Madame Bovary di Gustave Flaubert, Oscar Mondadori Britannico – Bajazet – Atalia di Jean Racine, Garzanti Liriche d’amore di Marceline Desbordes-Valmore, Ignazio Maria Gallino Editore Clairières dans le ciel di Francis Jammes, RueBallu Edizioni Onorificenze e riconoscimenti Cavaliere dell’Ordine delle Palme accademiche (Francia) Palazzo Farnese (sede dell’ambasciata), Roma 2011 Nel 2017 Le scuole elementari Casati e Battisti di Torino sono diventate Istituto Comprensivo Maria Luisa Spaziani

Cesare Pavese

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950) è stato uno scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano. Viene considerato uno dei maggiori intellettuali italiani del XX secolo. Biografia L’infanzia Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe sito nella provincia di Cuneo, presso il cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia soleva trascorrere le estati, il 9 settembre del 1908. Il padre, Eugenio Pavese, originario anch’egli di Santo Stefano Belbo, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, dove risiedeva con la moglie, Fiorentina Consolina Mesturini, proveniente da una famiglia di abbienti commercianti originari di Ticineto (in provincia di Alessandria), e la primogenita Maria (nata nel 1902), in un appartamento in via XX Settembre 79. Malgrado l’agiatezza economica, l’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo, appena nato, a una balia del vicino paese di Montecucco e poi, quando lo riprese con sé a Torino, a un’altra balia, Vittoria Scaglione. Il padre morì di un cancro al cervello il 2 gennaio del 1914; Cesare aveva cinque anni. Come è stato scritto, «c’erano già tutti i motivi – familiari e affettivi – per far crescere precocemente il piccolo Cesare [...] per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato e segnato la vita dello scrittore». La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare. Gli studi Nell’autunno dello stesso 1914, la sorella si ammalò di tifo e la famiglia dovette rimanere a Santo Stefano Belbo, dove Cesare frequentò la prima elementare; le altre quattro classi del ciclo le compì a Torino nell’istituto privato “Trombetta” di via Garibaldi. Come scrive Armanda Guiducci, «S. Stefano fu il luogo della sua memoria e immaginazione; il luogo reale della sua vita, per quarant’anni, fu Torino». Lungo lo stradone che da Santo Stefano Belbo porta a Canelli, nella bottega del falegname Scaglione, Cesare conobbe Pinolo, il più piccolo dei figli del falegname, che descriverà in alcune opere, soprattutto La luna e i falò (come Nuto) e a cui rimarrà sempre legato. Nel 1916 la madre, non riuscendo più a sostenere la gestione dei mezzadri e le spese, decise di vendere la cascina di San Sebastiano e andare a vivere con i figli in una villetta nella località collinare di Reaglie. A Torino Cesare frequentò le scuole medie presso l’Istituto Sociale dei gesuiti, poi si iscrisse al Liceo classico Cavour dove scelse il ginnasio con l’indirizzo moderno (Liceo moderno), che non prevedeva lo studio della lingua greca. Incominciò ad appassionarsi alla letteratura, in particolare ai romanzi di Guido da Verona e di Gabriele D’Annunzio. Con il compagno di studi Mario Sturani incominciò un’amicizia durata tutta la vita e prese a frequentare la Biblioteca Civica, scrivendo i primi versi. Nell’ottobre 1923 Pavese si iscrisse al liceo D’Azeglio e scoprì, in particolare, l’opera di Alfieri. Trascorse gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali e le amicizie, come quella con Tullio Pinelli, cui farà leggere per primo il dattiloscritto di Paesi tuoi e scriverà una lettera prima del suicidio. Cesare rimase a lungo a casa da scuola a causa di una pleurite che si era preso rimanendo a lungo sotto la pioggia per aspettare una cantante ballerina di varietà in un locale frequentato dagli studenti, della quale si era innamorato. Era il 1925 e frequentava la seconda liceo. L’anno seguente fu scosso profondamente dalla tragica morte di un suo compagno di classe, Elico Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella. Pavese ebbe la tentazione di emulare quel gesto, come testimonia la poesia inviata il 9 gennaio 1927 all’amico Sturani. Il suo insegnante di italiano e latino fu l’antifascista Augusto Monti, che gli insegnò un metodo rigoroso di studio improntato all’estetica crociana frammista ad alcune concezioni di De Sanctis. Nel 1926, conseguita la maturità liceale, inviò alla rivista “Ricerca di poesia” alcune liriche, che furono però respinte. Si iscrisse intanto alla Facoltà di lettere dell’Università di Torino e continuò a scrivere e a studiare con grande fervore l’inglese, appassionandosi alla lettura di Sherwood Anderson, Sinclar Lewis e soprattutto Walt Whitman, mentre le sue amicizie si allargarono a coloro che diventeranno, in seguito, intellettuali antifascisti di spicco: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi. L’interesse per la letteratura americana divenne sempre più rilevante e così incominciò ad accumulare materiale per la sua tesi di laurea, mentre proseguivano i timidi amori permeati dalla sua visione angelicante della donna. Intanto si immergeva sempre più nella vita cittadina, e così scriveva all’amico Tullio Pinelli: Leggendo Babbit di Sinclair Lewis, Pavese volle capire a fondo lo slang. Incominciò così una fitta corrispondenza con un giovane musicista italoamericano, Antonio Chiuminatto, conosciuto qualche anno prima a Torino, che lo aiutò ad approfondire l’americano a lui più contemporaneo. Così scrisse al corrispondente d’oltreoceano: Negli anni successivi, proseguì gli studi con passione, scrisse versi e lesse molto, soprattutto autori americani come Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell, e la Stein; incominciò a tradurre per l’editore Bemporad Our Mr. Wrenn di Sinclair Lewis e scrisse per Arrigo Cajumi, membro del comitato direttivo della rivista “La Cultura”, il suo primo saggio sull’autore di Babbitt, cominciando così la serie detta Americana. Nel 1930 presentò la sua tesi di laurea “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman” ma Federico Oliviero, il professore con il quale doveva discuterla, la rifiutò all’ultimo momento perché troppo improntata all’estetica crociana e quindi scandalosamente liberale per l’età fascista. Intervenne però Leone Ginzburg: la tesi venne così accettata dal professore di Letteratura francese Ferdinando Neri e Pavese poté laurearsi con 108/110. L’attività di traduttore e l’insegnamento Nello stesso anno morì la madre e Pavese rimase ad abitare nella casa materna con la sorella Maria, dove visse fino al penultimo giorno della sua vita e incominciò, per guadagnare, l’attività di traduttore in modo sistematico alternandola all’insegnamento della lingua inglese. Per un compenso di 1000 lire tradusse Moby Dick di Herman Melville e Riso nero di Anderson. Scrisse un saggio sullo stesso Anderson e, ancora per “La Cultura”, un articolo sull’Antologia di Spoon River, uno su Melville e uno su O. Henry. Risale a questo stesso anno la prima poesia di Lavorare stanca. Ottenne anche alcune supplenze nelle scuole di Bra, Vercelli e Saluzzo e incominciò anche a impartire lezioni private e a insegnare nelle scuole serali. Nel periodo che va dal settembre 1931 al febbraio 1932 Pavese compose un ciclo di racconti e poesie dal titolo Ciau Masino rimasto a lungo inedito, che verrà pubblicato per la prima volta nel 1968 in edizione fuori commercio e contemporaneamente nel primo volume dei Racconti delle “Opere di Cesare Pavese”. Nel 1933, per poter insegnare nelle scuole pubbliche si arrese, pur malvolentieri, alle insistenze della sorella e di suo marito e si iscrisse al partito nazionale fascista, cosa che rimprovererà più tardi alla sorella Maria in una lettera del 29 luglio 1935 scritta dal carcere di Regina Coeli: “A seguire i vostri consigli, e l’avvenire e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza”. Continuava intanto l’attività di multilingua, che terminò solamente nel 1947. Nel 1933 tradusse Il 42º parallelo di John Dos Passos e Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce. Ebbe inizio in questo periodo un tormentato rapporto sentimentale con Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” alla quale dedicherà i versi di Incontro nella raccolta Lavorare stanca. L’incarico all’Einaudi Giulio Einaudi aveva intanto fondato la sua casa editrice. Le due riviste, “La riforma sociale” di Luigi Einaudi e “La Cultura”, che era stata concepita da Cesare De Lollis e in quel momento era diretta da Cajumi, si fusero dando vita a una nuova “La Cultura” della quale doveva diventare direttore Leone Ginzburg. Ma molti partecipanti del movimento "Giustizia e Libertà", tra cui anche Ginzburg, all’inizio del 1934 vennero arrestati e la direzione della rivista passò a Sergio Solmi. Pavese, intanto, fece domanda alla casa editrice per poter sostituire Ginzburg e, dal maggio di quell’anno, essendo egli tra i meno compromessi politicamente, incominciò la collaborazione con l’Einaudi dirigendo per un anno “La Cultura” e curando la sezione di etnologia. Sempre nel 1934, grazie alla raccomandazione di Ginzburg, riuscì a inviare ad Alberto Carocci, direttore a Firenze della rivista Solaria, le poesie di Lavorare stanca che vennero lette da Elio Vittorini con parere positivo tanto che Carocci ne decise la pubblicazione. L’arresto e la condanna per antifascismo Nel 1935 Pavese, intenzionato a proseguire nell’insegnamento, si dimise dall’incarico all’Einaudi e incominciò a prepararsi per affrontare il concorso di latino e greco ma, il 15 maggio, una delazione dello scrittore Dino Segre portò agli arresti di intellettuali aderenti a "Giustizia e Libertà", venne fatta una perquisizione nella casa di Pavese, sospettato di frequentare il gruppo di intellettuali a contatto con Ginzburg, e venne trovata, tra le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. Ma Pavese, in realtà, era innocente, poiché la lettera trovata era rivolta a Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” della quale era innamorato. Tina era però politicamente impegnata e iscritta al Partito comunista d’Italia clandestino e continuava ad avere contatti epistolari con Spinelli e le lettere pervenivano a casa di Pavese che le aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo. Il 4 agosto 1935 Pavese giunse quindi in Calabria, a Brancaleone, e qui scrisse ad Augusto Monti «Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo “dando volta”, leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un’inutile castità». Nell’ottobre di quell’anno aveva incominciato a tenere quello che nella lettera al Lajolo definisce lo “zibaldone”, cioè un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere e aveva fatto domanda di grazia, con la quale ottenne il condono di due anni. Nel 1936, durante il suo confino, venne pubblicata la prima edizione della raccolta poetica Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa, passò quasi inosservata. Il ritorno a Torino Verso la fine del 1936, terminato l’anno di confino, Pavese fece ritorno a Torino e dovette affrontare la delusione di sapere che Tina stava per sposarsi con un altro e che le sue poesie erano state ignorate. Per guadagnarsi da vivere riprese il lavoro di traduttore e nel 1937 tradusse Un mucchio di quattrini (The Big Money) di John Dos Passos per Mondadori e Uomini e topi di Steinbeck per Bompiani. Dal 1º maggio accettò di collaborare, con un lavoro stabile e per lo stipendio di mille lire al mese, con la Einaudi, per le collane “Narratori stranieri tradotti” e “Biblioteca di cultura storica”, traducendo Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Defoe e l’anno dopo La storia e le personali esperienze di David Copperfield di Dickens oltre all’Autobiografia di Alice Toklas della Stein. Il passaggio alla prosa Nel frattempo incominciò a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi, dapprima nella raccolta “Notte di festa” e in seguito nel volume de I racconti e fra il 27 novembre del 1936 e il 16 aprile del 1939 completò la stesura del suo primo romanzo breve tratto dall’esperienza del confino intitolato Il carcere (il primo titolo era stato Memorie di due stagioni) che verrà pubblicato dieci anni dopo. Dal 3 giugno al 16 agosto scrisse Paesi tuoi che verrà pubblicato nel 1941 e sarà la prima opera di narrativa dello scrittore data alle stampe. Si andava intanto intensificando, dopo il ritorno dal confino di Leone Ginzburg da Pizzoli, negli Abruzzi, l’attività del gruppo clandestino di "Giustizia e Libertà" e quella dei comunisti con a capo Ludovico Geymonat. Pavese, che era chiaramente antifascista, venne coinvolto e, al di qua di una precisa e dichiarata definizione politica, incominciò ad assistere con crescente interesse alle frequenti discussioni che avvenivano a casa degli amici. Conobbe in questo periodo Giaime Pintor che collaborava ad alcune riviste letterarie ed era inserito alla Einaudi come traduttore dal tedesco e come consulente e nacque tra loro una salda amicizia. Il periodo della guerra Nel 1940 l’Italia era intanto entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria che era stata sua allieva al liceo D’Azeglio e che gli era stata presentata da Norberto Bobbio. La ragazza, giovane e ricca di interessi culturali, si chiamava Fernanda Pivano e colpì lo scrittore a tal punto che il 26 luglio le propose il matrimonio; malgrado il rifiuto della giovane, l’amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno, che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca. Lajolo scrive che "Per cinque anni Fernanda fu la sua confidente, ed è in lei che Pavese tornò a sperare per avere una casa ed un amore. Ma anche quella esperienza – così diversa – si concluse per lui con un fallimento. Sul frontespizio di Feria d’agosto sono segnate due date: 26 luglio 1940, 10 luglio 1945, che ricordano le due domande di matrimonio fatte a Fernanda, con le due croci che rappresentano il significato delle risposte". In quell’anno Pavese scrisse La bella estate (il primo titolo sarà La tenda), che verrà pubblicato nel 1949 nel volume dal titolo omonimo che comprende anche i romanzi brevi Il diavolo sulle colline e Tra donne sole; tra il 1940 e il 1941 scrisse La spiaggia, che vedrà una prima pubblicazione nel 1942 su “Lettere d’oggi” di Giambattista Vicari. Nel 1941, con la pubblicazione di Paesi tuoi, e quindi l’esordio narrativo di Pavese, la critica sembrò accorgersi finalmente dell’autore. Intanto, nel 1942, Pavese venne regolarmente assunto dalla Einaudi con mansioni di impiegato di prima categoria e con il doppio dello stipendio sulla base del contratto nazionale collettivo di lavoro dell’industria. Nel 1943 Pavese venne trasferito per motivi editoriali a Roma dove gli giunse la cartolina di precetto ma, a causa della forma d’asma di origine nervosa di cui soffriva, dopo sei mesi di convalescenza all’Ospedale militare di Rivoli venne dispensato dalla leva militare e ritornò a Torino che nel frattempo aveva subito numerosi bombardamenti e che trovò deserta dai numerosi amici, mentre sulle montagne si stavano organizzando le prime formazioni partigiane. Nel 1943, dopo l’8 settembre, Torino venne occupata dai tedeschi e anche la casa editrice venne occupata da un commissario della Repubblica sociale italiana. Pavese, a differenza di molti suoi amici che si preparavano alla lotta clandestina, si rifugiò a Serralunga di Crea, piccolo paese del Monferrato, dov’era sfollata la sorella Maria e dove strinse amicizia con il conte Carlo Grillo, che diventerà il protagonista de Il diavolo sulle colline. A dicembre, per sfuggire a una retata da parte dei repubblichini e dei tedeschi, chiese ospitalità presso il Collegio Convitto dei padri Somaschi di Casale Monferrato dove, per sdebitarsi, dava ripetizioni agli allievi. Leggeva e scriveva apparentemente sereno. Il 1º marzo, mentre si trovava ancora a Serralunga, gli giunse la notizia della tragica morte di Leone Ginzburg avvenuta sotto le torture nel carcere di Regina Coeli. Il 3 marzo scriverà: «L’ho saputo il 1º marzo. Esistono gli altri per noi? Vorrei che non fosse vero per non star male. Vivo come in una nebbia, pensandoci sempre ma vagamente. Finisce che si prende l’abitudine a questo stato, in cui si rimanda sempre il dolore vero a domani, e così si dimentica e non si è sofferto». Gli anni del dopoguerra (1945-1950) L’iscrizione al Partito comunista e l’attività a "L’Unità" Ritornato a Torino dopo la liberazione, venne subito a sapere che tanti amici erano morti: Giaime Pintor era stato dilaniato da una mina sul fronte dell’avanzata americana; Luigi Capriolo era stato impiccato a Torino dai fascisti e Gaspare Pajetta, un suo ex allievo di soli diciotto anni, era morto combattendo nella Val d’Ossola. Dapprima, colpito indubbiamente da un certo rimorso, che ben espresse in seguito nei versi del poemetto La terra e la morte e in tante pagine dei suoi romanzi, egli cercò di isolarsi dagli amici rimasti ma poco dopo decise di iscriversi al Partito comunista incominciando a collaborare al quotidiano l’Unità; ne darà notizia da Roma, dove era stato inviato alla fine di luglio per riorganizzare la filiale romana della Einaudi, il 10 novembre all’amico Massimo Mila: «Io ho finalmente regolato la mia posizione iscrivendomi al PCI». Come scrive l’amico Lajolo, «La sua iscrizione al partito comunista oltre ad un fatto di coscienza corrispose certamente anche all’esigenza che sentiva di rendersi degno in quel modo dell’eroismo di Gaspare e degli altri suoi amici che erano caduti. Come un cercare di tacitare i rimorsi e soprattutto di impegnarsi almeno ora in un lavoro che ne riscattasse la precedente assenza e lo ponesse quotidianamente a contatto con la gente... Tentava con quel legame anche disciplinare, di rompere l’isolamento, di collegarsi, di camminare assieme agli altri. Era l’ultima risorsa alla quale si aggrappava per imparare il mestiere di vivere». Nei mesi trascorsi presso la redazione de L’Unità conobbe Italo Calvino, che lo seguì alla Einaudi e ne divenne da quel momento uno dei più stimati collaboratori e Silvio Micheli che era giunto a Torino nel giugno del 1945 per parlare con Pavese della pubblicazione del proprio romanzo Pane duro. Alla sede romana della Einaudi Verso la fine del 1945, Pavese lasciò Torino per Roma dove ebbe l’incarico di potenziare la sede cittadina dell’Einaudi. Il periodo romano, che durò fino alla seconda metà del 1946, fu considerato dallo scrittore come un tempo d’esilio perché staccarsi dall’ambiente torinese, dagli amici e soprattutto dalla nuova attività politica, lo fece ricadere nella malinconia. Nella segreteria della sede romana lavorava una giovane donna, Bianca Garufi, e per lei Pavese provò una nuova passione, più impegnativa dell’idillio con la Pivano, che egli visse intensamente e che lo fece soffrire. Scriverà nel suo diario, il 1º gennaio del 1946, come consuntivo dell’anno trascorso: «Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest’anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?». Nel febbraio del 1946, in collaborazione con Bianca Garufi, a capitoli alterni, incominciò a scrivere un romanzo che rimarrà incompiuto e che sarà pubblicato postumo nel 1959 con il titolo, scelto dall’editore, di Fuoco grande. A Torino: la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici Ritornato a Torino si mise a lavorare su quei temi delineatisi nella mente quando era a Serralunga. Incominciò a comporre i Dialoghi con Leucò e nell’autunno, mentre stava terminando l’opera, scrisse i primi capitoli de Il compagno con il quale volle testimoniare l’impegno per una precisa scelta politica. Terminati i Dialoghi, in attesa della pubblicazione del libro che avvenne a fine novembre nella collana “Saggi”, tradusse Capitano Smith di Robert Henriques. Il 1947 fu un anno intenso per l’attività editoriale e Pavese s’interessò particolarmente della Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici da lui ideata con la collaborazione di Ernesto De Martino, una collana che fece conoscere al mondo culturale italiano le opere di autori come Lévy-Bruhl, Malinowski, Propp, Frobenius, Jung, e che avrebbero dato avvio a nuove teorie antropologiche. Oltre a ciò, Pavese inaugurò anche la nuova collana di narrativa dei “Coralli” che era nata in quello stesso anno in sostituzione dei “Narratori contemporanei”. La febbrile attività narrativa Tra il settembre del 1947 e il febbraio del 1948, contemporaneamente a Il compagno, scrisse La casa in collina che uscì l’anno successivo insieme con Il carcere nel volume Prima che il gallo canti il cui titolo, ripreso dalla risposta di Cristo a Pietro, si riferisce, con tono palesemente autobiografico ai suoi tradimenti politici. Seguirà, tra il giugno e l’ottobre del 1948 Il diavolo sulle colline. Nell’estate del 1948 gli era stato intanto assegnato, per Il compagno, il Premio Salento, ma Pavese aveva scritto all’amico Carlo Muscetta di dimissionarlo da qualsiasi premio letterario, presente o futuro. Alla fine dell’anno uscì Prima che il gallo canti, che venne subito elogiato dai critici Emilio Cecchi e Giuseppe De Robertis. Dal 27 marzo al 26 maggio del 1949 scrisse Tra donne sole e, al termine del romanzo, andò a trascorrere una settimana a Santo Stefano Belbo e, in compagnia dell’amico Pinolo Scaglione, a suo agio tra quelle campagne, incominciò a elaborare quella che sarebbe diventata La luna e i falò, l’ultima sua opera pubblicata in vita. Il 24 novembre 1949 venne pubblicato il trittico La bella estate che comprendeva i già citati tre romanzi brevi composti in periodi diversi: l’eponimo del 1940, Il diavolo sulle colline del 1948 e Tra donne sole del 1949. Sempre nel 1949, scritto nel giro di pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1950, scrisse La luna e i falò che sarà l’opera di narrativa conclusiva della sua carriera letteraria. A Roma: amore, l’ultimo Dopo essere stato per un brevissimo tempo a Milano, fece un viaggio a Roma dove si trattenne dal 30 dicembre del 1949 al 6 gennaio del 1950, ma rimase deluso: il 1º gennaio scriveva sul suo diario: In questo stato d’animo conobbe in casa di amici Constance Dowling, giunta a Roma con la sorella Doris, che aveva recitato in Riso amaro con Vittorio Gassman e Raf Vallone, e, colpito dalla sua bellezza, se ne innamorò. Ritornando a Torino, cominciò a pensare che, ancora una volta, si era lasciato sfuggire l’occasione, e quando Constance si recò a Torino per un periodo di riposo, i due si rividero e la donna lo convinse ad andare con lei a Cervinia, dove Pavese s’illuse di nuovo. Constance infatti aveva una relazione con l’attore Andrea Checchi e ripartì presto per l’America per tentare fortuna a Hollywood, lasciando lo scrittore amareggiato e infelice. A Constance, come per un addio, dedicò il romanzo La luna e i falò: «For C.– Ripeness is all». Il Premio Strega Nella primavera-estate del 1950 uscì la rivista Cultura e realtà; Pavese, che faceva parte della redazione, aprì il primo numero della rivista con un suo articolo sul mito, nel quale affermava la sua fede poetica di carattere vichiano, la quale non venne apprezzata dagli ambienti degli intellettuali comunisti. Cesare venne attaccato e, sempre più amareggiato, annotò nel suo diario il 15 febbraio «Pavese non è un buon compagno... Discorsi d’intrighi dappertutto. Losche mene, che sarebbero poi i discorsi di quelli che ti stanno più a cuore», e ancora il 20 maggio: «Mi sono impegnato nella responsabilità politica che mi schiaccia.» Pavese era terribilmente depresso e neppure riuscì a risollevarlo il Premio Strega che ricevette nel giugno del 1950 per La bella estate; in quella occasione fu accompagnato da Doris Dowling, sorella dell’amata Constance. La morte Nell’estate 1950 trascorse alcuni giorni a Bocca di Magra, vicino a Sarzana, in Liguria, meta estiva di molti intellettuali, dove conobbe un’allora diciottenne Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati, appartenente alla nobile famiglia dei Bollati di Saint-Pierre (e futura moglie prima dell’imprenditore Attilio Turati poi del ministro Antonio Bisaglia). I due ebbero una breve storia d’amore, come testimoniano i manoscritti dello scrittore, che la chiamava con lo pseudonimo di “Pierina”. Tuttavia, nemmeno questo nuovo sentimento riuscì a dissipare la sua depressione; in una lettera dell’agosto 1950, scriveva: Il 17 agosto aveva scritto sul diario, pubblicato nel 1952 con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più».In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mise prematuramente fine alla sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «Ho cercato me stesso». Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo. Opera e poetica Importante fu l’opera di Pavese scrittore di romanzi, poesie e racconti, ma anche quella di traduttore e critico: oltre all’Antologia americana curata da Elio Vittorini, essa comprende la traduzione di classici della letteratura da Moby Dick di Melville, nel 1932, a opere di Dos Passos, Faulkner, Defoe, Joyce e Dickens. Nel 1951 uscì postumo, edito da Einaudi e con la prefazione di Italo Calvino il volume La letteratura americana e altri saggi con tutti i saggi e gli articoli che Pavese scrisse tra il 1930 e il 1950. La sua attività di critico in particolare contribuì a creare, verso la metà degli anni trenta, il sorgere di un certo “mito dell’America”. Lavorando nell’editoria (per la Einaudi) Pavese propose alla cultura italiana scritti su temi differenti, e prima d’allora raramente affrontati, come l’idealismo e il marxismo, inclusi quelli religiosi, etnologici e psicologici. Opere L’elenco è in ordine cronologico in base alla data di pubblicazione delle rispettive prime edizioni. Poiché molti testi furono pubblicati anni dopo essere stati composti, dove opportuno sono segnalate le date di composizione. Raccolte * Racconti, 3 voll., Torino, Einaudi, 1960. [Contiene i racconti editi in Feria d’agosto e Notte di festa con l’aggiunta di frammenti di racconti e racconti inediti] * Tutti i romanzi, a cura di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 2000. ISBN 88-446-0079-X. Tutti i racconti, a cura di Mariarosa Masoero, introduzione di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-446-0081-1. [Contiene i già editi Racconti, e Ciau Masino, e altri testi già inseriti a partire dall’ed. del 1968 dell’opera omnia. Romanzi e racconti * Paesi tuoi, Torino, Einaudi, 1941. [romanzo] * Prima che il gallo canti, Torino, Einaudi, 1948. [Contiene i romanzi Il carcere, scritto nel 1938-1939, e La casa in collina] * La spiaggia, in “Lettere d’oggi”, a. III, nn. 7-8, 1941; poi in volume, Roma, Ed. Lettere d’oggi, 1942; Torino, Einaudi, 1956. [romanzo breve] * Feria d’agosto, Torino, Einaudi, 1946. [racconti] * Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 1947. [racconti: conversazioni a due tra personaggi mitologici] * Il compagno, Torino, Einaudi, 1947. [romanzo] * La casa in collina, Torino, Einaudi, 1948. [romanzo] * La bella estate, Torino, Einaudi, 1949. [Contiene i romanzi: La bella estate (1940), Il diavolo sulle colline e Tra donne sole] * La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1950. [romanzo] * Notte di festa, Torino, Einaudi, 1953. [racconti] * Fuoco grande, scritto a capitoli alterni con Bianca Garufi, Torino, Einaudi, 1959. [romanzo incompiuto] * Ciau Masino, Torino, Einaudi, 1968. * Lotte di giovani e altri racconti (1925-1930), a cura di Mariarosa Masoero, Collana Nuovi Coralli, Torino, Einaudi, 1993, ISBN 978-88-061-3200-2. Poesie * Lavorare stanca, Firenze, Solaria, 1936; ed. ampliata con le poesie dal 1936 al 1940, Torino, Einaudi, 1943. La terra e la morte, in “Le tre Venezie”, nn. 4-5-6, 1947; nuova edizione postuma, in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino, Einaudi, 1951; compreso anche in Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1962. [9 poesie] * Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Torino, Einaudi, 1951. [10 poesie inedite e quelle incluse in La terra e la morte] * Poesie del disamore e altre poesie disperse, Torino, Einaudi, 1962. [Contiene: Poesie del disamore, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, poesie escluse da Lavorare stanca, poesie del 1931‑1940 e due del 1946] * Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1962. [Contiene: Lavorare stanca, La terra e la morte, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e 29 poesie inedite] * 8 poesie inedite e quattro lettere a un’amica (1928-1929), Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1964. * Poesie giovanili, 1923-30, a cura di Attilio Dughera e Mariarosa Masoero, Torino, Einaudi, 1989. Saggi e diari * La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951. [saggi e articoli 1930-1950] * Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, Torino, Einaudi, 1952; nuova edizione condotta sull’autografo a cura di Marziano Guglielminetti e Laura Nay, Einaudi, 1990. ISBN 88-06-11863-3. * Interpretazione della poesia di Walt Whitman. Tesi di laurea, 1930, a cura di Valerio Magrelli, Torino, Einaudi, 2006. [edizione di 1000 esemplari numerati] * Dodici giorni al mare. [Un diario inedito del 1922], a cura di Mariarosa Masoero, Genova, Galata, 2008. ISBN 978-88-95369-04-4. * Il quaderno del confino, a cura di Mariarosa Masoero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010. ISBN 978-88-6274-184-2. Sceneggiature * Il diavolo sulle colline; Gioventù crudele, in “Cinema Nuovo”, settembre-ottobre 1959. [soggetti cinematografici] * Il serpente e la colomba. Scritti e soggetti cinematografici, a cura di Mariarosa Masoero, introduzione di Lorenzo Ventavoli, Torino, Einaudi, 2009. ISBN 978-88-06-19800-8. Epistolari * Lettere 1924-1950I, Lettere 1924-1944, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1966. * II, Lettere 1945-1950, a cura di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1966.Vita attraverso le lettere, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1973. * C. Pavese-Ernesto De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950, A cura di Pietro Angelini, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, ISBN 978-88-339-0529-7. * Officina Einaudi. Lettere editoriali, 1940-1950, a cura di Silvia Savioli, Torino, Einaudi, 2008. ISBN 978-88-06-19352-2. * C. Pavese-Felice Balbo-Natalia Ginzburg, Lettere a Ludovica [Nagel], A cura di Carlo Ginzburg, Milano, Archinto, 2008, ISBN 978-88-776-8517-9. * C. Pavese-Renato Poggioli, «A Meeting of minds». Carteggio (1947-1950), A cura di S. Savioli, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, ISBN 978-88-627-4219-1. * Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi 1945-1950, a cura di Mariarosa Masoero, Collana Saggi e testi n.20, Firenze, Olschki, 2011, ISBN 978-88-222-6074-1. Traduzioni * Sinclair Lewis, Il nostro signor Wrenn. Storia di un gentiluomo romantico, Firenze, Bemporad, 1931. * Herman Melville, Moby Dick o La balena, Torino, Frassinelli, I ed. 1932; II ed. riveduta, Frassinelli, 1941. * Sherwood Anderson, Riso nero, Torino, Frassinelli, 1932. * James Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, Torino, Frassinelli, 1933. * John Dos Passos, Il 42º parallelo, Milano, A. Mondadori, 1934. * John Dos Passos, Un mucchio di quattrini, Milano, A. Mondadori, 1938. * John Steinbeck, Uomini e topi, Milano, Bompiani, 1938. * Gertrude Stein, Autobiografia di Alice Toklas, Torino, Einaudi, 1938. * Daniel Defoe, Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, Torino, Einaudi, 1938. * Charles Dickens, David Copperfield, Torino, Einaudi, 1939. * Christopher Dawson, La formazione dell’unità europea. Dal secolo V al secolo XI, Torino, Einaudi, 1939. * George Macaulay Trevelyan, La rivoluzione inglese del 1688-89, Torino, Einaudi, 1940. * Herman Melville, Benito Cereno, Torino, Einaudi, 1940. * Gertrude Stein, Tre esistenze, Torino, Einaudi, 1940. * Christopher Morley, Il cavallo di Troia, Milano, Bompiani, 1941. * William Faulkner, Il borgo, Milano, A. Mondadori, 1942. * Robert Henriques, Capitano Smith, Torino, Einaudi, 1947. * La Teogonia di Esiodo e Tre Inni omerici, a cura di Attilio Dughera, Collezione di poesia, Torino, Einaudi, 1982. [versione redatta negli anni 1947-1948] * Percy Bysshe Shelley, Prometeo slegato, A cura di Mark Pietralunga, Collezione di poesia n.260, Torino, Einaudi, 1997. [versione redatta nel 1925] * Quinto Orazio Flacco, Le Odi, A cura di Giovanni Barberi Squarotti, Collana Saggi e testi n.21, Firenze, Olschki, 2013, ISBN 978-88-222-6243-1. [versione redatta nel 1926] Francesca Belviso, Amor Fati. Pavese all’ombra di Nietzsche. La volontà di potenza nella traduzione di Cesare Pavese, Introduzione di Angelo D’Orsi, Torino, Aragno, 2016, ISBN 978-88-841-9772-6. [contiene in appendice la versione parziale dell’opera del filosofo tedesco: condotta tra il 1945-1946, fu rifiutata da Einaudi] Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Pavese

Dino Campana

Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932) è stato un poeta italiano. Biografia Dino Campana nacque a Marradi, un piccolo paese tosco-romagnolo sito nella provincia di Firenze, il 20 agosto del 1885, figlio di Giovanni Campana, insegnante di scuola elementare, poi direttore didattico, descritto come un uomo per bene ma di carattere debole e remissivo, e di Francesca Luti, detta Fanny, una donna severa e compulsiva, affetta da mania deambulatoria e fervente credente cattolica. La madre era attaccata in modo morboso al figlio Manlio, più giovane di due anni di Dino. Trascorre l’infanzia in modo apparentemente sereno nel paese natìo, ma intorno all’età dei quindici anni gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi, che – nonostante tutto – non gli impediranno comunque di frequentare i vari cicli di scuola. Frequenta le elementari a Marradi, poi frequenta la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza. Intraprende gli studi liceali dapprima presso il Liceo Torricelli della stessa città, ed in seguito a Carmagnola (in provincia di Torino), presso il regio liceo Baldessano, dove consegue la maturità nel luglio del 1903. Quando rientra a Marradi, le crisi nervose si acutizzano, come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia (soprattutto con la madre) ed il paese natío. Per ovviare alla monotonia delle serate marradesi, specie nella stagione invernale, Dino era solito recarsi a Gerbarola, una località poco distante dal borgo, dove con gli abitanti del luogo trascorreva qualche ora mangiando le caldarroste (la castagna è infatti il frutto tipico di Marradi), comunemente appellate con il nome di bruciati. Questo tipo di svago sembrava avere effetti positivi sui suoi disturbi psichici. Dopo il conseguimento del diploma di maturità, Dino, all’età di diciotto anni, si iscrive, nell’autunno del 1903, presso l’Università di Bologna, al corso di laurea in Chimica pura, e nel gennaio dell’anno successivo entra far parte della scuola per gli ufficiali di complemento di Ravenna. Non riesce, però a superare l’esame per diventare sergente, e viene quindi prosciolto dal servizio ed in seguito congedato. Nel 1905 passa alla Facoltà di Chimica farmaceutica presso l’Università di Firenze, ma dopo pochi mesi il suo trasferimento in Toscana, Campana decide di trasferirsi nuovamente a Bologna. Il poeta espresse il suo “male oscuro” con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda: la prima reazione della famiglia, del paese e successivamente anche dell’autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua fuga, che si realizzava con viaggi in paesi stranieri, dove si dedicava ai mestieri più disparati per sostentarsi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico del tempo, così come per le incertezze dei familiari) il ricovero in manicomio. Inoltre, veniva visto con sospetto per i tratti somatici che venivano giudicati “germanici” e per l’impeto con cui discuteva di poesia e filosofia. Internato per la prima volta nel manicomio di Imola (in provincia di Bologna), nel settembre del 1905, ne tenta una fuga già tra il maggio ed il luglio del 1906, per raggiungere la Svizzera e da lì la Francia. Verrà arrestato a Bardonecchia (in provincia di Torino) e di nuovo ricoverato ad Imola. Ne uscirà nel 1907, per l’interessamento della famiglia a cui viene affidato. Risale intorno al 1907 un suo viaggio in Argentina, presso una famiglia di lontani parenti emigrati, caldeggiato dagli stessi genitori per liberarlo dal tanto odiato paese natìo, e probabilmente perché il conflitto con la madre si era fatto ormai insanabile. Con molta certezza, Dino Campana accetta di partire per lasciarsi soprattutto alle spalle l’esperienza del manicomio, e perché si sentiva attratto per la nuova meta. Il viaggio in Sudamerica rappresenta comunque un punto particolarmente oscuro della biografia del poeta marradese: se alcuni infatti arrivarono a chiamarlo come “il poeta dei due mondi”, c’è anche chi, come per esempio Ungaretti, sostiene invece che in Argentina Campana non ci andò neppure. Regna una certa confusione anche sulle varie versioni intorno alla datazione e alle modalità del viaggio e sul tragitto del ritorno. Tra le varie ipotesi, quella più accreditata vede la sua partenza nell’autunno del 1907 da Genova, ed abbia vagabondato per l’Argentina fino alla primavera del 1909, quando ricompare a Marradi, dove viene arrestato. Dopo un breve internamento al San Salvi di Firenze, riparte per un viaggio in Belgio, ma viene nuovamente arrestato a Bruxelles, venendo quindi internato presso la maison de santé di Tournay all’inizio del 1910. A questo punto, si rivolge in cerca di aiuto alla famiglia e viene rimandato in Italia, a Marradi: vive un periodo più tranquillo; tra il 1912 ed il 1913, infatti, si immatricola per la seconda volta presso l’ateneo bolognese, ma soltanto dopo due mesi, chiede il trasferimento per Genova. Durante il soggiorno universitario nel capoluogo emiliano ha però modo di frequentare i gruppi di goliardi, con i quali riesce a stringere dei solidi rapporti d’amicizia, e degli appassionati di letteratura della sua età. Proprio sui fogli pubblicati dai goliardi bolognesi, infatti, escono le sue prime prove poetiche, alcune delle quali verranno in seguito incluse nell’opera maggiore di Campana, i Canti Orfici. I Canti Orfici Nel 1913 Campana si reca a Firenze, presentandosi alla redazione della rivista Lacerba di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, suo lontano parente, a cui consegna il suo manoscritto dal titolo Il più lungo giorno. Non viene però preso in considerazione ed il manoscritto va ben presto perduto (sarà ritrovato solamente sessant’anni dopo, nel 1971, dopo la morte di Soffici, tra le sue carte nella casa di Poggio a Caiano, probabilmente nello stesso posto in cui era stato riposto e subito dimenticato).Dopo qualche mese di attesa irrisposta, Campana scende da Marradi a Firenze per riprendersi il manoscritto. Papini non lo possiede più e lo indirizza da Soffici, che però sostiene di non esserne mai entrato in possesso. Il giovane, la cui mente è già labile, si arrabbia e si dispera, poiché aveva consegnato, ingenuamente, l’unica copia esistente dell’opera. Scrive ed implora insistentemente senza altro risultato che il disprezzo e l’indifferenza di tutto l’ambiente culturale che gravita intorno alle “Giubbe Rosse”. Infine, esasperato, minaccia di venire con il coltello per farsi giustizia dell’"infame" Soffici e dei suoi soci, che definisce “sciacalli”. A proposito del dissidio tra Campana e l’ambiente letterario fiorentino si leggano le parole che Campana scrisse a Papini in una lettera del maggio del 1913: "(...) E se di arte non capite più niente cavatevi da quel focolaio di càncheri che è Firenze e venite qua a Genova: e se siete un uomo d’azione la vita ve lo dirà e se siete artista il mare ve lo dirà. Ma se voi avete un qualsiasi bisogno di creazione non sentite che monta attorno a voi l’energia primordiale di cui inossare i vostri fantasmi? Accademia della Crusca. Accademia dei Lincei. Accademia del mantellaccio: sì, voi siete l’accademia del Mantellaccio; con questo nome ora vi dico in confidenza, io vi chiamo se non rispettate di più l’arte. Mandate via quella redazione che a me sembrano tutti cialtroni. Essi sono ignari del «numero che governa i bei pensieri». La vostra speranza sia fondare l’alta coltura italiana. Fondarla sul violento groviglio delle forze nelle città elettriche sul groviglio delle selvagge anime del popolo, del vero popolo, non di una massa di lecchini, finocchi, camerieri, cantastorie, saltimbanchi, giornalisti e filosofi come siete a Firenze. Sapete, essendo voi filosofo sono in diritto di dire tutto: del resto vi sarete accorto che sono un’intelligenza superiore alla media. Per finire, il vostro giornale è monotono, molto monotono: l’immancabile Palazzeschi, il fatale Soffici: come novità: Le cose che fanno la Primavera. In verità vi dico tutte queste cose non fanno la Primavera ma l’inverno. Ma scrivete un po’ a Marinetti che è un ingegno superiore, scrivetegli che vi mandi qualche cosa di buono: e finitela colla critica” Nell’inverno del 1914, persa ormai ogni speranza di recuperare il manoscritto, Campana decide di riscrivere tutto affidandosi alla memoria e alle sue sparse bozze; in pochi mesi, lavorando anche di notte ed a costo di un enorme sforzo mentale, riesce a riscrivere il libro, con numerose modifiche ed aggiunte. Nella primavera dello stesso anno, Campana riesce finalmente a pubblicare, a proprie spese, la raccolta con il nuovo titolo, appunto, di Canti Orfici, in riferimento alla figura mitologica di Orfeo, il primo dei “poeti-musicisti”. Nel 1915 una recensione ai Canti da parte di Renato Fondi, sul Fanfulla della domenica, gli restituisce "il senso della realtà": trascorre quindi l’anno viaggiando senza una meta fissa tra Torino, Domodossola, ancora Firenze. Scoppia la Grande Guerra: Campana viene esonerato dal servizio militare, ufficialmente per problemi di salute fisica, in realtà perché segnalato ormai come malato psichiatrico grave. Nel 1916 ricerca inutilmente un impiego. Scrive a Emilio Cecchi (che sarà, insieme a Giovanni Boine —che comprese da subito l’importanza di Campana, recensendo i Canti Orfici nel 1914 su Plausi e Botte– e a Giuseppe De Robertis, uno dei suoi pochi estimatori) ed inizia con lo scrittore una breve corrispondenza. A Livorno si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, che scrive su di lui un articolo denigratorio sul quotidiano Il Telegrafo: si arriva quasi al duello.Nello stesso anno conosce la scrittrice Sibilla Aleramo, autrice del romanzo Una donna, con la quale instaura un’intensa quanto tumultuosa relazione, che si interromperà all’inizio del 1917, a seguito di un breve incontro nel Natale del 1916, a Marradi. Esistono testimonianze della relazione avvenuta tra Dino e Sibilla nel carteggio pubblicato da Feltrinelli nel 2000: Un viaggio chiamato amore– Lettere 1916-1918. Il carteggio ha inizio con una lettera della Aleramo, datata 10 giugno 1916, nella quale l’autrice esprime la sua ammirazione per i Canti Orfici, dichiarando di esserne stata “incantata e abbagliata insieme”. Sibilla era allora in vacanza nella Villa La Topaia a Borgo San Lorenzo, mentre Campana era in una stazione climatica presso Firenzuola per rimettersi in salute dopo essere stato colpito da una leggera paresi al lato destro del corpo. Ultimi anni e morte Nel 1918, Campana viene internato presso l’ospedale psichiatrico di Villa di Castelpulci, nei pressi di Scandicci (in provincia di Firenze). Lo psichiatra Carlo Pariani lo va a trovare per intervistarlo e conferma l’inappellabile diagnosi: ebefrenia, una forma estremamente grave ed incurabile di psicosi schizofrenica; tuttavia il poeta sembra essere a suo agio nel manicomio, vivendo una vita tranquilla e, finalmente, sedentaria.Dino Campana muore in ospedale, sembra per una forma di setticemia, causata dal ferimento con un filo spinato nella zona dello scroto, durante un tentativo di fuga, il 1º marzo del 1932. Il 2 marzo, la salma di Campana viene inumata nel cimitero di San Colombano, a Badia a Settimo, nel territorio di Scandicci, ma nel 1942, su diretto interessamento di Piero Bargellini, viene data alle spoglie del poeta una sepoltura più dignitosa e la salma trova riposo nella cappella sottostante il campanile della chiesa di San Salvatore. Durante la seconda guerra mondiale, il 4 agosto del 1944, i tedeschi, in ritirata, fanno saltare con una carica esplosiva il campanile, distruggendo nel contempo anche la cappella. Nel 1946 le ossa del poeta, in seguito ad una cerimonia alla quale partecipano numerosi intellettuali dell’epoca, tra i quali Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Carlo Bo, Ottone Rosai, Pratolini ed altri, vengono collocate all’interno della chiesa di San Salvatore a Badia a Settimo, raggiungendo così la loro dimora attuale. La poetica La poesia di Campana è una poesia nuova nella quale si amalgamano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori. Il verso è indefinito, l’articolazione espressiva in un certo senso monotona ma nel contempo ricca di immagini molto forti di annientamento e purezza. Il titolo allude agli inni orfici, genere letterario attestato nell’antica Grecia tra il II e il III secolo d.C. e caratterizzato da una diversa teogonia rispetto a quella classica. Inoltre le preghiere agli dei (in particolare al dio Protogono) sono caratterizzate dagli scongiuri dal male e dalle sciagure. I temi fondamentali Uno dei temi maggiori di Campana, che si trova già all’inizio dei “Canti Orfici” nelle prime parti in prosa– La notte e Il viaggio e il ritorno– è quello dell’oscurità tra il sogno e la veglia. Gli aggettivi e gli avverbi ritornano con una ripetitiva insistenza come di chi detta durante un sogno, sogno però interrotto da forti trasalimenti (si veda la poesia “l’invetriata”, mirabile spleen baudelairiano). Nella seconda parte– nel notturno di “Genova”, ritornano tutti i miti fondamentali che saranno del Campana successivo: le città portuali, la matrona barbarica, le enormi prostitute, le pianure ventose, la schiava adolescente. Già nella prosa si nota l’uso dell’iterazione, l’uso drammatico dei superlativi, l’effetto d’eco nelle preposizioni, il ricorrere alle parole chiave che creano una forte scenografia. Del Serra ha esaminato le figure ricorrenti in Campana: anastrofi, adnominationes, tmesi anacolutiche e chiasmiche, catacresi, anastrofe con aprosdoketon. L’interpretazione della poesia Nel quindicennio che va dalla sua morte alla fine della seconda guerra mondiale (1932-1945) ed anche in seguito, nel periodo dell’espressionismo e del futurismo, l’interpretazione della poesia di Campana si focalizza sullo spessore della parola apparentemente incontrollata, nascosta in una zona psichica di allucinazione e di rovina. Nei suoi versi, dove vi sono elementi deboli di controllo e di approssimativa scrittura, si avverte – a parere di molti critici – il vitalismo delle avanguardie del primo decennio del XX secolo; dai suoi versi, per la verità, hanno attinto poeti molto differenti tra di loro, come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto. Campana e Rimbaud Il destino di Campana è stato avvicinato a quello di Rimbaud. Ma, secondo alcuni, tra Campana e il poeta maledetto il punto di contatto (il bisogno di fuggire, l’idea del viaggio, l’abbandono di un mondo civile estraneo) è affrontato in modo molto diverso. Dove Rimbaud abbandona la letteratura per fuggire in Africa e prestarsi a mestieri avventurosi ed alternativi, come il trafficante d’armi, Campana alla fine dei suoi viaggi, senza una vera meta, trova solamente la follia. E se Rimbaud aveva fatto una scelta, Campana non scelse ma fu sopraffatto dagli eventi che attraversarono la sua vita diventandone una vittima: senza però mai disertare la poesia, come, differentemente, aveva fatto il poeta francese. Campana, fino al suo internamento a Castel Pulci, lotterà per la sua poesia e per una vita che non era mai riuscita a donargli nulla in termini di serenità e pace; e anche la strada dell’amore, il suo incontro con Sibilla Aleramo, si trasformerà in una sconfitta. Come scrive Carlo Bo nel saggio “La nuova poesia: Storia della letteratura italiana– il Novecento” (Garzanti, 2001): Eugenio Montale fu tra i primi estimatori ufficiali, il più autorevole ad oggi, delle composizioni di Dino Campana, tanto da dedicargli una poesia o meglio un omaggio a chi meglio di lui aveva saputo piegare le parole fino a renderle ancora più oscure. Sebbene i canti di Dino Campana affondino ben oltre il simbolismo francese, direttamente nelle radici della nostra terra toscana, Campana guarda al Trecento dantesco, al Cavalcanti al Dante della commedia fino ad arrivare ai canti del Foscolo (Giacomo Leopardi ancora non era stato molto diffuso), ed è toccante l’allusione dantesca con cui Eugenio Montale chiude questa struggente lirica di stampo prettamente biografico (di Dino Campana si evitava di citare per motivi piccoli borghesi la sua vita e i suoi amori travagliati nonché il suo pacifismo antinterventista) e proprio per questo ancor più provocatoria: “fino a quando riverso a terra cadde!”. Dino Campana e l’arte La critica ha spesso indagato e continua ad interrogarsi su quanto vi è di figurativo nell’opera del poeta di Marradi, conosciuto dall’immaginario come il poeta folle e visionario. Nel 1937 Gianfranco Contini scriveva «Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa». Nei Canti Orfici sussistono infatti elementi sia visivi che visionari con numerosi riferimenti alla pittura. Analizzando la funzione che questi aspetti hanno all’interno dell’opera si nota con evidenza come al lato visionario, con riferimento a Leonardo, a De Chirico e all’arte toscana, sia affiancato in perfetta coesione quello visivo che trova le sue allusioni nel futurismo. Pasolini, che aveva riletto con molta attenzione l’opera di Campana, aveva scritto «Particolarmente precisa era la sua cultura pittorica: gli apporti nella sua lingua del gusto cubista e di quello del futurismo figurativo sono impeccabili. Alcune sue brevi poesie-nature morte sono tra le più riuscite e se sono alla "manière de" lo sono con un gusto critico di alta qualità». A proposito poi delle conoscenze leonardesche dell’autore si può leggere, in una lettera del 12 maggio 1914 scritta da Campana a Soffici da Ginevra «Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicoanalisi sessuale di Segantini, Leonardo e altri (in particolare “Sesso e carattere” di Otto Weininger) che contengono cose in Italia inaudite: potrei fargliene un riassunto per Lacerba». La critica Dopo la pubblicazione dei “Canti Orfici” inizia subito la critica con tre articoli che, se pur differenti, danno origine al mito Campana: sulla rivista “La Voce” appare, verso la fine del 1914, l’articolo di Giuseppe De Robertis, sulla “Tribuna” quello di Emilio Cecchi e sulla “Riviera Ligure” quello di Giovanni Boine entrambi del 1915. Il ritrovamento del manoscritto de Il più lungo giorno tra le carte di Soffici fu annunciato sul Corriere della Sera del 17 giugno 1971 da Mario Luzi e ha consentito nuove forme di indagini sul complesso degli scritti campaniani. Citazioni e dediche a Dino Campana CinemaA Dino Campana sono stati dedicati quattro film: Dino Campana, 1974, regia di Marco Moretti Inganni, 1985, regia di Luigi Faccini Il più lungo giorno, 1997, regia di Roberto Riviello Un viaggio chiamato amore, 2002, regia di Michele Placido. La Scomparsa, 2016, regia di Maria Luisa CarrettoRomanziAl viaggio di Dino Campana in Uruguay e in Argentina è dedicato il romanzo di Laura Pariani Questo viaggio chiamavamo amore (Einaudi 2015).PoesiaAlla storia di amore fra Campana a la Aleramo è dedicata la poesia Sibilla del poeta Riccardo Savini, inclusa nella raccolta Nero oro ero (2010). Alla relazione tra Dino Campana e Sibilla Aleramo è dedicata la poesia di Daniele Miglio Dino e Sibilla pubblicata nella raccolta intitolata proprio Dino e Sibilla uscita nel 2011 per Edizioni il Papavero. Nell’opera vi sono più riferimenti alla poetica e al pensiero del Campana.TeatroAlla vicenda di Campana sono stati dedicati la pièce teatrale Quasi un uomo dello scrittore argentino Gabriel Cacho Millet (curatore anche dell’epistolario di Campana dal titolo Le mie lettere sono fatte per essere bruciate), la pièce teatrale “ Dino Campana poeta ” (testo di Andrea Manzi) per la regia di Lorenzo Cicero che debuttò a Marradi in occasione del primo centenario della nascita; il racconto di Antonio Tabucchi Vagabondaggio ne Il gioco del rovescio nell’edizione del 1988 e quattro film: il primo, “Dino Campana”, girato nel 1974 in formato S.8 dal giovane Marco Moretti (vincitore del Premio Nazionale "Dal S.8 al 35mm"), incentrato sulle connessioni tra vita e poesia; l’ultimo è quello di Michele Placido Un viaggio chiamato amore (2002), con Stefano Accorsi nei panni di Campana e Laura Morante in quelli di Sibilla Aleramo. A Dino Campana è stato dedicato lo spettacolo “Nottecampana” con Carlo Monni, Arlo Bigazzi, Orio Odori e Giampiero Bigazzi, da cui sono stati tratti il cd omonimo (2009, Materiali Sonori) e il libro “Nottecampana– Storie di Dino Campana o dell’urgenza della poesia” (2010, Editrice Zona). La vicenda biografica e poetica di Dino Campana viene narrata nella pièce teatrale "La più lunga ora, ricordi di Dino Campana, Poeta, Pazzo" scritta e diretta da Vinicio Marchioni, (2008) con Vinicio Marchioni, Milena Mancini, Ruben Rigillo.MusicaAlla vita di Campana è dedicata la canzone di Massimo Bubola dal titolo “Dino Campana” uscita nel 1997 all’interno del disco Mon trésor. Campana è citato nella Canzone per Alda Merini (1999) di Roberto Vecchioni. Il compositore italiano Lorenzo Signorini ha scritto due brani per voce recitante, arpa e percussioni ispirate ai Canti Orfici di Campana: Le Stelle le Pallide Notturne (2003) e La sera di fiera (2004). Il cantautore fiorentino Massimiliano Larocca ha musicato la poesia di Campana “La petite promenade du poete”, pubblicata nel suo album La breve estate del 2008. Nel 2016 Massimiliano Larocca pubblica il disco “Un mistero di sogni avverati”, nel quale compaiono 13 poesie di Dino Campana musicate integralmente dal cantautore fiorentino. All’album partecipano Riccardo Tesi, Nada, Sacri Cuori, Hugo Race e Cesare Basile “Da lontano un ubriaco canta amore alle persiane” è citato nel brano del 1998 “Ubriaco canta amore” della BandabardòCinemaI versi Fabbricare fabbricare fabbricare / preferisco il rumore del mare / che dice fabbricare fare e disfare hanno ispirato il titolo del film Preferisco il rumore del mare di Mimmo Calopresti. Nel 2016 è stato realizzato il cortometraggio “L’alluvione ha sommerso”. Il film breve racconta in modo originale la genesi dei Canti Orfici e si lega alla poesia “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili” di Eugenio Montale, in cui l’autore ricorda la tragica alluvione di Firenze del 1966 durante la quale, tra le tante cose, l’acqua del fiume Arno gli portò via anche una copia del volume campaniano. La regia del film, prodotto da Esecutivi per lo Spettacolo con il supporto del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, di Luca Dal Canto, già autore di un cortometraggio tratto da una poesia di Giorgio Caproni ("Il cappotto di lana", 2012, 53 selezioni e 16 premi) e di un altro film breve ispirato alla figura di Amedeo Modigliani ("Due giorni d’estate", 2014, 29 selezioni e 5 premi). “L’alluvione ha sommerso” è stato scritto da Dino Castrovilli e Giuseppe Giachi. Dino Campana è interpretato dall’attore e performer turco Murat Onol. Opere di Campana Opera Canti Orfici, Tip. Ravagli, Marradi, 1914 Canti Orfici ed altre liriche. Opera completa, prefazione di B. Binazzi, Vallecchi, Firenze, 1928, pp. 166 Canti Orfici, a cura di Enrico Falqui, terza ed., Vallecchi, Firenze, 1941, pp. 210 Canti Orfici e altri scritti, a cura di E. Falqui, Vallecchi, Firenze, 1952, 1960, 1962 Canti Orfici e altri scritti, nota biografica a cura di E. Falqui, nota critica e commento di Silvio Ramat, Vallecchi, Firenze, 1966, pp. 362 Canti Orfici e altri scritti, a cura di Arrigo Bongiorno, introduzione di Carlo Bo, Mondadori, Milano, 1972, pp. 168 Opere e contributi, a cura di E. Falqui, prefazione di Mario Luzi, note di Domenico De Robertis e S. Ramat, 1972 Carteggio con Sibilla Aleramo, a cura di N. Gallo, Vallecchi, Firenze, 1973 Canti Orfici, introduzione e commento e Fiorenza Ceragioli, Vallecchi, Firenze, 1985, pp. 350 Canti Orfici e altre poesie, introduzione e note di N. Bonifazi, Garzanti, Milano, 1989 Canti Orfici, a cura di M. Lunetta, Newton Compton, Roma, 1989 Opere. Canti Orfici. Versi e scritti sparsi pubblicati in vita. Inediti, a cura di S. Vassalli e C. Fini, TEA, Milano, 1989 Canti Orfici, edizione critica a cura di G. Grillo, Vallecchi, Firenze, 1990 Canti Orfici, commento di M. Caronna, Rubbettino, Messina, 1993 Canti Orfici, a cura di R. Ridolfi, introduzione di P. L. Ladron de Guevara, Libreria Chiari, Firenze, 1994 (ristampa anastatica dell’edizione di Marradi, 1914) Canti Orfici, a cura di C. Bene, Bompiani, Milano, 1999 (con Compact disc) ISBN 88-452-4072-X Canti Orfici e altre poesie, a cura di Renato Martinoni, Einaudi, Torino, 2003 Canti Orfici, edizione anastatica a cura di Fabio Barricalla e Andrea Lanzola, con un apocrifo di Marco Ercolani, una nota di Veronica Pesce e un 'plauso’ di Giovanni Boine, Matisklo edizioni, Savona, 2016 Altro Inediti, a cura di E. Falqui, Vallecchi, Firenze, 1942 Taccuino, a cura di Matacotta, Edizioni Amici della Poesia, Fermo, 1949 (poi in Taccuini, edizione critica e commento di F.Ceragioli, Scuola Normale Superiore, Pisa, 1990) Taccuinetto faentino, a cura di D. De Robertis, Vallecchi, Firenze, 1960 Fascicolo marradese inedito del poeta dei “Canti Orfici”, a cura di F. Ravagli, Giunti-Bemporad Marzocco, Firenze, 1972 Il più lungo giorno. I. Riproduzione anastatica del manoscritto ritrovato dei Canti Orfici, II: Il testo critico, a cura di D. De Robertis, prefazione di E. Falqui, Archivi di Arte e Cultura Dell’Età Moderna– Vallecchi, Roma-Firenze, 1973 (Poi su CD-ROM: Vallecchi, Firenze, 2002 Epistolari D. Campana, Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, G. S. All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1978 Souvenir d’un pendu. Carteggio 1910-1931, a cura di G. Cacho Millet, Napoli, 1985 D. Campana– Sibilla Aleramo, Un viaggio chiamato amore, Feltrinelli, Milano, 2003 Dino Campana-Sibilla Aleramo, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000. Da questo carteggio è stato tratto il film Un viaggio chiamato amore (di Michele Placido, 2002) con Stefano Accorsi nel ruolo di Campana e Laura Morante nel ruolo di Sibilla Aleramo. D. Campana, Un po’ del mio sangue– Canti Orfici, Poesie sparse, Canto proletario italo-francese, lettere (1910- 1931), a cura di S. Vassalli, BUR, Milano, 2005 D. Campana, Lettere di un povero diavolo, Carteggio (1903-1931) Con altre testimonianze epistolari su Dino Campana (1903-1998) a cura di Gabriel Cacho Millet. In copertina una foto inedita di Dino, Polistampa, 2011. Traduzioni Dino Campana. Cantos órficos/Canti orfici. Tradução de Gleiton Lentz. Desterro: Edições Nephelibata, 2004. Dino Campana. Chants orphiques. Traduction: Christophe Mileschi. Editeur: Éditions L’Âge d’Homme.février 1997. ISBN 2-8251-0849-9 Fumetti Dino Campana. A jornada de um neurastênico/La giornata di un nevrastenico. Fumetti di Aline Daka e traduzione di Gleiton Lentz. (n.t.) Revista Literária em Tradução, n. 7, set. 2013, pp. 337–348. ISSN 2177-5141 Simone Lucciola, Rocco Lombardi, Campana, contributi di G. Cacho Millet, P. Pianigiani, G. Neri, Guida, 2014, ISBN 978-88-97980-17-9 Pablo Echaurren, Vita disegnata di Dino Campana, Editori del Grifo, Montepulciano 1994. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Dino_Campana

Eugenio Montale

Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta e scrittore italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Biografia Anni giovanili Eugenio Montale nacque a Genova, in un palazzo dell’attuale corso Dogali, nella zona soprastante Principe, il 12 ottobre 1896, ultimo dei cinque figli di Domenico Montale e Giuseppina Ricci, esponenti della media borghesia genovese. Il padre era comproprietario di una ditta di prodotti chimici, la società G. G. Montale & C., tra l’altro fornitrice di Veneziani S.p.A., azienda presso cui era impiegato Italo Svevo. Crescita Inizia gli studi all’istituto “Vittorino Da Feltre” di Via Maragliano gestito dai Barnabiti (rettore è padre Rodolfo Trabattoni, vice rettore padre Giovanni Semeria). Il 21 maggio riceve la cresima. Sebbene per lui vengano preferiti, a causa della sua salute precaria, i più brevi studi tecnici in luogo di quelli classici e venga dunque iscritto nel 1915 all’istituto tecnico commerciale “Vittorio Emanuele”, dove si diplomerà in ragioneria, il giovane Montale ha la possibilità di coltivare i propri interessi prevalentemente letterari, frequentando le biblioteche cittadine e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna, iscritta a Lettere e Filosofia. La sua formazione è dunque quella tipica dell’autodidatta, che scopre interessi e vocazione attraverso un percorso libero da condizionamenti. Letteratura (Dante, Petrarca, Boccaccio e D’Annunzio su tutti, autori che lo stesso Montale affermerà di avere “attraversato”) e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici, la sua formazione e il suo immaginario, assieme al panorama, ancora intatto, della Riviera ligure di Levante: Monterosso al Mare e le Cinque Terre, dove la famiglia trascorre le vacanze. «Scabri ed essenziali», come egli definì la sua stessa terra, gli anni della giovinezza delimitano in Montale una visione del mondo in cui prevalgono i sentimenti privati e l’osservazione profonda e minuziosa delle poche cose che lo circondano – la natura mediterranea e le donne della famiglia. Ma quel “piccolo mondo” è sorretto intellettualmente da una vena linguistica nutrita di queste lunghe letture, finalizzate soprattutto al piacere della conoscenza e della scoperta. In questo periodo di formazione Montale coltiva inoltre la passione per il canto, studiando dal 1915 al 1923 con l’ex baritono Ernesto Sivori, esperienza che lascia in lui un vivo interesse per la musica, anche se non si esibirà mai in pubblico. Riceverà comunque già nel 1942 dediche da Tommaso Landolfi, fondatore con altri della rivista Letteratura. Grande Guerra e avvento del Fascismo Nell’anno 1917, dopo quattro visite mediche, è dichiarato idoneo al servizio militare, a settembre è arruolato nel 23º fanteria a Novara, frequenta a Parma il corso allievi ufficiali di complemento ottenendo il grado di sottotenente di fanteria e chiede di essere inviato al fronte. Dall’aprile 1917 combatte in Vallarsa, inquadrato nei “Leoni di Liguria” del 158º Reggimento fanteria ed il 3 novembre 1918 conclude l’esperienza combattente entrando a Rovereto. In seguito fu trasferito a Chienes, poi al campo di reduci di guerra dell’Eremo di Lanzo e, infine, fu congedato con il grado di tenente all’inizio del 1920. Negli anni tra il 1919 e il 1923 conosce a Monterosso Anna degli Uberti (1904-1959), protagonista femminile in un insieme di poesie montaliane, trasversali nelle varie opere, note come “ciclo di Arletta” (chiamata anche Annetta o capinera). Nel 1924 conosce la giovane di origine peruviana Paola “Edda” Nicoli, anch’ella presente negli Ossi di seppia e ne Le occasioni. È il momento dell’affermazione del fascismo, dal quale Montale prende subito le distanze sottoscrivendo nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Il suo antifascismo ha una dimensione non tanto politica quanto culturale: esso si nutre di un disagio esistenziale e di un sentimento di malessere nei confronti della civiltà moderna tout court. È un antifascismo aristocratico e snobistico. Montale vive questo periodo nella “reclusione” della provincia ligure, che gli ispira una visione profondamente negativa della vita. Il suo pessimismo non essendo immediatamente riconducibile alla politica sopravvive anche dopo l’avvento della democrazia: è evidente ne La bufera e altro nel suo non riconoscersi nei due partiti di massa (DC e PCI) e nella società dei consumi. Soggiorno a Firenze Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l’editore Bemporad. Nel capoluogo toscano gli anni precedenti erano stati decisivi per la nascita della poesia italiana moderna, soprattutto grazie alle aperture della cultura fiorentina nei confronti di tutto ciò che accadeva in Europa: le Edizioni de La Voce; i Canti Orfici di Dino Campana (1914); le prime liriche di Ungaretti per Lacerba; e l’accoglienza di poeti come Vincenzo Cardarelli e Umberto Saba. Montale, dopo l’edizione degli Ossi del 1925, nel 1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux. Curiosamente, come ricordava lo stesso Montale, fu inserito in una lista di possibili candidati da Paolo Emilio Pavolini e venne scelto dall’allora podestà fiorentino Giuseppe Della Gherardesca, essendo l’unico non iscritto al Partito Fascista. Dieci anni più tardi, per l’identico motivo, Montale venne esonerato dall’incarico, dopo che per 18 mesi gli era stato sospeso lo stipendio, nel tentativo di “incoraggiarlo” ad iscriversi al PNF.In quegli anni collabora alla rivista Solaria, frequenta i ritrovi letterari del caffè Le Giubbe Rosse conoscendovi Carlo Emilio Gadda, Tommaso Landolfi e Elio Vittorini, e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni di ricerca poetica. In questo contesto prova anche l’arte pittorica imparando dal Maestro Elio Romano l’impasto dei colori e l’uso dei pennelli. Nel '29 è ospite nella casa di Drusilla Tanzi (che aveva conosciuto nel '27) e del marito, lo storico d’arte Matteo Marangoni, casa dove due anni prima gli avevano presentato anche Gerti Frankl. La vita a Firenze però si trascina per il poeta tra incertezze economiche e complicati rapporti sentimentali; nel 1933 conosce l’italianista americana Irma Brandeis, con cui avvia una quinquennale storia d’amore, cantandola con il nome di Clizia in molte poesie confluite ne Le occasioni. Legge molto Dante e Svevo, e i classici americani. Fino al 1948, l’anno del trasferimento a Milano, egli pubblica Le occasioni e le prime liriche di quelle che formeranno La bufera e altro (che uscirà nel 1956). Montale, che non si era iscritto al Partito fascista e dopo il delitto di Giacomo Matteotti era stato firmatario del manifesto crociano, prova subito dopo la guerra ad iscriversi al Partito d’azione, ma ne esce pochissimo tempo dopo. Soggiorno a Milano Montale trascorre l’ultima parte della sua vita (dal 1948 alla morte) a Milano. Diventa redattore del Corriere della Sera e critico musicale per il “Corriere d’informazione”. Scrive inoltre reportage culturali da vari Paesi (fra cui il Medio Oriente, visitato in occasione del pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Terra Santa). Scrive altresì di letteratura anglo-americana per la terza pagina, avvalendosi anche della collaborazione dell’amico americano Henry Furst, il quale gli invia molti articoli su autori e argomenti da lui stesso richiesti. La vicenda venne rivelata da Mario Soldati nel racconto “Due amici” (Montale e Furst) nel volume Rami secchi (Rizzoli 1989) e soprattutto da Marcello Staglieno, con la pubblicazione su una terza pagina de il Giornale diretto da Indro Montanelli di alcune delle lettere inedite di Montale all’amico. Nel 1956, oltre a La bufera esce anche la raccolta di prose Farfalla di Dinard. Amava anche collaborare con vari artisti ed è il caso ad esempio di Renzo Sommaruga, scultore e artista figurativo, di cui nel 1957 scrisse la presentazione della sua personale parigina e che si può trovare nel Secondo Mestiere. Il 23 luglio 1962 sposa Drusilla Tanzi, con cui conviveva dal 1939, di dieci anni più anziana di lui, con rito religioso a Montereggi, presso Fiesole; il rito civile viene celebrato a Firenze il 30 aprile 1963 (Matteo Marangoni, primo marito di lei, era morto nel 1958), la quale morirà tuttavia a Milano il 20 ottobre dello stesso anno all’età di 77 anni. La salute di Drusilla si era rapidamente deteriorata, per la frattura di un femore in seguito a una caduta accidentale nell’agosto di quell’anno. Nel 1969 viene pubblicata un’antologia dei reportage di Montale, intitolata Fuori di casa, in richiamo al tema del viaggio. Il mondo di Montale, tuttavia, risiede in particolare nella “trasognata solitudine”, come la definisce Angelo Marchese, del suo appartamento milanese di via Bigli, dove viene amorevolmente assistito, alla morte di Drusilla, da Gina Tiossi. Ultimi anni Le ultime raccolte di versi, Xenia (1966, dedicata alla moglie Drusilla Tanzi, morta nel 1963), Satura (1971) e Diario del '71 e del '72 (1973), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta – ironico e mai amaro – dalla Vita con la maiuscola: «pensai presto, e ancora penso, che l’arte sia la forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato» (Montale, Intenzioni. Intervista immaginaria, Milano 1976). Sempre nel 1966 Montale pubblicò i saggi Auto da fé, una lucida riflessione sulle trasformazioni culturali in corso. Anche se poeta trasognato e “dimesso”, è anche stato oggetto di riconoscimenti ufficiali: lauree honoris causa (Università di Milano nel 1961, Università di Cambridge 1967, La Sapienza 1974). Fu nominato senatore a vita il 13 giugno 1967 dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat per i meriti in campo letterario, aderendo al gruppo del PLI e poi a quello del PRI.Nel pieno del dibattito civile sulla necessità dell’impegno politico degli intellettuali, Montale continuò ad essere un poeta molto letto in Italia. Nel 1975 ricevette il Premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni».. Nel 1976 scrisse il commiato funebre al suo collega defunto, il salernitano Alfonso Gatto. L’anno seguente gli fu chiesto se, una volta sorteggiato, avrebbe accettato di fare il giurato in un processo contro le Brigate Rosse: “Credo di no”, rispose l’anziano poeta, "sono un uomo come gli altri e non si può chiedere a nessuno di fare l’eroe".Eugenio Montale morì a Milano la sera del 12 settembre 1981, un mese prima di compiere 85 anni, nella clinica San Pio X dove si trovava ricoverato per problemi derivati da una vasculopatia cerebrale. I funerali di Stato furono celebrati due giorni dopo nel Duomo di Milano dall’allora arcivescovo della diocesi Carlo Maria Martini. Venne sepolto nel cimitero accanto alla chiesa di San Felice a Ema, sobborgo nella periferia sud di Firenze, accanto alla moglie Drusilla. Nella seduta del successivo 8 ottobre, il Senato commemorò la figura di Montale, attraverso i discorsi del presidente Amintore Fanfani e del presidente del Consiglio Giovanni Spadolini. Le opere * Le raccolte di versi contengono la storia della sua poesia: * Ossi di seppia, Torino, Gobetti, 1925. * La casa dei doganieri e altri versi, Firenze, Vallecchi, 1932. * Poesie, Firenze, Parenti, 1938. * Le occasioni, Torino, Einaudi, 1939. * Finisterre. Versi del 1940-42, Lugano, Collana di Lugano, 1943. * Quaderno di traduzioni, Milano, Edizioni della Meridiana, 1948. * La bufera e altro, Venezia, Neri Pozza, 1956. * Farfalla di Dinard, Venezia, Neri Pozza, 1956. * Xenia. 1964-1966, San Severino Marche, Bellabarba, 1966. * Auto da fé. Cronache in due tempi, Milano, Il Saggiatore, 1966. Fuori di casa, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969; Collana SIS, Mondadori, 1973; Oscar Moderni, Mondadori, 2017. [40 prose di viaggi apparse originariamente sul Corriere della Sera e sul Corriere d’Informazione fra il 1946 e il 1964] * Satura. 1962-1970, Milano, A. Mondadori, 1971. * Nel nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1972. * Diario del '71 e del '72, Milano, A. Mondadori, 1973. * Sulla poesia, Milano, A. Mondadori, 1976. * Quaderno di quattro anni, Milano, A. Mondadori, 1977. * Altri versi e poesie disperse, Milano, A. Mondadori, 1981. * Diario postumo. Prima parte: 30 poesie, Milano, A. Mondadori, 1991. ISBN 88-04-34169-6. * Diario postumo. 66 poesie e altre, Milano, A. Mondadori, 1996. ISBN 88-04-41032-9. [sul testo, pubblicato postumo, alcuni studiosi hanno manifestato il dubbio di non autenticità Ossi di Seppia Il primo momento della poesia di Montale rappresenta l’affermazione del motivo lirico. Montale, in Ossi di seppia (1925) edito da Piero Gobetti, afferma l’impossibilità di dare una risposta all’esistenza: in una delle liriche, Non chiederci la parola, egli afferma che è possibile dire solo "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", sottolineando la negatività della condizione esistenziale. Lo stesso titolo dell’opera designa l’esistenza umana, logorata dalla natura, e ormai ridotta ad un oggetto inanimato, privo di vita. Gli ossi di seppia sono una metafora che serve a descrivere l’uomo, che con l’età adulta viene allontanato dalla felicità della giovinezza e abbandonato, al dolore, sulla terra come un inutile osso di seppia. Gli ossi di seppia sono, infatti, gli endoscheletri delle seppie rilasciati sulla spiaggia dalle onde del mare, quindi, presenze inaridite e ridotte al minimo, che simboleggiano la poetica di Montale scabra ed essenziale. In tal modo Montale capovolge l’atteggiamento fondamentale più consueto della poesia: il poeta non può trovare e dare risposte o certezze; sul destino dell’uomo incombe quella che il poeta, nella lirica Spesso il male di vivere ho incontrato, definisce “Divina Indifferenza”, ciò che mostra una partecipazione emotiva del tutto distaccata rispetto all’uomo. In un certo senso, si potrebbe affermare che tale “Divina indifferenza” è l’esatto contrario della “Provvidenza divina” manzoniana. La prima raccolta di Montale uscì nel giugno del 1925 e comprende poesie scritte tra il 1916 e il 1925. Il libro si presenta diviso in quattro sezioni, a loro volta organizzate al loro interno: Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi ed ombre; a questi fanno da cornice una introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). Il titolo della raccolta vuole evocare i relitti che il mare abbandona sulla spiaggia, come gli ossi di seppia che le onde portano a riva; qualcosa di simile sono le sue poesie: in un’epoca che non permette più ai poeti di lanciare messaggi, di fornire un’interpretazione compiuta della vita e dell’uomo, le poesie sono frammenti di un discorso che resta sottinteso e approdano alla riva del mare come per caso, frutto di momentanee illuminazioni. Le poesie di questa raccolta traggono lo spunto iniziale da una situazione, da un episodio della vita del poeta, da un paesaggio, come quello della Liguria, per esprimere temi più generali: la rottura tra individuo e mondo, la difficoltà di conciliare la vita con il bisogno di verità, la consapevolezza della precarietà della condizione umana. Si affollano in queste poesie oggetti, presenze anche molto dimesse che non compaiono solitamente nel linguaggio dei poeti, alle quali Montale affida, in toni sommessi, la sua analisi negativa del presente ma anche la non rassegnazione, l’attesa di un miracolo. L’emarginazione sociale a cui era condannata la classe di appartenenza, colta e liberale, della famiglia, acuisce comunque nel poeta la percezione del mondo, la capacità di penetrare nelle impressioni che sorgono dalla presenza dei paesaggi naturali: la solitudine da “reclusione” interiore genera il colloquio con le cose, quelle della riviera ligure, o del mare. Una natura “scarna, scabra, allucinante”, e un “mare fermentante” dal richiamo ipnotico, proprio del paesaggio mediterraneo. Il manoscritto autografo di Ossi di seppia è conservato presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia. Le occasioni In Le occasioni (1939) la poesia è fatta di simbolo di analogia, di enunciazioni lontane dall’abbandono dei poeti ottocenteschi. Il mondo poetico di Montale appare desolato, oscuro, dolente, privo di speranza; infatti, tutto ciò che circonda il poeta è guardato con pietà e con misurata compassione. Simbolica la data di pubblicazione, 14 ottobre 1939, poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. Il fascicolo di poesie è dedicato a una misteriosa I.B, iniziali della poetessa e dantista americana Irma Brandeis, di origini ebraiche e perciò costretta a rimpatriare dopo la promulgazione delle leggi razziali. La memoria è sollecitata da alcune “occasioni” di richiamo, in particolare si delineano figure femminili, per esempio la fanciulla conosciuta in vacanza a Monterosso, Annetta-Arletta (già presente negli Ossi), oppure Dora Markus, della omonima poesia: sono nuove “Beatrici” a cui il poeta affida la propria speranza. La figura della donna, soprattutto Clizia (senhal di Irma), viene perseguita da Montale attraverso un’idea lirica della donna-angelo, messaggera divina. I tratti che servono per descriverla sono rarissimi, ed il desiderio è interamente una visione dell’amore fortemente idealizzata, che non si traduce necessariamente in realtà. Nel contempo il linguaggio si fa meno penetrabile e i messaggi sono sottintesi, e anche se non di un ermetismo irrazionale, espressione di una sua personale tensione razionale e sentimentale. In Le occasioni la frase divenne più libera e la riflessione filosofica, molto presente nella poesia di Montale, diviene più vigorosa. Il poeta indaga le ragioni della vita, l’idea della morte, l’impossibilità di dare una spiegazione valida all’esistenza, lo scorrere inesorabile del tempo (Non recidere, forbice, quel volto). La bufera e altro Sono componimenti riguardanti temi di guerra e di dolore pubblicati nel 1956. Nel poeta ligure confluiscono quegli spiriti della “crisi” che la reazione anti-dannunziana aveva generato fin dai Crepuscolari: tutto ciò che era stato scritto con vena ribelle nel brulicante mondo poetico italiano tra le due guerre, in lui diventa possibilità di scoprire altre ragioni per essere poeti. Per quanto riguarda l’engagement tipico di quegli anni, non ce n’è alcuna traccia. Xenia e Satura Negli ultimi anni Montale approfondì la propria filosofia di vita, quasi temesse di non avere abbastanza tempo “per dire tutto” (quasi una sensazione di vicinanza della morte); Xenia (1966) è una raccolta di poesie dedicate alla propria moglie defunta, Drusilla Tanzi, amorevolmente soprannominata “Mosca” per le spesse lenti degli occhiali da vista. Il titolo richiama xenia, che nell’antica Grecia erano i doni fatti all’ospite, e che ora dunque costituirebbero il dono alla propria moglie. Le poesie di Xenia furono pubblicate insieme alla raccolta Satura, con il titolo complessivo Satura, nel gennaio 1971. «Con questo libro– scrive Marco Forti nel risvolto di copertina dell’edizione Mondadori– Montale ha sciolto il gran gelo speculativo e riepilogativo della Bufera e ha ritrovato, semmai, la varietà e la frondosità, la molteplicità timbrica, lo scatto dell’impennata lirica e insieme la “prosa” che, già negli Ossi di seppia, costituirono la sua sorprendente novità.» Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Montale

Ludovico Ariosto

Ludovico Ariosto (Reggio nell’Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533) è stato un poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano, autore dell’Orlando furioso (1516-1521-1532). È considerato uno degli autori più celebri ed influenti del suo tempo. Le sue opere, il Furioso in particolare, simboleggiano una potente rottura degli standard e dei canoni dell’epoca. La sua ottava, definita “ottava d’oro”, rappresenta uno dei massimi della letteratura pre-illuminista. Biografia Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia l’8 settembre del 1474, primo di dieci fratelli. Suo padre Niccolò, proveniente dalla nobile famiglia degli Ariosti, faceva parte della corte del duca Ercole I d’Este ed era comandante del presidio militare degli Estensi a Reggio Emilia. La madre, Daria Malaguzzi Valeri, era una nobildonna di Reggio.Ludovico dapprima intraprese, per volontà del padre, studi di legge a Ferrara, ma li abbandonò dopo poco tempo per concentrarsi pienamente negli studi umanistici sotto la guida del monaco agostiniano Gregorio da Spoleto. Ariosto seguì nel frattempo studi di filosofia presso l’Università di Ferrara, appassionandosi così anche alla poesia in volgare. Il fatto che il padre fosse funzionario della corte degli Estensi gli permise, fin dalla giovane età, di avere contatti con il mondo della corte, luogo della sua formazione letteraria e umanistica. Divenuto amico di Pietro Bembo, condivise con lui l’entusiasmo e la passione per le opere di Petrarca. Alla morte del padre, nel 1500, Ludovico si ritrovò a dover badare alla famiglia; nel 1502 si vide “costretto” ad accettare l’incarico di capitano della rocca presso Canossa ed è proprio qui che, da Maria, domestica che già aveva servito il padre, gli nasce Giambattista, il primogenito che Ludovico non sarà mai completamente convinto di dover riconoscere come proprio, contestando l’affidabilità di Maria. Successivamente, rientrato a Ferrara, non ancora trentenne diviene funzionario e viene assunto dal cardinale Ippolito d’Este (figlio di Ercole), per ottenere alcuni benefici ecclesiastici, facendosi poi chierico. Nel 1506 fu investito del beneficio della ricca parrocchia di Montericco (ora frazione di Albinea, in provincia di Reggio Emilia). Questa condizione gli spiacque molto: Ippolito era uomo avaro, ignorante e gretto; Ariosto stesso era divenuto un umile cortigiano, un ambasciatore, un “cavallaro”. Potrebbe meravigliare che l’Ariosto fosse addirittura “ cameriere “ alle dipendenze del Cardinale: in realtà questo termine deve essere inteso come cameriere segreto o come cameriere d’onore. In questo periodo, quindi, a causa delle faccende diplomatiche e politiche di cui doveva occuparsi, non ebbe tempo di dedicarsi alla letteratura. Nel 1509, a Ferrara, da un’altra domestica di casa Ariosto, Orsolina di Sassomarino, gli nasce un altro figlio, Virginio, che verrà poi legittimato e che seguirà le orme del padre. Il legame con Orsolina durò vari anni e fu importante per il poeta, che comprò alla madre del suo secondogenito una casa nella strada di San Michele, poi via del Turco. Nel 1513, dopo la morte del papa Giulio II della Rovere, venne eletto papa Leone X (Giovanni dei Medici), che aveva spesso manifestato stima e amicizia nei confronti dell’Ariosto. Il poeta considerava Roma il centro culturale italiano per eccellenza e decise così di recarsi alla curia papale con la speranza di trasferirvisi dopo aver ottenuto un incarico, ma invano. Intanto a Firenze Ariosto si innamorò di una donna, Alessandra Benucci, moglie del mercante Tito Strozzi, che frequentava la corte estense per affari. Successivamente, dopo essere rimasta vedova nel 1515, la donna si trasferì a Ferrara, iniziando una relazione con lo scrittore. L’Ariosto era stato sempre restio al matrimonio; pertanto si sposò solo dopo anni, in gran segreto per la paura di perdere i benefici ecclesiastici che gli erano stati concessi e con lo scopo di evitare che alla donna venisse revocata l’eredità del marito.Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’Orlando furioso, poema diviso in 40 canti, la cui stesura era iniziata 11 anni prima della pubblicazione. Lo dedicò al suo signore, il quale non lo apprezzò affatto. Quando nel 1517 Ippolito d’Este divenne vescovo di Agria (nome italiano per Eger, nell’Ungheria orientale), Ludovico si rifiutò di seguirlo, adducendo motivi di salute. In realtà le cause sono da ricercare nell’astio verso il cardinale, nell’amore per la sua Ferrara e in quello per la sua donna. Passò quindi al servizio di Alfonso. Anche questa si trattava di «servitù», ma «di minor disagio e probabilmente era più dignitosa». Nel 1522 Alfonso gli affidò l’arduo compito di governatore della Garfagnana, da poco annessa al Ducato, regione turbolenta, abitata da una popolazione fiera ed indomita poco avvezza al comando ed infestata da banditi, in cui l’ordine doveva essere mantenuto con la forza; in quest’occasione Ariosto dimostrò abilità politiche e pratiche. Pure queste attività gli erano invise perché gli impedivano di dedicarsi agli studi ed alla poesia. Dal 1525 tornò a Ferrara e passò i suoi ultimi anni tranquillamente, dedicandosi alla scrittura e alla messa in scena di alcune commedie e all’ampliamento dell’Orlando furioso. Rifiutò l’incarico di ambasciatore papale, spiegando che desiderava occuparsi delle sue opere e della famiglia.Nel 1532 Ariosto accompagnò Alfonso all’incontro a Mantova con l’imperatore Carlo V; al rientro a Ferrara, si ammalò di enterite e morì, dopo alcuni mesi di malattia, il 6 luglio 1533. Ludovico fu sepolto dapprima nella chiesa di San Benedetto a Ferrara e successivamente venne tumulato con grandi onori a Palazzo Paradiso. Il suo monumento funebre è opera dello scultore mantovano Alessandro Nani su disegno dell’architetto Giovan Battista Aleotti. Personalità Ariosto nelle sue opere lascia di sé l’immagine di uomo amante della vita sedentaria, tranquilla, scevra di atteggiamenti eroici.In realtà si tratta di un’immagine letteraria, di «una scelta matura e meditata». Per dovere o per scelta, egli viaggiò molto e dimostrò anche notevoli doti pratiche. Si è di fronte all’ultimo grande umanista e alla crisi dell’Umanesimo: Ariosto rappresenta ancora l’uomo nuovo che si pone al centro del mondo, il demiurgo che con l’arte plasma la realtà fantastica, ma non lo è nella sua vita sociale di umile cortigiano subordinato alla volontà di un signore. Opere Poesia lirica La produzione lirica di Ariosto viene suddivisa in due filoni: latino e volgare. Il primo degli anni della giovinezza comprende sessantasette opere ed ha importanza documentaria. Il secondo è formato da dieci opere originali ed importanti.Complessivamente la produzione lirica ariostesca comprende ottantasette componimenti (sonetti, madrigali, canzoni, egloghe e capitoli in terza rima). Le opere, non raccolte in un canzoniere organico, vennero pubblicate solo postume nel 1546. Ariosto viene influenzato dal modello petrarchesco riproposto dall’amico Pietro Bembo. Da questa scelta deriva la ricerca meticolosa del lessico e della metrica e la rilevanza del tema dell’amore.Risulta interessante la sua reinterpretazione umanistica. Mentre Bembo si discosta poco dai dettami petrarcheschi Ariosto li adatta ai canoni dell’Umanesimo, riferendosi costantemente ai classici latini come Tibullo, Properzio, Catullo e Orazio. Orlando furioso L’Orlando furioso è un poema cavalleresco in ottave, a schema ABABABCC, strutturato su 46 canti, per un totale di 38.736 versi nell’edizione definitiva del 1532. Vi sono state infatti due edizioni precedenti, scritte con una lingua più popolare e rozza. In particolare, una prima redazione dell’Orlando furioso, in 40 canti, era stata redatta nel 1515 e venne pubblicata nel 1516. La seconda edizione uscì nel 1521, caratterizzata da una lieve revisione linguistica.L’opera ha una trama molto stratificata che si sviluppa sostanzialmente su tre narrazioni principali: quella militare, costituita dalla guerra tra i paladini, difensori della religione cristiana, e i Saraceni infedeli; quella amorosa, incentrata sulla fuga di Angelica e sulla pazzia di Orlando, e infine quella encomiastica, con cui si lodava la grandezza dei duchi d’Este, dedicata invece alle vicende amorose tra la cristiana Bradamante e il saraceno Ruggiero.L’Orlando furioso si propone come il naturale prosieguo dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo; Ariosto continuò la narrazione proprio dove Boiardo la interruppe, facendo evolvere la vicenda amorosa tra Angelica e Orlando che, a causa del rifiuto dell’amata, diviene furioso, pazzo per amore.La lingua definitiva dell’Orlando furioso è ben diversa da quella delle edizioni precedenti. In principio il registro linguistico, ricco di termini toscani, padani e latineggianti, teneva conto delle espressività popolari, essendo più orientato a un pubblico ferrarese o padano. Fu solo dopo che Ariosto si rese conto della portata di capolavoro dell’opera si mirò a creare un modello linguistico italiano nazionale, secondo i canoni teorizzati da Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua. La revisione tuttavia non riguarda soltanto l’aspetto linguistico e stilistico, ma anche i contenuti: vi è l’aggiunta di diversi episodi significativi come quello di Olimpia (canti IX-XI) e soprattutto di Marganorre (XXXVII) fino a raggiungere l’attuale struttura di 46 canti. L’inserimento di questi episodi provocò anche una variazione degli equilibri strutturali. Infatti, l’episodio di Marganorre, feroce tiranno persecutore delle donne, funge da contrappeso a quello delle femmine omicide. Uno degli obiettivi di Ariosto è quello di invitare il lettore ad una riflessione sul reale. Uno dei procedimenti volti a questo è quello dello straniamento, che consiste in un cambiamento della prospettiva in modo da guardare l’argomento trattato con imparzialità, impedendo al lettore l’immedesimazione emotiva e invogliandolo ad un atteggiamento critico. Un simile effetto avviene soprattutto grazie all’intervento della voce narrante nel corso della narrazione. Ad esempio, nel I canto, quando Angelica afferma avanti a Sacripante di essere ancora vergine, la voce narrante commenta: «Forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore; / ma parve facilmente a lui possibile, / ch’era perduto in via più grave errore» Un commento del genere, inevitabilmente, costringe a riflettere sull’ambiguità dei personaggi e su ciò a cui si sta assistendo. Sempre volto alla riflessione sul reale, è il procedimento dell’abbassamento, consistente nell’abbassare appunto la dignità eroica dei suoi personaggi, riportandoli ad un livello comune e quotidiano. Evento maggiormente significativo è quando Orlando si rende conto dell’amore di Angelica con Medoro e il suo letto gli pare «più duro ch’un sasso, e più pungente / che se fosse d’urtica»: l’ortica ovviamente non rende grazie al personaggio di Orlando, tanto acclamato nella precedente generazione, ora viene, volutamente e non per semplice gioco parodico, svilito per riflettere sul comportamento degli uomini. Satire Le Satire sono l’opera ariostesca più apprezzata dalla storia dopo il Furioso. Si tratta di sette componimenti in terzine, scritti in forma di lettere indirizzate da Ariosto a parenti e amici realmente esistiti, plasmate secondo i canoni delle satire latine e in particolar modo secondo i canoni oraziani.I temi principali delle Satire riguardano la condizione dell’intellettuale cortigiano, il contrasto fra questa condizione e il desiderio di libertà personale, l’aspirazione ad una vita dedita allo studio lontana dall’avidità della corte e dalla corruzione della politica. L’atteggiamento di Ariosto è sì ironico, ma sempre pacato e tollerante, senza mai dar vita a situazioni polemiche. Questo non va confuso con un disinteresse nei confronti della realtà; al contrario, testimonia la sua capacità di osservazione, ottenuta dopo importanti esperienze personali in campo politico, seppur compiute controvoglia .Le Satire rappresentano in tutto e per tutto una pietra miliare della letteratura ariostesca e rinascimentale in genere, in quanto è apprezzabile quell’atteggiamento riflessivo, tanto caro ai letterati post 1494, che è sì presente anche nell’Orlando furioso, ma che appare in maniera più evidente grazie all’assenza della componente fiabesca e fantastica. Commedie * Di seguito vengono riportate le commedie prodotte da Ariosto: * La tragedia di Tisbe, perduta, 1493 (trattandosi di una tragedia di ispirazione ovidiana, sarebbe piuttosto da inserire in una più generica categoria dei testi drammatici); * La Cassaria, in prosa, 1508; * I Suppositi, in prosa, 1509; * Il Negromante, in versi, 1520; * La Lena, in versi, 1528; * Gli studenti, incompiuta, in versi, 1518-19. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Ludovico_Ariosto

Alfonso Gatto

Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976) è stato un poeta e scrittore italiano. Biografia Nacque a Salerno il 17 luglio del 1909. La sua infanzia e la sua adolescenza furono piuttosto travagliate. Fratello del pittore Alessandro Gatto, compì i primi studi al liceo classico Torquato Tasso della sua città natale, mostrandosi portato per le materie letterarie, in particolare l’italiano, e poco incline alla matematica. Al liceo scoprì la propria passione per la poesia e la letteratura. Nel 1926 si iscrisse all’Università di Napoli che dovette tuttavia abbandonare qualche anno dopo a causa di difficoltà economiche. Sposò la figlia del suo professore di matematica, Agnese Jole Turco, con la quale, all’età di 21 anni, fuggì a Milano. Ebbero due figlie, Marina e Paola. Nel capoluogo lombardo, dove risiedette dal maggio del 1934, tra i suoi amici più assidui vi furono Cesare Zavattini, Alessandro Tofanelli, Leonardo Sinisgalli, Orazio Napoli e Domenico Cantatore, coi quali frequentava i caffè cittadini. La sua vita fu piuttosto irrequieta e movimentata, anche dal punto di vista lavorativo: dapprima commesso di libreria, poi istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante. Nonostante nel 1935 avesse partecipato ai Littoriali della cultura e dell’arte dei Gruppi universitari fascisti, già nel 1936 fu arrestato per antifascismo e trascorse sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano. Durante quegli anni Gatto collaborò ai più innovatori periodici e riviste di cultura letteraria (Italia letteraria, Rivista Letteratura, Circoli, Primato, Ruota). Nel 1938, con la collaborazione di Vasco Pratolini, fondò la rivista Campo di Marte per commissione dell’editore Vallecchi, ma il periodico durò un solo anno. Fu comunque questa una esperienza significativa per il poeta, che ebbe modo di cimentarsi nella letteratura militante di maggior impegno. Campo di Marte (il cui primo numero uscì il 1º agosto 1938) era nato come quindicinale di azione letteraria e artistica, con l’intento di educare il pubblico a comprendere la produzione artistica in tutti i suoi generi. La rivista si ricollegava al cosiddetto ermetismo fiorentino. Nel 1941 Gatto ricevette la nomina a ordinario di Letteratura italiana, per “chiara fama”, presso il Liceo Artistico di Bologna e iniziò pure una collaborazione con la rivista Primato di Giuseppe Bottai, sulla quale pubblicò con continuità poesie e recensioni letterarie. Nel 1944, iscrittosi al PCI, iniziò a collaborare a Rinascita e, dopo la liberazione di Milano, nell’aprile 1945, all’Unità.Fu poi inviato speciale de L’Unità assumendo una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista. Nel 1951 si dimise dal partito e diventò un comunista “dissidente”. Il poeta, nel 1946, incontrerà la donna più importante della sua vita, la pittrice triestina Graziana Pentich per la quale abbandonò la moglie e le figlie e da cui ebbe due figli, Teodoro e Leone. La vita del poeta sarà segnata, nel 1963, dal dolore per la scomparsa di Teodoro, mentre Leone morirà soltanto tre mesi dopo la morte del poeta. L’8 marzo del 1976 Gatto si trovava a Grosseto e si mise in viaggio lungo l’Aurelia diretto a Roma, a bordo di una Mini Minor alla cui guida si trovava Paola Maria Minucci. L’auto finì fuori strada nei pressi della Torba di Capalbio e il poeta fu trasportato d’urgenza a Orbetello dove, per via delle condizioni ormai critiche, si decise di caricarlo sull’ambulanza in direzione dell’Ospedale di Grosseto. Alfonso Gatto spirò alle ore 16:10 mentre si trovava ancora a Orbetello. È sepolto nel cimitero di Salerno. Sulla sua tomba, che ha un macigno per lastrone, è inciso il commiato funebre dell’amico Eugenio Montale: Formazione e poetica L’ermetismo riconosce in Alfonso Gatto uno dei più accesi tra i suoi protagonisti. Non si sa molto dei suoi primi anni a Salerno, che tanta importanza hanno senza dubbio avuto nella sua formazione, come pure si ignorano le sue prime letture, i suoi primi incontri (tra gli altri, con il critico letterario Francesco Bruno, che lesse per primo e ordinò le sue poesie), le sue amicizie. Le notizie biografiche sono scarse e sono le solite: gli studi, l’arrivo all’Università non terminata, la vita irrequieta, i vari lavori intrapresi. Fa eccezione la notizia dell’uscita del suo primo volumetto nel 1932, Isola, nel quale i maggiori lettori del tempo riconobbero subito il segno di una voce nuova e vera. Quando nel 1932 Giuseppe Ungaretti pubblica Sentimento del tempo, Gatto, appena nato alla poesia, viene subito inserito nel capitolo di quel momento. Con Isola, Gatto inizia la sua esistenza di poeta e un discorso che si concluderà solamente con la sua tragica morte quarantaquattro anni dopo. Isola è il testo decisivo per il costituirsi di una “grammatica ermetica” che verrà definita dal poeta stesso come ricerca di «assolutezza naturale». Il linguaggio è rarefatto e senza tempo, allusivo, tipico di una poetica dell’"assenza" e dello spazio vuoto, ricco di motivi melodici. E saranno proprio il senso dello spazio e l’abbandono alla melodia gli elementi costanti di Isola, così come più tardi delle altre raccolte di poesie. Ad Isola segue Morto ai paesi, una quarantina di componimenti in versi. Non si evincono grandi differenze tematiche e stilistiche rispetto ad Isola, anzi vi è una comune evocazione di immagini plastiche, idilliache ed oniriche, e risalta il topos letterario della memoria. Alcune atmosfere e scelte lessicali suggeriscono stilemi petrarcheschi. Non è un caso che Giovanni Pozzi, ne La poesia italiana del Novecento, abbia incluso Alfonso Gatto tra i cosiddetti petrarchisti dell’ermetismo, data l’influenza del poeta proto-umanista sui filoni poetici della prima metà del XX secolo. Anche in Arie e ricordi, che rappresenta la prima stagione del poeta salernitano (1929-1941), le sue figurazioni ruotano intorno alla memoria, riaffiorano dalle inquietudini e dai sogni adolescenziali. La successiva produzione lirica risentirà dell’esperienza bellica. La morte, topos trasfigurato nei componimenti del passato, si disvela nelle sue connotazioni più drammatiche. Gatto si avvicina al dolore degli uomini e nella successiva raccolta, Il capo sulla neve, il poeta registra le esperienze degli anni 1943-1947. Nel 1950 Mondadori pubblica lo Specchio, volume che raccoglie le poesie scritte durante trentacinque anni di attività. La storia delle vittime in cui Gatto trasferì Amore della vita e Il capo sulla neve, arriva dopo il volume Poesie che raccoglie le liriche composte dal 1929 al 1941. Nello Specchio vengono incluse le Nuove poesie del 1950 in cui erano state inserite le liriche composte dal 1941 al 1949. Esse comprendevano sia i componimenti della Resistenza di matrice civile e politica, sia quelli concernenti la vita privata e l’esperienza amorosa di Gatto. In Poesie d’amore risulta marcata l’ispirazione al poeta Rimbaud, tanto amato dal Nostro. Ma la raccolta di poesie che ha attratto maggiormente l’attenzione della critica e dei lettori, è La forza degli occhi (1950-1953). In essa si fondono ermetismo e surrealismo. Questo volume segna la raggiunta maturità poetica di Gatto. La visionarietà diviene il mezzo espressivo capace di rivelare il talento del poeta. Alla raccolta Osteria flegrea, poesie composte dal 1954 al 1961, segue la raccolta più corposa della sua intera produzione, Rime di viaggio per la terra dipinta (1968-1969), rime scritte e raffigurate pittoricamente in acquarelli. In esse si coglie un “senso di insistito giuoco metrico-stilistico e dell’immaginazione (o piuttosto dell’intelletto) mentre un ruolo quasi secondario viene affidato al sentimento” Il motivo dell’amore Il motivo dell’amore è cantato in tutti i modi e percorso in ogni direzione e, anche se a tratti ha intonazioni classicheggianti, non perde mai il valore fonico della parola che diventa un momento a sé di suggestione. Nel periodo che va dal 1940 al 1941 vi è un rifacimento delle poesie precedenti che faranno parte di una raccolta edita da Vallecchi nel 1941 sotto il nome di Poesie che rimarranno immutate fino alla stesura del 1961 quando, dando un ordine maggiore allo stesso volume esse toccheranno il punto di maggiore "cantabilità" nella poesia di Gatto. Una delle immagini tra le più vive della poesia contemporanea possiamo trovarla nella poesia Oblio dove il poeta esprime la gioia della vita fatta memoria e festa alle quali egli sente di appartenere: Tutto si calma di memoria e resta il confine più dolce della terra, una lontana cupola di festaIn questi versi si assiste al dileguarsi dell’analogia stretta dei primi libri e in Amore della vita, il libro del 1944, il poeta riuscirà a esprimere una freschezza insolita in un momento di retorica dedicata alla Resistenza. Gatto, infatti, aderisce alla poesia della Resistenza, commosso dallo spirito civile e politico degli italiani e nella raccolta successiva, Il capo sulla neve, egli avrà parole di forte commozione per i “Martiri della Resistenza” ed esprimerà nelle poesie una assorta meditazione che ha il raro dono dell’immediatezza. Gatto è dunque un poeta di natura e d’istinto che ha conosciuto durante la guerra e nel dopoguerra un serio rinnovamento sia nei contenuti che nella forma aprendosi a strutture narrative più complesse che fondono autobiografismo lirico e partecipazione storica. Nello scorrere l’ultima produzione di Gatto, Rime di viaggio per una terra dipinta, e Desinenze, opera postuma uscita un anno dopo la sua morte, resta l’immagine di un poeta coinvolto dal tumulto della vita, ma sempre lieto di fissare nella memoria ogni emozione in una lingua ricca di motivi e di sorprese nuove. L’esperienza milanese Alfonso Gatto appartiene a quel folto gruppo di intellettuali provenienti dal Sud Italia, tra i quali il celebre critico d’arte Edoardo Persico ed Elio Vittorini, che negli anni trenta, giunsero a Milano, una Milano centripeta, punto di confluenza delle intelligenze più fervide dell’epoca. Dal 1936 al 1938 Gatto collaborò al periodico Casabella con una serie di articoli nella rubrica Cronaca dell’architettura; egli partiva dai temi concernenti l’architettura per poi trattare di argomenti di cultura generale, mentre gli articoli di fondo erano tenuti da Giuseppe Pagano. Edoardo Persico fu una figura importantissima nella vita del poeta salernitano, e, quando morì, nel 1945, lasciò un patrimonio di idee nuove e illuminanti di cui faranno tesoro Raffaello Giolli e Alfonso Gatto. Infatti, entrambi tentarono di sviluppare e fissare, quella relazione artistica che Persico aveva instaurato tra Frank Lloyd Wright e Paul Cézanne, vale a dire, una palese identificazione tra architettura organica e impressionismo. La ricerca intellettuale di Gatto lo condurrà a scrivere Prefazione a Frank Lloyd Wright, Architettura organica in cui Gatto intesse una immagine di Wright come architetto-poeta o, per usare un’espressione con cui lo stesso architetto statunitense aveva intitolato una sua opera, come “Disconosciuto legislatore del mondo”. "Wright è più di un architetto", scrive Gatto, “gli si deve riconoscere una statura di creatore– l’unica di architetto che oggi ci sia nel mondo– congiunta ad un’effettiva forza di tecnico e ad una ispirata passione umanitaria”. Alfonso Gatto pittore e critico d’arte La profonda sete di conoscenza condusse il poeta a soddisfare la propria attitudine alla pittura, con la realizzazione di vari acquerelli e disegni, nonché alla elaborazione di numerosissimi Cataloghi per pittori di grande caratura, come Ottone Rosai, Renato Guttuso, Filippo de Pisis, Giuseppe Zigaina, Mino Maccari, Corrado Cagli. La compagna Graziana Pentich, ha raccolto negli anni Novanta, in un volume intitolato “I colori di una storia”, disegni, dipinti poesie di Gatto, unitamente alle sue opere di pittura e ai teneri disegni e acquerelli del figlioletto Leone. In esso è scandita la storia di una vita in cui l’arte risulta essere il linguaggio quotidiano più congeniale ad esprimere e raccontare le esperienze dei tre protagonisti, dalla nascita alle prime parole di Leone, ai continui spostamenti fisici del poeta, il quale incorpora l’una dentro l’altra le città conosciute lungo il cammino in un’unica grande città che ha l’anima del Sud. Nel racconto sono molti gli autoritratti del poeta, realizzati tra il 1946 e il 1958, da lui stesso definiti “autoritratti-maschera”: l’autoritratto sul giornale Avanti!, quello al Craja (il caffè milanese, ritrovo di artisti e intellettuali negli anni Trenta e Quaranta, situato in Piazzetta Filodrammatici vicino al Teatro alla Scala) e i tre autoritratti detti “auto istantanee”, dove Gatto si raffigurò come un clown. La Pentich parla a tal proposito di una “coincidenza di sentimenti con i temi circensi sublimati da Picasso nelle figure del suo periodo blu e rosa”. L’eclettismo di Gatto è anche il risultato della sua personale concezione delle Arte, concezione per certi versi rinascimentale, in contrasto con quella a lui contemporanea che voleva la separazione tra i vari ambiti artistici. Opere principali Poesia Isola, Napoli 1932 Morto ai paesi, Modena 1937 Poesie, Milano 1939 (nuova edizione, Firenze 1943) L’allodola, Milano 1943 La spiaggia dei poveri, Milano 1944 Amore della vita, Milano 1944 La spiaggia dei poveri, Milano 1944 (nuova edizione Salerno 1996) Il sigaro di fuoco. Poesie per bambini, Milano 1945 Il capo sulla neve, Milano 1947 Nuove poesie 1941-49, Milano 1949 La forza degli occhi, Milano 1954 La madre e la morte, Galatina 1959 Poesie 1929-41, Milano 1961 Osteria flegrea, Milano 1962 Il vaporetto. Poesie, fiabe, rime, ballate per i bambini di ogni età, Milano 1963 (nuove edizioni Salerno 1994 e Milano 2001) La storia delle vittime, Milano 1966 Rime di viaggio per la terra dipinta, Milano 1969 Poesie 1929-69, Milano 1972 Poesie d’amore (1941-49; 1960-72), Collezione Specchio, Milano, Mondadori, 1973, ISBN 978-88-04-10585-5. Lapide 1975 ed altre cose, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1976. Desinenze, Milano 1977 Poesie, a cura di F. Napoli, Milano, Jaca Book, 1998, ISBN 978-88-16-52009-7. Tutte le poesie, a cura di Silvio Ramat, Collana Oscar grandi classici n.103, Milano, Mondadori, 2005, ISBN 978-88-04-53347-4. Tutte le poesie (nuova edizione ampliata), a cura di Silvio Ramat, Collana Oscar moderni n.103, Milano, Mondadori, 2017, ISBN 978-88-04-65960-0. Prosa La sposa bambina, Firenze, 1943; nuova ed., Firenze 1963; Salerno, Roma, 1994 La coda di paglia, Milano, 1948; nuova edizione, Salerno, Roma, 1995 Carlomagno nella grotta. Questioni meridionali, Milano, 1962; nuov ed., Firenze 1974 (come Napoli N.N.); Salerno, 1993 Le ore piccole (note e noterelle), Salerno, 1975 Parole a un pubblico immaginario e altre prose, Pistoia, 1996 Il signor Mezzogiorno, Napoli, 1996 Il pallone rosso di Golia. Prose disperse e rare e l’inedito «Bagaglio presso», Milano, 1997 L’aria e altre prose, Pistoia, 2000 Diario d’un poeta, Napoli, 2001 La pecora nera, Napoli, 2001 La palla al balzo– un poeta allo stadio, Limina, 2006 Pensieri, a cura di F. Sanguineti, Torino, Nino Aragno, 2016 Teatro Il duello, Milano 1944; nuova ed., Salerno, 1995 Filmografia Alfonso Gatto ha anche avuto diverse parti in alcuni film. In Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano aveva la parte di un conduttore di treni. Altre parti ha avuto in due film di Pier Paolo Pasolini: in Il Vangelo secondo Matteo (1964) recitava la parte dell’apostolo Andrea, in Teorema (1968) la parte di un dottore. Altre parti ha avuto in Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi dove era Nocio e in Caro Michele (1976), di Mario Monicelli, tratto dall’omonimo romanzo di Natalia Ginzburg, dove interpretava il padre di Michele. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Alfonso_Gatto

Edoardo Sanguineti

Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930 – Genova, 18 maggio 2010) è stato un poeta, scrittore e politico italiano, che fece parte del Gruppo 63. Biografia Figlio unico di Giovanni, impiegato di banca nato a Chiavari, e di Giuseppina Cocchi, torinese, si trasferì all’età di quattro anni a Torino, città nella quale il padre aveva trovato un nuovo impiego come amministratore cassiere presso la tipografia Doyen & Marchisio. Era ancora bambino quando, durante una normale visita di controllo, gli venne diagnosticata una grave malattia cardiaca. La diagnosi si rivelò in seguito errata ma questo episodio ha condizionato per lungo tempo lo stile di vita del poeta.A Torino abitava uno zio di Edoardo, Luigi Cocchi, musicista e musicologo, che aveva conosciuto Gobetti e Gramsci e aveva collaborato alla rivista L’Ordine Nuovo e che sarebbe stato il primo punto di riferimento per la formazione del giovane. A Bordighera, dove il giovane trascorreva le vacanze estive, Edoardo frequentava il cugino Angelo Cervetto, appassionato di musica che gli trasmette la passione per il jazz, e Guido Seborga, che lo inizia alla lettura di Artaud. Nel frattempo, in seguito alla pertosse che aveva contratto, il giovanissimo Edoardo venne visitato da uno specialista che individuò l’errore diagnostico del quale era stato vittima. Edoardo era sanissimo ma da quel momento dovette fare intensi esercizi fisici per recuperare il tono muscolare. Ginnastica, ciclismo, tennis furono da quel momento gli sport che avrebbe dovuto intensamente affiancare allo studio, anche se dovette rinunciare alla sua primaria ispirazione: quella di dedicarsi alla danza. 1946-1955: studi, elaborazione di Laborintus, primi contatti culturali Nel 1946 Edoardo s’iscrisse al Liceo classico Massimo d’Azeglio ed ebbe come insegnante d’italiano Luigi Vigliani. A lui avrebbe dedicato il saggio su Gozzano e gli avrebbe fatto leggere alcune poesie che saranno in seguito parte di Laborintus. In terza liceo, Sanguineti ebbe come docente di storia e filosofia Albino Galvano, pittore, critico, storico d’arte, filosofo amante della psicanalisi e interessato alle avanguardie. Successivamente s’iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino. In questi anni il giovane frequentò il mondo culturale torinese, recandosi a mostre ed ascoltando concerti. Conobbe la pittrice dell’avanguardia Carol Rama, il filologo classico Vincenzo Ciaffi, lo studioso di lingue e culture germaniche Vittorio Amoretti e il romanziere Seborga che frequentava anch’egli a Bordighera e che l’avrebbe indirizzato alle letture di Artaud. Nel 1951 Sanguineti iniziò a scrivere l’opera che si chiamerà “Laborintus” e, come egli stesso dice nei Santi Anarchici, scriveva per una piccola comunità di lettori: “Eravamo in cinque. E i miei quattro lettori erano una ragazza, un aspirante filologo classico e due altri studenti, uno di farmacia e l’altro di medicina”. Conobbe intanto Enrico Baj che avrebbe creato il manifesto della pittura nucleare e dà vita al Nuclearismo. Il 1953 è l’anno della morte della madre ma anche quello dell’incontro con Luciana che avrebbe sposata il 30 settembre del 1954. Sempre nel 1954, in occasione della recensione di Sanguineti sulla rivista torinese “Galleria” dell’Antologia critica del Novecento, conobbe Luciano Anceschi che, dopo aver letto Laborintus, decise di darlo alle stampe. Alcune poesie di Laborintus erano intanto apparse su “Numero”, una rivista fiorentina diretta da Fiamma Vigo, alla quale era stato invitato a collaborare da Gianni Bertini, un pittore pisano incontrato da Sanguineti nello studio di Albino Galvano. Nel 1955 nacque il primo figlio dello scrittore: Federico. 1956-1960: pubblicazione di Laborintus, laurea e carriera universitaria Il 1956 fu l’anno della pubblicazione, a cura di Luciano Anceschi, di Laborintus e anche l’anno della laurea. Sanguineti il 30 ottobre discusse una tesi su Dante col professor Giovanni Getto, la quale venne pubblicata nel 1961 col titolo Interpretazione di Malebolge. Nasceva in quel periodo «Il Verri» redatto da Pagliarani e da Porta al quale Sanguineti collaborò intensamente. Il 1º novembre 1957 Sanguineti si offrì come assistente volontario presso la cattedra di Getto, insegnando contemporaneamente italiano nel triennio del liceo classico di un istituto privato diretto da suore domenicane. Nel 1958 nasceva il suo secondo figlio: Alessandro. 1961-1965: i Novissimi e la libera docenza Risale al 1961 la conoscenza da parte del poeta di Luciano Berio che gli chiese di collaborare per la Piccola Scala con un’anti-opera. Nascerà da questa collaborazione Passaggio che verrà rappresentato nel 1963. Sempre nel 1961 uscì l’antologia dei Novissimi con prefazione di Giuliani che comprende le opere di Giuliani stesso, di Sanguineti, di Pagliarani, di Balestrini e di Porta. Nasceva nel 1962 il terzo figlio, Michele e nel 1963 si istituì il Gruppo 63 a Palermo che sarà “il risultato dei legami e dei contatti culturali maturati nei precedenti anni”.Nel frattempo Sanguineti, che era diventato assistente incaricato e in seguito assistente ordinario del professor Giovanni Getto, nel 1963 consegue la libera docenza e ha come presidente di commissione Mario Fubini. In questo periodo frequenterà, in tre occasioni, anche le Décades di Cerisy: la prima volta invitato da Ungaretti, al quale era dedicato il convegno, la seconda volta invitato dal gruppo di Tel Quel, per il romanzo sperimentale e, alla fine degli anni sessanta, per il cinema. Nel 1965 otterrà una cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la facoltà di lettere dell’università di Torino. 1968-1974: cambiamenti Nel 1968 si sciolse il Gruppo 63 (e nel '69 termineranno anche le pubblicazioni della rivista “Quindici”). Nello stesso anno Sanguineti si candidò alle elezioni per la Camera nelle liste del PCI ma deve trasferirsi a Salerno con la famiglia come incaricato all’università. A Salerno Sanguineti terrà due corsi, quello di Letteratura italiana generale e quello di Letteratura italiana contemporanea e nel 1970 diventerà professore straordinario. Nel 1971 il poeta visse durante sei mesi a Berlino con la famiglia, nel 1972 morì il padre, nel 1973 nasceva la figlia Giulia e Sanguineti diventò, sempre a Salerno, professore ordinario. Nello stesso anno iniziò la collaborazione a “Paese Sera”. Nel 1974 ottenne una cattedra di Letteratura italiana presso l’Università di Genova, per stare accanto ai compagni proletari si trasferisce al CIGE del Begato con la famiglia e nel 1975 inizia a collaborare con il “Giorno”. 1976-1980: gli anni dell’impegno politico Nel 1976 Sanguineti iniziò a collaborare con l’Unità, e nel 1980 con Il Lavoro di Genova. Furono questi anni di grande impegno politico: venne infatti eletto consigliere comunale a Genova (1976– 1981) e deputato della Camera (1979– 1983), come indipendente nelle liste del PCI. 1981-2005: i viaggi, gli onori Dal 1981 al 1983 diresse la prestigiosa rivista Cervo Volante assieme ad Achille Bonito Oliva. In redazioni ebbe giovanissimi poeti di talento come Valerio Magrelli, Nel 1990 fondò, con Nadia Cavalera, la rivista internazionale “Bollettario. Quadrimestrale di scrittura e critica”. La diresse durante vent’anni, fino alla sua morte (nel 2010). In redazione ebbe Filippo Bettini, Francesco Muzzioli, Marcello Frixione, e Tommaso Ottonieri. Collaboratori i maggiori autori del tempo. Numerosi furono i viaggi fatti in questo periodo sia in Europa che fuori dell’Europa (Unione Sovietica, Georgia e Uzbekistan, Tunisia, Cina, Stati Uniti, Canada, Messico, Colombia, Argentina, Perù, Giappone, India). Nel 1996 venne nominato dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di gran merito della Repubblica Italiana. Sanguineti, che aveva lasciato nel 2000 l’Università e aveva ricevuto numerosi premi letterari tra i quali la Corona d’oro di Struga, il Premio Capri dell’Enigma (1998), fu membro e fondatore della “Accadémie Européenne de poésie” (Lussemburgo) e membro consulente del “Poetry International” (Rotterdam). Precedentemente Faraone poetico dell’Istituto Patafisico di Milano, dal 2001 è Satrapo Trascendentale, Gran Maestro O.G.G. (Parigi) e presidente dell’OpLePo. 2006-2010: Gli ultimi anni Nel 2006, nel corso di un suo intervento al Festival dei Saperi di Pavia ebbe a dire che "quaranta ragazzetti innamorati del mito occidentale e assetati di Coca-Cola hanno fatto più rumore di migliaia di operai massacrati in Cile" e che "non si sa esattamente quanta gente sia stata uccisa dalle forze del governo e dei militari durante i 17 anni durante i quali Pinochet rimase al potere, ma la Commissione Rettig elencò 2.095 morti e 1.102 “scomparsi”. Sanguineti– a cui il 5 giugno 2006 venne assegnato il Premio Librex Montale– diventò presidente onorario dell’associazione politica Unione a Sinistra e fu candidato alle primarie dell’Unione per l’elezione del sindaco di Genova, tenutesi il 4 febbraio 2007, sostenuto da: Partito dei Comunisti Italiani, Partito della Rifondazione Comunista e Unione a Sinistra, ottenne il 14% dei voti. Le primarie furono vinte da Marta Vincenzi, candidata de L’Ulivo (60%). Secondo arrivò Stefano Zara. Il 18 maggio 2010 fu ricoverato d’urgenza a causa di un aneurisma che provocava da diversi giorni fitte all’addome. Alle 13:30 Sanguineti morì, all’età di 79 anni, ancora in sala operatoria. La procura aprì un’inchiesta per omicidio colposo a carico di ignoti. Il 22 maggio venne sepolto nel pantheon del cimitero monumentale di Staglieno, accanto alla tomba in cui riposa il capo-partigiano Aldo Gastaldi “Bisagno”. Edoardo Sanguineti era ateo. Il poeta Laborintus: sperimentalismo e disgregazione del linguaggio La prima pubblicazione di Laborintus, nel 1956, nella collezione “Oggetto e simbolo” diretta da Luciano Anceschi per la casa editrice Magenta, passa quasi inosservata. Le sue poesie, ritenute così difficili da interpretare, sarebbero divenute, solo un decennio dopo, norma per le sperimentazioni linguistiche-poetiche degli anni sessanta. Il titolo, nato dall’utilizzo di uno schema labirintico, deriva secondo Risso anche dalla "complessità della realtà atomica di quegli anni, i cui esiti potevano davvero essere benjaminianamente catastrofici"Pasolini in un articolo su “Il Punto” definisce la raccolta Laborintus “un tipico prodotto del neo-realismo post-ermetico” al quale Sanguineti replica sul n. 11 di “Officina” nel novembre del 1957 con un articolo intitolato Una polemica in prosa ironizzando sulle giuste distanze che Pasolini metteva tra il proprio “sperimentalismo” e quello “non puro sperimentalismo sanguinetiano”. La questione verrà ripresa da Luciano Anceschi sulla rivista Il Verri nel 1960 con questa affermazione:"Accade in questi anni– e vogliamo mettere come data di inizio del movimento il 1956?– nel nostro paese qualche cosa di naturale, di prevedibile, di necessario: nasce probabilmente una nuova generazione letteraria"'. Laborintus è infatti un testo di riferimento centrale per lo sperimentalismo degli anni sessanta soprattutto se confrontato con la poesia del suo tempo. Esso infatti si presenta come qualcosa di nuovo che apre soluzioni linguistiche e formali sconosciute a quella poesia che, nella seconda metà degli anni cinquanta, dopo lo spegnersi del neorealismo si stava orientando verso l’antinovecentismo introdotto all’interno della rivista “Officina”. Sanguineti, nel programma della neoavanguardia, è figura centrale per il suo poundismo, per i richiami psicoanalitici dei suoi testi, per il suo plurilinguismo e per quel verso pronto a dilatarsi in "un recitativo drammatico dove la soluzione metrica è rigorosamente atonale e, si potrebbe dire, gestuale", come scriveva Alfredo Giuliani. La poesia di Laborintus sembra, con la sua accentuata disgregazione dei linguaggi, rifarsi alle esperienze musicali di Luciano Berio o di John Cage e, nell’ambito pittorico, all’informale Jackson Pollock, Jean Fautrier o Mark Rothko. La tecnica dell’assemblage La tecnica dell’assemblage, utilizzata nella poesia di Sanguineti, è presa dall’ambito pittorico e gli oggetti– segni, tolti dallo spazio in cui erano collocati, acquistano improvvisamente la loro piena autonomia, ingrandendosi a dismisura. Dall’intellettualismo alla concretezza della quotidianità Sanguineti prosegue, dopo Laborintus, con lo stesso stile ipercolto e scrive, tra il 1956 e il 1959 le poesie di tema erotico che vanno sotto il nome Erotopaegnia, poi, tra il 1960 e il 1963, Purgatorio de l’Inferno e nel 1964 raccoglie, sotto il titolo di Triperuno, le precedenti sequenze precedute da Laborintus. Ma in queste poesie già si possono notare dei movimenti verso una scrittura che si sposta dall’intellettualismo dei primi esordi alla concretezza delle cose quotidiane e che, in alcuni punti, si aprono al diarismo dei successivi libri. Nuove raccolte Nella seconda raccolta del 1972, Wirrwarr (confusione) che si compone di due parti, “Testo di appercezione tematica” (1966– 1968) e “Reisebilder” (immagini di viaggio) (1971), il poeta pur continuando l’opera di destrutturazione del linguaggio che aveva iniziato con Triperuno, cerca di recuperare le cose autentiche del reale e del vissuto. Lo stile si fa più discorsivo e comunicativo, carattere questo che si ritrova nelle sue seguenti raccolte Postkarten (cartoline postali) del 1978, Stracciafoglio del 1980 e Scartabello del 1981 dove si impone un linguaggio più articolato che gioca su un registro parodico-ironico e si applica alle piccole cose della vita quotidiana. In queste raccolte l’avanguardia di Sanguineti, pur senza contraddirsi o negarsi, non appare, paradossalmente, lontana da situazioni come quelle di Giudici o Montale in opere come La vita in versi e Satura. La periodicità delle raccolte Periodicamente Sanguineti raccoglie i suoi versi in volumi riassuntivi, come Catamerone del 1974, ripreso nel 1982 in Segnalibro dove la sperimentazione si riappropria dell’uso della forma tradizionale per approdare, nel 1986, a Novissimum Testamentum, poi incluso in Senzatitolo nel 1992. In queste opere il poeta si impegna, confermando così la sua attenta ricerca metrica, sull’ottava, sulla canzonetta, sul sonetto intervallandoli con componimenti dal tipico verso extra-lungo che sembra scivolare via e “frantumarsi”. Nel 1987 esce la raccolta Bisbidis che costituisce un capitolo aggiuntivo nella linea iniziata con Wirrwarr. Il titolo, che è ripreso da una frottola del poeta Immanuel Romano (contemporaneo di Dante), è una voce onomatopeica che indica il chiacchierio di gente e appare come poesia di carattere colloquiale quasi crepuscolare che conferma quella linea poetica iniziata negli anni Settanta. Del 2002 è la raccolta Gatto Lupesco che contiene Bisbidis, Senzatitolo, Corollario, la versione definitiva di Cose, e una sezione di poesie intitolate Poesie fuggitive. Cinquant’anni di poesia Del 2004 è la raccolta antologica Mikrokosmos Poesie 1951-2004 che si presenta divisa in due parti. La prima parte comprende una scelta di Laborintus, di Erotopaegnia, di Purgatorio de l’Inferno, di T.A.T., di Reisebilder, di Postkarten, di Stracciafoglio, di Scartabello, di Cataletto, di Codicillo, di Rebus, di Glosse, di Corollario e di Cose. La seconda parte comprende una selezione da Fuori Catalogo, da L’ultima passeggiata, omaggio a Pascoli, da Alfabeto apocalittico, da Novissimum Testamentum, da Ecfrasi, da Mauritshuis, da Ballate, da Fanerografie, da Omaggio a Catullo, da Stravaganze, da Poesie fuggitive, da Varie ed eventuali. Il narratore Anche nel romanzo Sanguineti dedica molta attenzione al trattamento del linguaggio, tanto sul piano lessicale quanto su quello sintattico e sia nel romanzo Capriccio italiano, pubblicato nel 1963, e Il gioco dell’Oca del 1967 si avverte il piacere ludico della parola. La sua produzione narrativa è stata raccolta in “Smorfie”, contenente i due romanzi oltre ad altri testi in prosa. Ed è con Capriccio italiano che lo scrittore si fa portavoce del romanzo sperimentale mostrando la crisi del romanzo tradizionale giocando sui motivi dell’inconscio, dell’onirico e del biologico– sessuale.Il tema centrale del romanzo si basa sulla gravidanza della moglie del narratore e l’attesa del figlio ed è trattato non in modo naturalistico ma come una prova che, attraverso brevi episodi simili ad un sogno, smuovono gli strati dell’inconscio. Il critico L’attività critica di Sanguineti si è svolta inizialmente all’interno dell’ambito accademico: a lui si devono brillanti lavori su Dante ("Dante reazionario") e un’articolata analisi sui nessi tra poesia crepuscolare e liberty, in cui si rintraccia l’origine della poesia italiana del Novecento nella reazione ironica operata dai poeti crepuscolari ai danni dell’estetizzazione liberty, a partire dalla necessità, poi riconosciuta da Eugenio Montale, di “attraversare D’Annunzio”. Esemplificazione e concretizzazione di tale linea critica è l’antologia Poesia italiana del Novecento, la cui agile premessa mostra la rispondenza tra connotazione stilistico-linguistica e connotazione ideologico-psicologica degli autori. (Ideologia e linguaggio sono interfacce di solito coerentemente operanti, come Sanguineti chiarisce più in dettaglio nello studio Ideologia e linguaggio). L’antologia è, dunque, già per sé stessa, saggio critico, per la scelta degli autori e soprattutto dei singoli testi, con attenzione a quelli significativi di posizioni ideologiche e di sperimentalismo linguistico. Opere Poesie * Laborintus, Varese, Magenta, 1956. * Opus metricum, Milano, Rusconi e Paolazzi, 1960. (contiene Laborintus ed Erotopaegnia) * Triperuno, Milano, Feltrinelli, 1964. (contiene Opus metricum e Purgatorio de l’Inferno) * T.A.T., Verona, Sommaruga, 1968. (con litografie e acqueforti di Gianfranco Baruchello) * Renga (scrittura poetica collettiva in collaborazione con O. Paz, J. Roubaud e C. Tomlison), Parigi, Gallimard, 1971. * Wirrwarr, Milano, Feltrinelli, 1972. (contiene T.A.T. e Reisebilder) * Catamerone, Milano, Feltrinelli, 1974. (contiene Triperuno e Wirrwarr) * Omaggio a Emilio Vedova, Milano, Galleria Rizzardi, 1974. (con fogli grafici di Emilio Vedova) * Postkarten, Milano, Feltrinelli, 1978. * Stracciafoglio, Milano, Feltrinelli, 1980. (in appendice Fuori Catalogo, che raccoglie poesie d’occasione scritte tra il 1957 e il 1979) * Fame di tonno. Pastelli e poesie, s.l., Calcografica Studio, 1981. (con pastelli di Luca Alinari) * Scartabello, Macerata, Cristoforo Colombo libraio, 1981. (con dieci disegni di Valeriano Trubbiani) * Re-spira, Milano, Zarathustra, 1982. (con sette acqueforti a colori di Antonio Papasso) * Segnalibro, Milano, Feltrinelli, 1982. (contiene Camerone, Postkarten, Stracciafoglio, Scartabello e Cataletto) * Codicillo 1982, Cernusco sul Naviglio, Severgnini stamperia d’arte, 1983. * Due Ballate, Genova, Pirella Editore, 1984. * Alfabeto apocalittico. 21 ottave con un’acquaforte e 21 capilettera, Milano, Galleria Rizzardi, 1984. (con un’acquaforte e ventun capilettera di Enrico Baj) * Rebus, Modena, Telai del Bernini, 1984. (con una tavola di Carlo Cremaschi) * Omaggio a Pascoli. L’ultima passeggiata, Roma, Il Ventaglio, 1985. * Quintine, Roma, Carte segrete-Rossi & Spera, 1985. (in collaborazione con Salvatore Paladino) * Novissimum Testamentum, Lecce, Manni, 1986. * Promemoria-Pro/memoria, 1992. (tre acqueforti a colori di Antonio Papasso) * Bisbidis, Milano, Feltrinelli, 1987. ISBN 88-07-05050-1. (contiene Codicillo, Rebus, L’ultima passeggiata e Alfabeto apocalittico) * Senzatitolo, Milano, Feltrinelli, 1992. ISBN 88-07-05084-6. (contiene Glosse, Novissimum Testamentum e una serie di poesie “extravaganti” composte tra il 1982 e il 1991) * Malebolge 1994/1995, o Del malgoverno. Da Berluskaiser a Berluscaos, con Enrico Baj, Castel Maggiore, Book editore, 1995. ISBN 88-7232-208-1. * Libretto. 17 poesie 1992-1995, Genova, Pirella, 1995. ISBN 88-85514-44-8. (pubblicazione in occasione dell’incontro sul Manifesto dell’antilibro, Acquasanta, novembre 1995, con disegni di Mario Persico) * Quattro Haiku, Agromonte-Napoli, Ogopogo-ETRA/ARTE, 1995. (con disegni di Cosimo Budetta e una nota introduttiva di Stefano Bartezzaghi) Corollario 1996, Lecce, Manni, 1996. (pubblicazione in occasione della manifestazione “L’olio della poesia. Incontro con Edoardo Sanguineti” promossa dalla Provincia di Lecce e dal Comune di Carpignano Salentino, 25 luglio 1996, contiene cinque poesie) * Rebus, Como, Lythos, 1996. (cinque poesie con litografie di Ico Parisi) * Corollario, Milano, Feltrinelli, 1997. ISBN 88-07-42078-3. * Taccuinetto, Milano, Giorgio Upiglio, 1998. (tre poesie, con tre incisioni di Cristiana Isoleri e una nota di Roberto Sanesi) * Corto, Prato, Canopo, 1998. (dieci poesie, con dodici collage di Marco Nereo Rotelli) * Wunderkammer, Roma, Il Bulino, 1998. (sette poesie, con una puntasecca a colori di Tommaso Cascella) * Sulphitarie, Napoli, Terra del Fuoco, 1999. (con Carmine Lubrano, fotografie di Peppe Del Rossi) * Cose, Napoli, Pironti, 1999. ISBN 88-7937-217-3. (con introduzione di Fausto Curi e postfazione di Ciro Vitiello) * Pensierini per Papasso, 1999. (lettura poetica dei Papiers Froissés di Antonio Papasso, Sala Consigliare Comune di Bracciano Il gatto lupesco. Poesie (1982-2001), Milano, Feltrinelli, 2002. ISBN 88-07-53005-8. (contiene Bisbidis, Senzatitolo, Corollario, la versione completa di Cose e una sezione di poesie extravaganti intitolate Poesie Fuggitive, un nuovo Fuori Catalogo) * Omaggio a Goethe, Bellinzona, Edizioni Sottoscala, 2003. (con disegni di Mario Persico) * Omaggio a Shakespeare. Nove sonetti, Lecce, Manni, 2004. ISBN 88-8176-503-9. (con disegni di Mario Persico e con un saggio di Niva Lorenzini) * Mikrokosmos. Poesie 1951-2004, Milano, Feltrinelli, 2004. ISBN 88-07-81823-X. * Il sonetto del foglio volante, 2006. (poesia dedicata all’opera di Antonio Papasso e contenuta nel film Elogio del leggero di Riccardo Barletta) * Capriccio oplepiano. Pretesti, in “Biblioteca Opleopiana”, n. 30, Edizioni Oplepo, 2010. * Varie ed eventuali. Poesie 1995-2010, Milano, Feltrinelli, 2010. ISBN 978-88-07-42129-7. Romanzi e racconti * Capriccio italiano, Milano, Feltrinelli, 1963. * Il giuoco dell’oca, Milano, Feltrinelli, 1967. * Il giuoco del Satyricon. Un’imitazione da Petronio, Torino, Einaudi, 1970. * Smorfie, Roma, Etrusculudens, 1986. * L’orologio astronomico, Illkirch, Le Verger, 2002. ISBN 2845740174. * Smorfie. Romanzi e racconti, Milano, Feltrinelli, 2007. ISBN 978-88-07-01725-4. Teatro, testi per musica, travestimenti * K., in “Il Verri”, anno IV, n. 2, 1960, pp. 69–82 * K e altre cose, Scheiwiller, Milano, 1962 (contiene K., alcune poesie e interventi critici). * Passaggio, per la musica di Luciano Berio, Universal, London-Milano, 1963 (e in “Sipario”, n. 224, pp. 62–70 * Traumdeutung, in "Menabò", n. 8, 1965, pp. 37–49 * Teatro, Feltrinelli, Milano, 1969 * Laborintus II, per la musica di Luciano Berio, in “Manteia”, XIV-XV, 1972, pp. 14–28 * Marinettiana, in Giuseppe Bartolucci, Il gesto futurista, Bulzoni, Roma, 1969, pp. 73–77 * Orlando Furioso (travestimento dell’Ariosto in collaborazione con Luca Ronconi), Bulzoni, Roma, 1970 * Storie naturali, Feltrinelli, Milano, 1971 * Interviste impossibili: Francesca da Rimini, in AA.VV., Le nuove interviste impossibili, Bompiani, Milano, 1976 * C’ero anch’io: la prima dell’Edipo Re, inedito, 1978 * Carrousel, per la musica di Vinko Globokar, parziale in "Musica e realtà", n. 4, 1981, pp. 21–41 * Faust. Un travestimento, Costa & Nolan, Genova, 1985 (da Goethe, trasformato poi da Luca Lombardi in opera musicale) * Commedia dell’Inferno (da Dante), Costa & Nolan, Genova, 1989 Per Musica, Ricordi Mucchi, Modena, 1993 (contiene con Passaggio e Laborintus II, le opere Carrousel, L’armonia drammatica per la musica di Vinko Globokar, l’Antigone, adattamento per le musiche di scena di Mendelssohn, 1986, correlato dalla nota introduttiva, con il titolo Il complesso di Antigone e tutti i testi con destinazione musicale) * Tracce, Grin, Roma, 1995 (contiene Tracce, Storie naturali, Satyricon, in collaborazione musicale) * Rap, LibriARENA fuoriTHEMA, Bologna, 1996 * Il mio amore è come una febbre e mi rovescio, Bompiani, Milano, 1998 contiene Rap e Sonetto, (entrambi per la musica di Andrea Liberovici) * Dialogo, in “Allegoria”, anno II, n. 5, 1990, e poi in “Passaggi”, anno II, n. 3, giugno 1998, pp. 71–76 * Sei personaggi.com, un travestimento pirandelliano (con musiche di scena di Andrea Liberovici), il Melangolo, Genova, 2001 * L’amore delle tre melarance, un travestimento fiabesco dal canovaccio di Carlo Gozzi, il Melangolo, Genova, 2001 Saggi e studi * Interpretazione di Malebolge, Olschki, Firenze, 1961 * Tre studi danteschi, Le Monnier, Firenze, 1961 * Tra liberty e crepuscolarismo, Mursia, Milano, 1961 * Alberto Moravia, Mursia, Milano, 1962 * Ideologia e linguaggio, Feltrinelli, Milano, 1965 * Guido Gozzano. Indagini e letture, Einaudi, Torino, 1966 * Il realismo di Dante, Sansoni, Firenze, 1966 * Antonio Bueno, Feltrinelli, Milano, 1975 * La missione del critico, Marinetti, Genova, 1987 * Lettura del Decameron, a cura di Emma Grimaldi, Edizioni 10/17, Salerno, 1989 * Dante reazionario, Editori Riuniti, Roma, 1992 * Per una critica dell’avanguardia poetica in Italia e in Francia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995 (con un saggio di Jean Burgos e due testimonianze di Pierre Dhainaut e Jacqueline Risset) * Il chierico organico, a cura di Erminio Risso, Feltrinelli, Milano, 2000 * Ideologia e linguaggio, nuova edizione accresciuta, Feltrinelli, Milano, 2001 * Verdi in technicolor, il melangolo, Genova, 2001 * Atlante del Novecento italiano, a cura di Erminio Risso, con fotografie di Giovanni Giovannetti, Manni, Lecce, 2001 * Carol Rama, Masoero Edizioni, Torino 2002 * La letteratura italiana di Edoardo Sanguineti, Rai Educational, 2000 * Cultura e realtà, a cura di Erminio Risso, Milano, Feltrinelli, 2010 Raccolte di articoli * Giornalino, Einaudi, Torino, 1976 * Giornalino secondo, Einaudi, Torino, 1979 * Scribilli, Feltrinelli, Milano, 1985 * Ghirigori, Marietti, Genova, 1988 * Gazzettini, Editori Riuniti, Roma, 1993 * Taccuini (12 prose comparse originariamente su “Rinascita” tra il 1984 e il 1987), in “Poetiche”, n. 3/ 2007, Modena, Mucchi editore, a cura e con introduzione di L. Weber, pp. 413–475 l’altruista Gli ultimi articoli del poeta su Gli Altri, Roma, I edizione Gli Altri, maggio 2011. ISSN 2037-2221. Venduto esclusivamente in abbinamento al settimanale Gli Altri in edicola. Postfazione di Fausto Bertinotti. Traduzioni * J. Joyce, Poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1961 * Salmi: preghiera e canto della Chiesa, a cura di J. Gelineau, U. Wernst, E. Sanguineti, D. Stefani, L. Borello, Elle Di Ci, Torino, 1966 * Euripide. Le Baccanti, Feltrinelli, Milano, 1968 * Seneca, Fedra, Einaudi, Torino, 1969 * Petronio, Il Satyricon, Aldo Palazzi Editore, Roma, 1969 * Euripide, Le Troiane, Einaudi, Torino, 1974 * Eschilo, Le Coefore, il Saggiatore, Milano, 1978 * Sofocle. Edipo tiranno, Cappelli, Bologna, 1980 * Sofocle, Antigone, adattamento per le musiche di scena di Felix Mendelssohn, 1986 * Eschilo. I sette contro Tebe, Sipario, Milano, 1992 * W. Shakespeare, Macbeth Remix (con musiche di scena di Andrea Liberovici), Spoleto, 1998 * Molière, Don Giovanni, il Melangolo, Genova, 2000 * Aristofane, La festa delle Donne, il melangolo, Genova, 2001 * B. Brecht, Il cerchio di gesso del Caucaso, il melangolo, Genova, 2003 * Omaggio a Shakespeare. Nove sonetti, illustrati da Mario Persico, con un saggio di Niva Lorenzini, Manni, Lecce, 2004 * Pierre Corneille. L’illusione comica, il Melangolo, Genova, 2005 * Teatro antico. Traduzioni e ricordi, a cura di Federico Condello e Claudio Longhi, BUR, Milano, 2006 * Quaderno di traduzioni. Lucrezio Shakespeare Goethe, Einaudi, Torino, 2006 * W. Shakespeare La tragedia di Re Lear, il Melangolo, Genova, 2008 * Fedra (Ippolito portatore di corona) di Euripide, per l’Istituto nazionale del dramma antico INDA 2009 Antologie * Il sonetto, Mursia, Milano, 1957 (in collaborazione con Giovanni Getto) * Decameron. 49 novelle commentate da Momigliano, Petrini, Torino 1959 * Poesia italiana del Novecento, Einaudi, Torino, 1969 * L’Opera di Pechino, Feltrinelli, Milano, 1971 Interviste * Fabio Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Anabasi, Milano 1993 Erminio Risso (a cura di), Atlante del Novecento italiano. La cultura letteraria, con fotografie di Giovanni Giovannetti, Manni, Lecce 2001 (le schede di 74 scrittori, con un’intervista di Erminio Risso a Edoardo Sanguineti) * Giuliano Galletta, Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo, il melangolo, Genova 2005 * Antonio Gnoli, Sanguineti’s Song. Conversazioni immorali, Feltrinelli, Milano 2006 * (a cura di Roberto Iovino), Conversazioni musicali, il melangolo, Genova 2011 Epistolari * Fausto Curi, La poesia italiana d’avanguardia. Modi e tecniche. Con un’appendice di documenti e di testi editi e inediti, Liguori, Napoli 2001 * Ciro Vitiello, Due lettere, un dialogo critico, in Album Sanguineti, a cura di Niva Lorenzini ed Erminio Risso, Manni, Lecce 2002 * Tommaso Lisa (a cura di), Pretesti ecfrastici. Edoardo Sanguineti e alcuni artisti italiani con un’intervista inedita, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2004 (contiene il carteggio Sanguineti-Bueno) * Niva Lorenzini (a cura di), Lettere dagli anni Cinquanta, De Ferrari editore, Genova 2009 (contiene le lettere di Sanguineti a Luciano Anceschi) Opere di lessicografia * Schede gramsciane, Utet, Torino 2004 * direzione del volume di supplemento 2004 (integrazioni e aggiornamenti) del Grande dizionario della lingua italiana, Utet, Torino 2004 consulenza e collaborazione per il GRADIT – Grande dizionario italiano dell’uso ideato e diretto da Tullio De Mauro, sei volumi e un CD-rom, Utet, Torino 1999, a cui seguono un volume VII (Nuove parole italiane dell’uso, con un CD-rom), Utet, Torino 2003, e un volume VIII (Nuove parole italiane dell’uso, con una chiave USB), Utet, Torino 2007 Filmografia Ansano Giannarelli: Non ho tempo, 1973, bianco e nero, 104 min. (la versione televisiva è in 3 puntate di un’ora ciascuna). Con Mario Garriba (Evariste Galois), Franco Agostini, Lucio Lombardo Radice, Marisa Fabbri, Fernando Birri. Sanguineti ne scrive la sceneggiatura insieme a Giannarelli e con la consulenza scientifica di Lucio Lombardo Radice. Il film è girato nel 1971-72 ma presentato alle “Settimane della critica” del Festival di Cannes del 1973. Il film presentato a Cannes durava 150 minuti. Luca Ronconi:Orlando Furioso, 1974. Sceneggiato televisivo di 293 minuti in cinque puntate, mandato in onda ogni domenica alle 20, 45 dal 16 febbraio 1975 in bianco e nero. Proiettato nelle sale cinematografiche in un’edizione di 113 minuti (2º e 5º episodio, dal dicembre 1974). Derivato dallo spettacolo messo in scena da Ronconi nel 1969 su testo di Sanguineti. Scene e costumi: Pierluigi Pizzi, fotografia: Vittorio Storaro e Arturo Zavattini, musiche: Giancarlo Chiaramello. Con Mariangela Melato (Olimpia), Ottavia Piccolo (Angelica), Massimo Foschi (Orlando), Guido Mannari (Bireno), Cesare Gelli (Cimosco), Michele Placido (Agramante), Paolo Bonetti (Dardinello), Yorgo Voyagis (Cloridano), Alessio Orano (Medoro), Marzio Margine (Zerbino), Luigi Diberti (Ruggiero), Paolo Turco (il pastore), Giacomo Piperno (Sacripante), Germano Longo (Oberto), Vittorio Sanipoli (Sobrino), Hiram Keller (Brandimarte), Erika Dario (la figlia di Cimosco), Rodolfo Bandini (Guidon Selvaggio), Carla Tatò (la vedova parigina), Ettore Manni (Carlo Magno), Carlo Valli (Ferraù), Edmonda Aldini (Bradamante) * Ennio De Dominicis: Niente stasera, 1993, colore, 72 min. Interpretazione * Michael Muschner: Truck Stop, mediometraggio, 1996. Scrittura di una poesia per il film e sua interpretazione * Felipe Guerriero: Medellìn, 1999. Interpretazione * Ugo Nespolo: Film-a-To, 2001, Betacam colore, 12 min. Lettura di alcune poesie sul cinema scritte appositamente per il film Andrea Liberovici Work in regress– la fabbrica nel cinema, 2006, video-installazione, 30 min. Lettura delle didascalie scritte per il film (esistono due versioni del titolo: Work in regress/ la fabbrica del cinema e Work in regress/ una catena di montaggi) * Mimmo Paladino: Quijote, 2006, HD colore, 75 min. Lettura di un testo poetico, Invenzione di Don Chisciotte, del 1949 Ugo Nespolo: Superglance, 2007, colore, 35 mm., 7 min. Scrittura e dizione dei testiInoltre Sanguineti avrebbe dovuto interpretare una parte in un film di Evgenij Aleksandrovič Evtušenko ma infine decise di non partecipare: una sua testimonianza è nell’intervista concessa a Piero Chiambretti nel programma televisivo Il laureato bis, puntata del 5 febbraio 1996. Probabilmente si trattava del mai realizzato * Konec Musketery (La fine dei tre moschettieri)Su Film-a-to si può vedere * Ugo Nespolo, Film-a-to, Allemandi, Torino 2002 (30 ill. a colori e 50 bn)Sul film di Paladino si può vedere * Mimmo Paladino, Quijote. Una mostra, un film, un libro, edizioni Electa, Milano 2005 Video e televisione * Match, serie di incontri moderati da Alberto Arbasino, puntata con Sanguineti e Moravia, 1978 La letteratura italiana di Edoardo Sanguineti, 14 puntate video della durata di circa 59 minuti ciascuna per Rai Educational, 2000. Regia di Lorenzo Gigliotti. Direttore della fotografia Alessandro Macci. A cura di Marco Sabatini. Oggi in 14 DVD della durata di circa 59 minuti ciascuno: Dalla latinità al volgare / Il Duecento / Dante / Petrarca / Boccaccio / L’Umanesimo / Ariosto e Tasso (oggi compresi nel cofanetto Storia della letteratura italiana di Edoardo Sanguineti. Dalle origini al Cinquecento, Rai, La Rai per la cultura, codice UDOC); Il Cinquecento / Il Seicento / Il Settecento / L’Ottocento. Foscolo e Leopardi / L’Ottocento: Manzoni / Il Novecento: prosa / Il Novecento: poesia (oggi compresi nel cofanetto Storia della letteratura italiana di Edoardo Sanguineti. Età moderna e contemporanea, Rai, La Rai per la cultura, codice UEMC) * abecedario di edoado sanguineti, a cura di Rossana Campo, video-intervista in 2 DVD, regia Uliano Paolozzi Balestrino, DeriveApprodi, Roma maggio 2006 * Sanguineti e Inge Feltrinelli sugli anni '60, intervista registrata alla libreria Feltrinelli di Mantova nel settembre 2006 Alfabeto Apocalittico, di e con Edoardo Sanguineti e Stefano Scodanibbio, immagini di Enrico Baj. Ripresa televisiva dello spettacolo con regia di Massimo Puliani, in occasione della consegna a Sanguineti del titolo accademico Honoris Causa all’Accademia di Belle Arti, Macerata, 4 maggio 2006 Eventi, mostre, installazioni * Magazzino Sanguineti, mostra (spezzoni di film, frammenti sonori, riproduzioni fotografiche, diapositive che proiettano versi), a cura di Erminio Risso, Palazzo Ducale, Loggia degli Abati, 23 maggio-27 giugno 2004 * Ritratto del Novecento alla Sala Borse di Bologna, regia di Giuseppe Bertolucci, 12-16 dicembre 2005 (ora le schede sono pubblicate in Ritratto del Novecento, a cura di Niva Lorenzini, Manni, Lecce 2009) Marcel Duchamp e il cinema, giornata sul cinema duchampiano, installazione Rotorilievi (telecamera e stampante, in una stanza, con al centro un divano), 8 giugno 2006. A cura di Valter Scelsi, Marta Oddone, Francesco Frassinelli, Davide Perfetti, Erminio Risso (nel corso della mostra “Marcel Duchamp: una collezione italiana”, allestimento a cura di Massimiliano Fuksas, 11 maggio-16 luglio, Genova, Museo di Villa Croce) * C’era una volta il pc – un quarto di secolo di personal computer, ologramma per la mostra “Hi Tech! Festival dell’innovazione”, Roma, complesso mussale dell’Ara Pacis, dal 7 al 10 giugno 2007 Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Edoardo_Sanguineti

Aldo Palazzeschi

Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974), è stato uno scrittore e poeta italiano, uno dei padri delle avanguardie storiche. Inizialmente firmò le sue opere col suo vero nome, e dal 1905 adottò come pseudonimo il cognome della nonna materna, appunto Palazzeschi. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che gli diede fama di rango nazionale. Biografia Nacque da Alberto Giurlani e Amalia Martinelli in via Guicciardini a Firenze; per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all’arte e alla scrittura. Inizialmente si dedicò alla recitazione: nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione “Tommaso Salvini”. Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D’Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l’artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia. Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall’attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all’appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario, Cesare Blanc (che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimala 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo dal poeta Sergio Corazzini con il quale Palazzeschi iniziò una fitta corrispondenza, fino alla precoce morte del Corazzini avvenuta nel 1907. La recensione non ebbe però un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto. Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell’artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta del trisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d’esordio del poeta. Nel 1908 pubblicò, sempre presso l’immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo: riflessi, ricco di misticismo e religiosità decadenti per quanto concerne la prima parte, inaspettatamente fondato sul registro comico, della cronaca e del pettegolezzo mondano, per quanto riguarda la seconda.Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?, Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario e il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l’artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell’anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata. Il periodo futurista In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell’uso del verso libero: Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista “Poesia”. Pubblicherà la raccolta di poesie l’Incendiario, dedicato “A F.T. Marinetti anima della nostra fiamma”, preceduto dal Rapporto sulla vittoria futurista di Trieste. Nell’estate il volume venne sequestrato a Trento per gli accesi toni interventisti della prefazione. Nella raccolta si ritrova lo scherzoso componimento E lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato. L’8 ottobre Palazzeschi si reca al Tribunale di Milano dove assiste al processo contro Filippo Tommaso Marinetti, accusato di oltraggio al pudore per il romanzo Mafarka il futurista. Il 1911 è l’anno del romanzo Il codice di Perelà. Nell’autunno del 1912 conobbe Ardengo Soffici e Giovanni Papini, impegnati nella preparazione di una nuova rivista (Lacerba) in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce. Nel 1914 seguì il manifesto del Controdolore che era apparso in precedenza su Lacerba. Nel marzo del 1914 raggiunse Papini e Soffici a Parigi. Qui Palazzeschi entrò in contatto con artisti come Apollinaire, Léger, Modigliani, Max Jacob, Umberto Boccioni e Ungaretti, che gli mostrò alcune sue composizioni. Nella stessa occasione, in compagnia di Giovanni Papini, si recò nello studio parigino di Pablo Picasso. Palazzeschi iniziò dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all’appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo. In ogni caso, l’interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l’entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti, nonostante fu certamente abbacinato e sconvolto dalla vitalità straordinaria di Marinetti. Il 3 settembre del 1914 si trovò a Roma, in Piazza San Pietro, dove ebbe modo di ascoltare il messaggio di pace del nuovo papa, Benedetto XV. Alla vigilia della grande guerra, i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutrale giudicando retorico l’acceso interventismo che veniva propagandato dal movimento futurista dei marinettiani: Al momento della dichiarazione di guerra si riavvicinò alle posizioni dei compagni, consapevole della necessità del conflitto. Esordirà, infatti, su Lacerba del 22 maggio 1915 scrivendo: “Evviva questa guerra!”.In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé. Si avvicinò all’ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista. Richiamo alle armi e gli anni del fascismo Durante l’estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato il 16 luglio e il 24 agosto alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi... mancati (1920). Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al Corriere della Sera. Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno “scherzo” iniziato nel 1912 dal titolo La piramide. Nel 1929 trovarono spazio su vari giornali e riviste, fra cui Pègaso, Pan e Il Selvaggio, novelle, saggi e ricordi. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo de Pisis, Georges Braque e Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall’editore Preda a Milano l’edizione definitiva delle Poesie risistemate con alcune variazioni; frequentò i coniugi Prezzolini e conobbe Pirandello a casa Crémieux; nel 1931 pubblicò altri racconti su Pègaso e sulla Gazzetta del Popolo; apparve nella «Collezione Romantica» Mondadori, la sua traduzione di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Nel 1932, abbandonate le veneri della stravaganza e dell’iconoclastica di matrice futurista, si riconciliò con le forme tradizionali pubblicando, su proposta di Ugo Ojetti, Stampe dell’Ottocento, prose di ricordi, che gli valse una menzione onorevole nell’assegnazione del Premio Mussolini. Nel 1933 collaborò con alcuni racconti alla terza pagina del settimanale Quadrivio di Telesio Interlandi. Nel 1934 fece parte della giuria del premio di poesia della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e con Ungaretti e Riccardo Bacchelli della giuria dei Littoriali per la gioventù tenutisi a Firenze. Uscì presso Vallecchi il romanzo Sorelle Materassi, anticipato a puntate sulla Nuova Antologia diretta da Luigi Federzoni. Il romanzo, uscito in volume, fu recensito da Antonio Baldini sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi: Per quanto concerne Palazzeschi, sempre schivo a rilasciare interviste, in occasione dell’uscita delle Sorelle Materassi ne concesse una alla Gazzetta del Popolo. Dopo aver riassunto la trama del romanzo, dichiarò: Nel 1937 collaborò con alcune novelle alla rivista Omnibus su invito del direttore Longanesi. Il 1937 fu altresì l’anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle. Anni romani Il 13 agosto 1938 morì la madre e nell’ottobre del 1940 il padre di Palazzeschi. Il 15 ottobre 1939 scrisse sulla nuova rivista di Curzio Malaparte, Prospettive. A marzo è in Piazza San Pietro in occasione dell’elezione di Papa Pio XII. Nel 1941, si trasferì a Roma dove abiterà fino alla morte. Nello stesso anno, il racconto Don Giovanni e l’etèra, incluso nelle Stampe dell’800, appare tradotto in tedesco sulla rivista Europäische Revue del principe Karl Anton Rohan. Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi... mancati. Nel 1948 ottenne, ex aequo con Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, il premio Viareggio per il romanzo I fratelli Cuccoli. . Tra il 1950 e il 1951, per dieci mesi, curò la rubrica cinematografica del settimanale Epoca. Nel 1953 presso Vallecchi pubblicò il romanzo Roma, per il quale Palazzeschi ricevette il Premio Marzotto. Nel 1954 uscirono nuove edizioni di Sorelle Materassi e de Il codice di Perelà, con il titolo L’uomo di fumo. A dicembre dello stesso anno fece parte con Marino Moretti della giuria del premio Alessandro Manzoni dell’Unione Editori Cattolici Italiani. Nel 1955 pubblicò presso Scheiwiller la raccolta di poesie Viaggio sentimentale. Collaborò al Corriere della Sera e a La Fiera Letteraria. Nel 1957 gli venne assegnato dall’Accademia Nazionale dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura. Nel 1960 l’Università degli Studi di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa. Nel 1964 pubblicò il libro autobiografico Il piacere della memoria. In agosto gli venne annunciato il conferimento da parte dell’ex sovrano Umberto II dell’Ordine civile di Savoia, che ricevette ufficialmente a Cascais il 15 settembre.Nel febbraio del 1965 presenziò alla conferenza “Con Gozzano e altri poeti nel salotto di Nonna Speranza” organizzata da Nino Tripodi. Nello stesso anno presiedette le giurie di vari premi tra cui quella del premio Nazionale d’arte Ardengo Soffici, a Prato, e quelle letterarie del premio Fiuggi, del premio Settembrini-Mestre e del premio Stradanova. Nel 1966 diede alle stampe gli Schizzi italofrancesi (All’insegna del pesce d’oro, Milano). In aprile uscì presso Mondadori la raccolta di novelle Il buffo integrale, che ottenne il premio Gabriele D’Annunzio. Nel 1967 le Nuovedizioni Enrico Vallecchi pubblicarono la raccolta di prose Ieri oggi e... non domani. Da Mondadori uscì in maggio il romanzo Il Doge. Nell’aprile del 1968 uscì da Mondadori la raccolta Cuor mio, in cui sono contenute le liriche composte a partire dal secondo dopoguerra. Nel 1969 fu l’anno del romanzo Stefanino (1969). Nel 1971 uscirono presso Mondadori il nuovo romanzo Storia di un’amicizia e l’antologia Poesie, a cura di Sergio Antonielli. A primavera ricevette dal sindaco di Roma il Premio della Simpatia, ideato dall’amico Domenico Pertica. Nel 1972 venne nominato membro onorario dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. A febbraio l’Assemblea generale dei Soci dell’Accademia pisana dell’Arte-Sodalizio dell’Ussero lo nominò socio onorario. Nel mese di giugno apparve su Il Giornale d’Italia un suo articolo intitolato La simpatia. Supervisionò inoltre alla produzione dello sceneggiato televisivo Sorelle Materassi, messo in onda dalla Rai sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l’opera dell’artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt’altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere. Lo stesso anno uscì nella collana Mondadori Lo Specchio la raccolta di poesie Via delle cento stelle, a proposito della quale Palazzeschi dichiarerà: Nel 1973 ricevette numerosi premi e riconoscimenti: il Perseo d’oro del C.O.F.A.T. 1973-1974, l’Ulivo d’oro per la poesia, la Grand Aigle d’or de la Ville de Nice al Festival International du Livre. In marzo il presidente Andreotti lo informò della nomina a componente della Commissione per il conferimento dei Premi della «Penna d’Oro» e del «Libro d’oro». Collaborò con Paolo Prestigiacomo al suo antico carteggio con Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato in seguito nel 1978. Un corteo di personaggi passa per la sua abitazione romana: riceve continuamente Prezzolini e sua moglie da Lugano e, da Venezia, il conte Cini e la contessa.; a Vittorio Cini l’autore si sarebbe ispirato per la figura del doge nel romanzo omonimo del 1967.Quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant’anni e le riviste Il Verri e Galleria gli dedicavano un numero monografico, lo scrittore, per gravi condizioni seguite a un ascesso dentario trascurato, morì all’ospedale Fatebenefratelli, il 17 agosto alle 11. Poetica Originalità della sua poesia Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto la sua individualità e una particolare fisionomia. Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi di languori eccessivi: se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.Analoghe considerazioni valgono per l’adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista Lacerba, nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso: «bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride [...] Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...». Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall’immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo. Sempre in tema di futurismo, si pensi all’originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente. Per quanto riguarda La passeggiata, questa poesia non è altro che l’enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l’io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l’esaltazione del movimento, né l’attivismo politico, ma principalmente la distruzione delle tradizionali strutture. Narrativa Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell’opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall’autore già nel 1911 con Il codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l’irrisione, di matrice nietzscheana, dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità. Anche nell’opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelle Stampe dell’Ottocento del 1932 e in Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico E lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione. Su posizioni più tradizionali, si pone dunque la produzione successiva alla fase futurista. È il periodo del cosiddetto “ritorno all’ordine”, che viene generalmente distinto in due fasi: la prima è quella degli anni Trenta, coincidente con il romanzo Sorelle Materassi e le novelle Il Palio dei buffi; la seconda si distende lungo gli anni Quaranta e Cinquanta ed è rappresentata dai romanzi I fratelli Cuccoli e Roma. Nella prima la tradizione letteraria è accettata, ma sono evidenti elementi del programmatico E lasciatemi divertire; nella seconda il canone tradizionale è perfettamente rispettato e la carica dissacrante è totalmente assente. Chiudono la stagione narrativa dell’autore tre romanzi brevi: Il doge (1967), Stefanino (1969) e Storia di un’amicizia (1971), che presentano, soprattutto i primi due, un recupero delle strutture sperimentali riconducibili alla stagione del futurismo. Palazzeschi si diletta nel mettere alla berlina il conformismo della massa, la quale tende costantemente ad erigere feticci e idoli. I bersagli del Doge e di Stefanino sono in definitiva la credulità e la stupidità della folla. Del resto Palazzeschi, negli anni di stesura del Doge e di Stefanino – come si evince dal carteggio con lo scrittore Moretti – andava sempre più nutrendo diffidenza nei confronti della piccola e media borghesia, responsabile della congerie politica venuta ad affermarsi in quel frangente storico. Il doge è da considerarsi– stando alle parole dell’autore– anche come una riflessione sul mistero dell’esistenza: Saggistica Nel 1920 pubblica Due imperi ...mancati un pamphlet polemico sulla Prima guerra mondiale, accolto paradossalmente in senso favorevole da interventisti della prima ora come Ardengo Soffici e Giovanni Papini. In Due imperi... mancati Palazzeschi, accanto alle pagine dedicate alla vita in caserma, muove contro quanti hanno causato il conflitto, contrapponendo loro il pacifismo di Romain Rolland e Karl Marx ma al contempo anela a una società, decisamente utopica, una sorta di età dell’oro, in cui ogni uomo possa vivere, senza guerre, in pace, del suo lavoro. In conclusione affida i caduti del conflitto alla Madonna, recuperando la preghiera alla Vergine del Canto XXXIII del Paradiso.Del 1945 è Tre imperi ...mancati, seguito ideale del saggio precedente e testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale, in cui Palazzeschi ripercorre gli anni del fascismo e del secondo conflitto mondiale; «un libro conservatore, avverso all’economicismo marxista e aneddotico», ma fortemente critico nei confronti della dittatura appena trascorsa. Coerenza delle sue opere Una delle qualità che si evidenziano nella produzione di Palazzeschi è la coerenza del suo lavoro e il legame che esiste tra un’opera e l’altra. Pertanto anche in queste opere non si cade mai nel sentimentalismo elegiaco perché spesso le pagine sono percorse da sprazzi di riso. Ed è appunto questo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Palazzeschi

Giovanni Giudici

Giovanni Giudici (Porto Venere, 26 giugno 1924 – La Spezia, 24 maggio 2011) è stato un poeta e giornalista italiano. Cresciuto nel borgo marinaro di Le Grazie vicino a Porto Venere, è stato un aderente alla linea della poesia anti-novecentesca. Biografia Figlio di Gino Giudici, impiegato presso vari enti privati, e Alberta Giuseppina Portunato, maestra elementare nella scuola dell’isola Palmaria e poi in quella delle Grazie, il poeta è il quartogenito e l’unico sopravvissuto di cinque figli tutti morti poco dopo la nascita o al momento del parto. Gli anni dell’infanzia e i primi studi Alle Grazie, dove il nonno paterno, discendente da una famiglia di piccoli possidenti di Casale Marittimo (Pisa), esercita la professione di farmacista, abitano anche i nonni materni e Giovanni trascorre i primi anni dell’infanzia nel paese natio tra la casa dei genitori e quella dei nonni ricevendo dalla madre una seria educazione cattolica. La morte della madre, avvenuta l’8 novembre 1927 per una eclampsia da parto, lascia in Giovanni una “voragine di privazione” che anziché colmarsi si allargherà col trascorrere degli anni. Nel 1928, il padre Gino si risposa con Clotilte Carpena, dalla quale avrà cinque figli, e nel 1929 si trasferisce a Cadimare aumentando così la sofferenza di Giovanni che deve allontanarsi dalle Grazie e dai nonni. A Cadimare egli frequenta presso un Istituto di suore l’asilo e, avendogli il padre fatto saltare una classe, la seconda elementare, ma verso la fine degli anni trenta il padre si trasferisce con i suoi familiari alla Spezia e sarà questo un altro periodo difficile per Giovanni che risentirà della ristrettezza economica della famiglia e dei ricatti sentimentali ai quali lo sottopongono, pur a fin di bene, i nonni paterni e i parenti della madre che lo vorrebbero in affido. Alle Grazie Giovanni riuscirà a tornare nel 1932 e a frequentare per due trimestri la quarta elementare fino a quando il padre Gino, impiegato presso l’Istituto ISTAT e in seguito al Ministero della guerra, si trasferisce, nel 1933, a Roma e, in attesa di un definitivo alloggio, colloca il figlio presso il Pontificio Collegio Pio X dove Giovanni rimane fino alla primavera del 1935 terminando la quinta elementare e la prima ginnasiale. Durante l’estate però gli è concesso di trascorrere le vacanze alla Grazie presso le famiglie dei nonni e della zia materna Angela. Gli studi superiori Nel 1935, quando la famiglia ottiene l’assegnazione di un appartamento dell’Istituto Case Popolari, il padre gli fa lasciare il collegio ed egli prosegue gli studi presso l’Istituto Quinto Orazio Flacco a Monte Sacro.Risalgono a questo periodo i primi tentativi poetici tra i quali rimane un sonetto, ispirato al monumento che si trova sul piazzale di Porta Pia, intitolato Il bersagliere. La famiglia intanto si trova sempre in gravi difficoltà economiche e Giovanni riceverà in dono i libri scolastici da alcune sue insegnanti tra le quali Letizia Falcone che diventerà in seguito nota ispanista e traduttrice di Cervantes e di Teresa di Lisieux. Scrive in questo periodo altri componimenti poetici, sempre in forma di sonetto, dedicati ad una compagna di scuola. Risalgono a questo periodo le sue numerose letture extrascolastiche che, non avendo i mezzi per comprarsi i libri, compie prendendoli in prestito preso la Biblioteca comunale. Nel 1939 si iscrive al Liceo classico statale Giulio Cesare presso la sezione staccata di Monte Sacro e al termine della seconda liceo, con la media di otto decimi, può affrontare direttamente l’esame di maturità e per pagarsi le lezioni di matematica dà, a sua volta, lezioni di greco e latino. L’università e i primi racconti Su insistenza del padre, nel 1941, si iscrive alla facoltà di Medicina ma è attirato da quella di Lettere dove si reca spesso ad ascoltare le lezioni. Proprio alla fine del 1941 risalgono i primi contatti con i militanti dell’antifascismo a Monte Sacro e in seguito, sempre più frequenti, quelli con i gruppi romani e del PCI. Nella primavera del 1942 decide di cambiare il corso di studi e si iscrive alla Facoltà di Lettere dove frequenta i corsi di famosi maestri come Giulio Bertoni di Filologia romanza, Alfredo Schiaffini di Storia delle Lingue, Gino Funaioli di Letteratura latina, Natalino Sapegno di Letteratura italiana, Antonino Pagliaro di Glottologia, Giuseppe Cardinali di Storia romana, Pietro Paolo Trompeo di lingua e letteratura francese, Gennaro Perrotta di letteratura greca. Si ampliano le sue conoscenze letterarie e le letture diventano più varie. Risale a questo periodo, come il poeta stesso ci racconta, le letture di Rilke e di Campana, la lettura assidua della rivista Primato di Bottai e stringe amicizia con un suo compagno di studi, Ottiero Ottieri. Risalgono al 1943 i suoi primi racconti e un gruppo di poesie che gli vengono però rifiutate. Legge una poesia di Sereni sul settimanale Tempo edito da Mondadori e, sempre sullo stesso settimanale qualche poesia di Ungaretti, Quasimodo, Penna e Gatto. Il periodo della guerra Nel periodo della guerra, per non essere richiamato al servizio militare, trova rifugio presso la casa di un amico dove rimane nascosto e dopo l’8 settembre partecipa, all’interno del quartiere dove abita, all’attività clandestina del Partito d’Azione e fonda, insieme ad un gruppo, il giornale “La nostra lotta”. Il 6 gennaio 1944 riesce ad entrare nella Guardia di Finanza della Città aperta di Roma dove presta servizio per sette mesi e il 4 giugno assiste alla presa di Roma da parte dell’esercito statunitense. Riprende intanto gli studi interrotti e per aiutare finanziariamente la famiglia dà lezioni private. Conosce in questo periodo il sacerdote Ernesto Buonaiuti che era stato privato dell’insegnamento universitario per non aver voluto giurare fedeltà al regime fascista che gli offre di lavorare per qualche tempo per lui scrivendo a macchina sotto dettatura. Risale al luglio del 1944 il racconto L’odore d’acetilene e verso la fine dell’anno trova lavoro come garzone di cucina presso la caserma della Royal Air Force inglese ma presto, dietro raccomandazione si inserisce al Ministero dell’interno e viene assegnato alla Questura di Roma dove lavora per un po’ di tempo all’ufficio stampa. Pubblica nel frattempo, sulla rivista "1945" diretta dal Buonaiuti, due articoli sul pensiero di Charles Péguy e riesce, con i primi guadagni, ad acquistare Il Canzoniere di Saba. Continua a cimentarsi con il racconto e scrive Il colore blu della morte, Uomini a gara oltre ad alcune poesie e il 1º agosto dibatte una tesi di laurea, con il relatore Pietro Paolo Trompeo, in Letteratura francese sul poeta francese Anatole France, anche se avrebbe desiderato lavorare su Charles Baudelaire, e prima della fine dell’anno entra a far parte del PSIUP come segretario del circolo giovanile di Monte Sacro. Gli anni del dopoguerra Nella primavera del 1946 riesce a trascorrere un periodo di vacanza a Monte Sacro che sente sempre di più essere il paese che maggiormente ama. Cresce in lui, oltre il bisogno di poesia, il desiderio di mettere ordine nella sua vita, come avere un lavoro stabile, una famiglia e una casa, ma la sua situazione economica non glielo permette ancora. Continua a svolgere attività politica nello PSIUP e comincia a compiere i primi viaggi a Milano e a Torino, dove fa diverse importanti conoscenze e sul numero speciale del 2 giugno di “Rivoluzione Socialista”, il supplemento settimanale dell’"Avanti!", esce la sua prima poesia edita dal titolo Compagno, qualche volta. L’attività di giornalista Inizia nel 1947 la sua attività di cronista presso il quotidiano "L’Umanità" di Roma, venendo assunto come giornalista professionista il 1º gennaio 1948, col ruolo di capocronista. Alla chiusura del giornale, il 31 luglio dello stesso anno, Giudici passa alla redazione de "L’Umanità" di Milano. Durante questo periodo conosce Mario Picchi con il quale stringe una salda amicizia. Nel dicembre del 1947 ha l’occasione di ascoltare Thomas Stearns Eliot che legge i suoi versi nell’aula magna del Collegio Romano, avvenimento che lo riempie di entusiasmo. Nel frattempo ottiene l’abilitazione all’insegnamento nella scuola media. Nel 1949, grazie ad Alberto Frattini che aveva conosciuto ai tempi dell’università, riesce a pubblicare due liriche (Là dove gli angeli cantano, Sola caduta a infrangere) e un articolo su Saba sulla rivista Accademia e il 14 settembre su Il cittadino. Settimanale dell’Italia socialista propone un’inchiesta che riguarda i viaggi all’estero degli italiani. Negli anni collabora con vari giornali di sinistra, come l’Espresso, l’Unità e Rinascita. Legge in questo periodo l’opera di Piero Jahier (Ragazzo), che conoscerà a Milano nel 1963, e ne rimane molto colpito. Gli si offrono intanto tre proposte di lavoro, l’insegnamento in una scuola media di Velletri, l’assunzione nella redazione di “Paese Sera” e un impiego presso gli uffici romani dell’USIS (United States Information Service) che dipendono dall’ambasciata statunitense. Egli sceglie quest’ultimo, anche perché meglio retribuito, ed inizia l’attività come redattore del bollettino quotidiano da inviare ai vari giornali. Opere * Fiorì d’improvviso, Roma, Edizioni del Canzoniere, 1953. * La stazione di Pisa e altre poesie, Urbino, Istituto Statale d’Arte, 1955. * L’intelligenza col nemico, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1957. * L’educazione cattolica (1962-1963), Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1963. * La vita in versi, Milano, Mondadori, 1965. * Autobiologia, Milano, Mondadori, 1969. * O Beatrice, Milano, Mondadori, 1972. * Poesie scelte (1957-1974), a cura di Fernando Bandini, Milano, Mondadori, 1975. * Il male dei creditori, Milano, Mondadori, 1977. * Il ristorante dei morti, Milano, Mondadori, 1981. * Lume dei tuoi misteri, Milano, Mondadori, 1984. * Salutz (1984-1986), Torino, Einaudi, 1986. * Prove del teatro, Torino, Einaudi, 1989. * Frau Doktor, Milano, Mondadori, 1989. * Fortezza, Torino, Milano, Mondadori, 1990. * Poesie (1953-1990), Milano, Garzanti, 1991 (2 voll.). * Quanto spera di campare Giovanni, Milano, Garzanti, 1993. * Un poeta del golfo, a cura di Carlo Di Alesio, Milano, Longanesi, 1995. * Empie stelle, Milano, Garzanti, 1996. * Eresia della Sera, Milano, Garzanti, 1999. * I versi della vita, a cura di Rodolfo Zucco, Milano, Mondadori, 2000 (I Meridiani). * Dedicato ai pompieri di New York da 'Poesia’, 2001. * Da una soglia infinita. Prove e poesie 1983-2002, Casette d’Ete, Grafiche Fioroni, 2004. * Prove di vita in versi. Il primo Giudici da 'Istmi. Tracce di vita letteraria’, 2012. * Tutte le poesie, introduzione di Maurizio Cucchi, Milano, Mondadori, 2014. Saggi * La letteratura verso Hiroshima e altri scritti (1959-1975), Roma, Editori Riuniti, 1976. * La dama non cercata. Poetica e letteratura (1968-1984), Milano, Mondadori, 1985. * Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia, Roma, Edizioni e/o, 1992. * Per forza e per amore, Milano, Garzanti, 1996. Traduzioni * Addio, proibito piangere e altri versi tradotti (1955-1980), Torino, Einaudi, 1982. * A una casa non sua. Nuovi versi tradotti (1955-1995), Milano, Mondadori, 1997. * Eugenio Onieghin di Aleksandr S. Puskin in versi italiani, Milano, Garzanti, 1999. * Vaga lingua strana. Dai versi tradotti, Milano, Garzanti, 2003. Altri progetti * Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni Giudici * Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giovanni Giudici Collegamenti esterni * Giovanni Giudici, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana. * Pagina dedicata a Giovanni Giudici da Scrittori in corso, su scrittorincorso.net. * Rodolfo Zucco, Itinerari di Spina, in Atti di INCONTROTESTO. Ciclo di incontri su e con scrittori del Novecento e contemporanei, Siena, ottobre-novembre 2011, Pisa, Pacini editore, 2011, pp. 77–83. Damiano Frasca, Vite ordinarie. Giudici e il crepuscolarismo, in Atti di INCONTROTESTO. Ciclo di incontri su e con scrittori del Novecento e contemporanei, Siena, ottobre-novembre 2011, Pisa, Pacini editore, 2011, pp. 85–91. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Giudici

Mario Luzi

Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005) è stato un poeta e scrittore italiano. In occasione del suo novantesimo compleanno fu nominato senatore a vita della Repubblica Italiana. Biografia Nato a Castello (Firenze), allora frazione di Sesto Fiorentino, da genitori originari di Semproniano nella zona del Monte Amiata in provincia di Grosseto, trascorre l’infanzia a Castello, frequentando qui i primi anni di scuola. Nel 1926, in seguito al trasferimento del padre a Rapalano Terme in provincia di Siena, si trasferisce a casa dello zio Alberto a Milano dove rimane per solo un anno; nel 1927 ritorna a Rapalano Terme dalla famiglia per poi, nel 1929, ritornare nella sua città natale e terminare a Firenze gli studi presso il liceo classico “Galileo”. Sempre a Firenze si laurea in letteratura francese con una tesi su François Mauriac. Sono anni, questi, importanti per l’esordio poetico del giovane Luzi, che a Firenze stringe amicizie con giovani impegnati nella cultura ermetica, come Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Carlo Bo, Leone Traverso e Cristina Campo, nonché l’importante e instancabile critico Oreste Macrì. Collabora alle riviste d’avanguardia come Il Frontespizio, Campo di Marte, Paragone e Letteratura. Esce nel 1935 la sua prima raccolta poetica La barca. Nel 1938 inizia l’insegnamento alle scuole superiori che lo porterà a Parma, a San Miniato e infine a Roma dove lavorerà alla Sovrintendenza bibliografica. Pubblica nel frattempo (1940) Avvento notturno. Nel 1945 ritorna a Firenze e in questa città insegna al liceo scientifico Leonardo da Vinci. Sono di questo periodo alcune importanti raccolte poetiche: nel 1946 Un brindisi e Quaderno gotico, nel n. 1 di Inventario, nel 1952 Onore del vero, Primizie del deserto e Studio su Mallarmé. Nel 1955 gli viene assegnata la cattedra di letteratura francese alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze. Nel 1963 pubblica Nel magma, nel 1965 Dal fondo delle campagne e nel 1971 Su fondamenti invisibili ai quali fa seguito Al fuoco della controversia nel 1978, Semiserie nel 1979, Reportage, un poemetto seguito dal Taccuino di viaggio in Cina nel 1985 e nello stesso anno Per il battesimo dei nostri frammenti. Nel 1978, per l’opera Al fuoco della controversia, gli è stato assegnato il Premio Viareggio. Il 1983 vede la pubblicazione de La cordigliera delle Ande e altri versi tradotti. È inoltre autore di importanti saggi e curatore di numerose antologie (tra cui L’idea simbolista). Fu anche un critico cinematografico nei primi anni '50: curò le recensioni di quasi 80 pellicole (tra le quali citiamo Roma ore 11 di Giuseppe De Santis e Signori, in carrozza! di Luigi Zampa) che nel 1997 furono raccolte in un libro.Conoscitore delle filosofie e religioni orientali e delle tecniche di meditazione. Il 14 ottobre 2004, in occasione del suo novantesimo compleanno è stato nominato senatore a vita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Muore a Firenze pochi mesi dopo, il 28 febbraio 2005. Ai funerali solenni il 2 marzo, ha partecipato lo stesso Carlo Azeglio Ciampi. Alla memoria di Luzi è stata posta una lapide nella basilica di Santa Croce di Firenze, tra le spoglie dei grandi della storia tra i quali Michelangelo Buonarroti, Vittorio Alfieri, Galileo Galilei e il cenotafio di Dante Alighieri. È sepolto nel cimitero di Castello (Firenze). La sua memoria è custodita dal poeta fiorentino Walter Rossi, amico e confidente di Luzi negli ultimi anni della sua vita. Formazione e poetica Mario Luzi occupa un posto particolare nella famiglia dei cosiddetti ermetici e, insieme a Piero Bigongiari e a Alessandro Parronchi, si può dire che costituisca il culmine dell’ermetismo fiorentino. La prima apparizione di Luzi avvenne alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze dove scelse l’affiatato circolo di quel momento composto da alunni e professori che si ritrovavano per parlare e discutere senza che si avvertisse la questione degli anni o della educazione. Un clima serio e sereno al quale il giovane e timido Luzi partecipava. Luzi viveva a quei tempi in famiglia ed era arrivato alla letteratura che aveva avuto partita vinta sulla sua prima scelta universitaria, la Facoltà di Legge. Il tema che domina nella poesia di Luzi è quello della celebrazione drammatica dell’autobiografia dove viene messo in risalto il drammatico conflitto tra un “Io” portato per le cose sublimi e le scene terrestri che gli vengono proposte. La prima fase Il primo momento della poesia di Luzi, quella più propriamente ermetica, va dagli esordi con La barca del 1935 fino, in modo approssimativo, a Quaderno gotico con al centro Avvento notturno. In questo periodo l’ideologia del poeta è improntata sul Cristianesimo rinforzata dal recente pensiero cristiano francese, mentre, sul piano letterario, prosegue la linea “orfica” appartenente alla lirica moderna che ha come archetipo Mallarmé e che retrocede fino a Coleridge e al suo visionario romanticismo, senza peraltro dimenticare, anzi recuperandola, la tradizione italiana più vicina, cioè quella di Arturo Onofri e di Dino Campana, e non estraneo alla lezione surrealista d’oltralpe di Paul Éluard. In questi termini Avvento notturno (1940) è un libro che, anche se apparentemente sembra riportarci con il suo tono al nostro decadentismo liberty di inizio secolo, contiene in verità, nella forza dei suoi endecasillabi, un forte strumento che evidenzia l’influenza dei surrealisti. Le immagini dei paesaggi lunari, delle città spettrali, dei marmi e delle pietre preziose, degli angeli lacrimanti e delle chimere che riempiono questi versi, niente o poco hanno realmente a che fare con le immagini liberty o con la mistica di Arturo Onofri, grazie all’uso di un lessico che, se pure impreziosito da suggestioni dannunziane, mantiene il nitore umanistico-toscano esaltandolo. La tensione massima dei versi risulterà nella raccolta Un brindisi (1946), ma già nelle liriche datate 1940-'44 (Quaderno gotico) si sente una più matura esperienza di letture europee, come quelle derivate da Rilke e da George, quest’ultimo, tradotto da Leone Traverso, caro amico di Luzi. La seconda fase Il secondo e centrale momento della poesia di Luzi comprende, grosso modo, le tre raccolte Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957), e Dal fondo delle campagne (1965) fino a Su fondamenti invisibili (1971) nelle quali il poeta raggiunge i suoi più alti risultati. La raccolta “Nel magma” (1963), inoltre, costituisce una tappa importantissima per l’intera poesia italiana, che si evolve verso una fase inclusiva, nella quale la realtà cittadina e del boom economico trovano definitivamente cittadinanza poetica. Oltre ad un rinnovamento di carattere tematico si assiste ad un rinnovamento anche formale e di impostazione strutturale: ad un discorso poetico in chiave monologica si sostituisce il modulo dialogico e conseguentemente si assiste ad un’intrusione sempre maggiore di strategie stilistiche tese alla mimesi del parlato. I dialoghi con l altro, molto spesso figure femminili indistinte e sovrapposte al doppio dell io lirico, costituiscono momenti di svolta, di autoprocesso e difesa dei valori fondativi della poesia, da Luzi strenuamente difesi contro un mondo (quello del dominio della città,del lavoro e della teleologia dell utile) che sembra non prevedere più spazi per la poesia e per il poeta. Quello che prima era soprattutto atteggiamento letterario, in questi componimenti diventa vera esperienza dell’esistenza e il verso, pur non perdendo nulla della sua sensualità, acquista in tristezza e inquietudine diventando un vero verso in movimento. Questa inquietudine si legge nella descrizione del paesaggio (un paesaggio aspro e tetro, perennemente corroso dal vento e visitato raramente da vuote comparse umane) e nella ricerca assillante di un collegamento tra essere e divenire, mutamento e identità, nella speranza incerta che possa essere lenita la penosa insensatezza del vivere. La terza fase L’ultima poesia di Luzi presenta una modifica di stile più prosastico e i contenuti si sono maggiormente aperti ai ricordi dell’adolescenza, alla descrizione di ambienti quotidiani vicino a quella di paesaggi esotici. Ed è proprio alla lettura di questa sua ultima poesia, dal Fuoco della controversia che ricevette il Premio Viareggio nel 1978 a Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), che si comprende che la storia del poeta ha attraversato una profonda opera di identificazione che, partita dai momenti iniziali di assoluta partecipazione alle forme dell’individualismo spirituale, è riuscita a creare un aggancio reale a quelli della prima e seconda maturità. Contemporaneamente alla 'produzione’ lirica si affianca anche la drammaturgia. Mario Luzi è anche autore di testi teatrali. Dal primo che è “Pietra Oscura” (1946) all’ultimo “Il fiore del dolore” (2003) corrono quasi sessant’anni di teatro. Tra questi estremi ci sono i drammi “Il libro di Ipazia”, “Rosales”, “Hystrio”, “Il Purgatorio la notte lava la mente”, tutti compresi nell’edizione Garzanti. A questi testi seguono “Ceneri e ardori” e "Felicità turbate" del 1995 e 1997, del 1999 sono “Opus Florentinum” e “La passione. Via Crucis al Colosseo” (1999). Mario Luzi ha sempre dimostrato una umiltà d’animo come pochi dando apertamente la sua disponibilità per interviste e dibattiti durante i quali ha sotteso ossequiosità al dialogo nonché apertura e confronto dialettico. Sono stati numerosi gli studenti ai quali ha concesso interviste durante gli ultimi anni della sua vita. Molti di questi studenti provenivano dalle più disparate zone d’Italia. Opere Poesia * La barca, Modena, Guanda, 1935. * Avvento notturno, Firenze, Vallecchi, 1940. * Biografia a Ebe, Firenze, Vallecchi, 1942. Prosa poetica * Un brindisi, Firenze, Sansoni, 1944. * Quaderno gotico, Firenze, Vallecchi, 1947. * Primizie del deserto, Milano, Schwarz, 1952. * Onore del vero, Venezia, Pozza, 1957. * Il giusto della vita, Milano, Garzanti, 1960. Tutte le poesie fino al 1960. * Nel magma, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1963; Milano, Garzanti, 1966. * Dal fondo delle campagne, Torino, Einaudi, 1965. * Su fondamenti invisibili, Milano, Rizzoli, 1971. * Al fuoco della controversia, Milano, Garzanti, 1978. * Semiserie, Salerno, Il Catalogo, 1979. * Reportage. Un poemetto; seguito dal Taccuino di viaggio in Cina. 1980, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1980. * La cordigliera delle Ande e altri versi tradotti, Torino, Einaudi, 1983. * Per il battesimo dei nostri frammenti, Milano, Garzanti, 1985. * Frasi e incisi di un canto salutare, Milano, Garzanti, 1990. ISBN 88-11-63473-3. * Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Milano, Garzanti, 1994. ISBN 88-11-63471-7 * Sotto specie umana, Milano, Garzanti, 1999. * Parlate, Novara, Interlinea, 2003. ISBN 88-8212-452-5. * Tempi, con immagini di Samuele Gabai, Como, Edizioni Lythos, 2003. * Dottrina dell’estremo principiante, Milano, Garzanti, 2004. ISBN 88-11-63044-4. * Lasciami, non trattenermi. Poesie ultime, Milano, Garzanti, 2009. ISBN 978-88-11-63212-2. * Poesie ultime e ritrovate, Milano, Garzanti, 2014. ISBN 978-88-11-81072-8. Teatro * Pietra Oscura, Porretta Terme, I quaderni del battello ebbro, 1994, seconda ed. 2004, scritto nel 1947. * Ipazia. Poemetto drammatico, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1972. * Libro di Ipazia, Milano, Rizzoli, 1978. * Rosales, Genova, Edizioni del Teatro di Genova, 1983. * Hystrio, Milano, Rizzoli, 1987. ISBN 88-17-79012-5. * Il purgatorio. La notte lava la mente. Drammaturgia di un’ascensione, Genova, Costa & Nolan, 1990. ISBN 88-7648-103-6. * Io, Paola, la commediante, Milano, Garzanti, 1992. ISBN 88-11-64016-4. * Teatro, Milano, Garzanti, 1993. ISBN 88-11-66986-3. * Felicità turbate, Milano, Garzanti, 1995. * Ceneri e ardori, Milano, Garzanti, 1997. ISBN 88-11-64032-6. * Opus Florentinum, Passigli, Firenze, 2000. * Il fiore del dolore, Edizioni della Meridiana, 2003. Saggi * L’Opium chrétien, Modena, Guanda, 1938. (su Mauriac) * Un’illusione platonica e altri saggi, Firenze, Edizioni di rivoluzione, 1941; Bologna, Boni, 1972. * L’inferno e il limbo, Firenze, Marzocco, 1949; Milano, Il saggiatore, 1964. * L’idea simbolista, Milano, Garzanti, 1959; 1976. * Lo stile di Constant, Milano, Il Saggiatore, 1962. * Tutto in questione, Firenze, Vallecchi, 1965. * Vicissitudine e forma, Milano, Rizzoli, 1974. * Discorso naturale, Siena, Messapo, 1980; Milano, Garzanti, 1984. * Dante e Leopardi, o Della modernità, Roma, Editori riuniti, 1992. ISBN 88-359-3637-3. * Naturalezza del Poeta. Saggi critici, Milano, Garzanti, 1995. ISBN 88-11-59850-8. * Prima semina. Articoli, saggi e studi, 1933-1946, Milano, Mursia, 1999. ISBN 88-425-2495-6. * Vero e verso. Scritti sui poeti e sulla letteratura, Milano, Garzanti, 2002. ISBN 88-11-59729-3. Altri testi * Spazio stelle voce. Il colore della poesia, Milano, Leonardo, 1992. ISBN 88-355-0190-3. * Sperdute nel buio. 77 critiche cinematografiche, testi raccolti e radunati da Annamaria Murdocca, Blu cobalto, 1995; Milano, Archinto, 1997. ISBN 88-7768-181-0. * Giustizia e politica tra prima e seconda Repubblica, con Rocco Buttiglione, interviste di Giorgio Tabanelli, Formello, SEAM, 1998. ISBN 88-8179-076-9. * Tra poesia e vita. Antologia poetica, a cura di Marco Zulberti, Trento, U.C.T., 2006. ISBN 88-86246-81-1. * Le nuove paure. Conversazione con Renzo Cassigoli, Antella, Passigli, 2003. ISBN 88-368-0804-2. * Il testimone discreto. Per Mario Luzi in occasione dei novant’anni, a cura di Riccardo Donati, con un intervento di Mario Luzi, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2004. ISBN 88-87048-69-X. * Mario Luzi: una voce dal bosco, a cura di Renzo Cassigoli, Roma, Nuova Iniziativa editoriale, 2005. * Mario Luzi. Seminario sul teatro, incontro con il poeta, a cura di Emiliano Ventura, Roma, Fondazione Mario Luzi, 2012. ISBN 978-88-6748-001-2. Traduzioni * William Shakespeare, Riccardo II, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966 [Teatro Stabile di Torino, 1965]. * Samuel Taylor Coleridge, Poesie e Prose, Milano, Mondadori, 1973. * Ostad Elahi, Pensieri di luce, Milano, Mondadori, 2000. Memoria * Le associazioni che preservano e diffondono le opere e la memoria del poeta fiorentino sono: Fondazione Mario LuziEnte che raccoglie le testimonianze e le donazioni di privati (carteggi, ecc.), che vanno a costituire un unico Fondo. Organizza dal 2011 il «Premio Internazionale Mario Luzi» (fondato nel 2005). L’ente provvede alla pubblicazione di testi luziani inediti e alla riedizione di lavori critici. * Nel 2015 il Fondo Luzi, dichiarato di interesse culturale nel 2011, è stato acquistato dalla Giunta della Regione Toscana e depositato all’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux. Centro Studi Mario Luzi “La Barca”[1]Il suo scopo raccogliere, custodire e divulgare oltre diecimila volumi di notevole valore, donati dal poeta al comune di Pienza, di cui era cittadino onorario. Fondato nel luglio 1999, prende il nome dall’opera d’esordio di Luzi. Il Centro studi “La Barca” raccoglie anche importanti manoscritti, lettere e carte private del Maestro, e rappresenta un insostituibile punto di riferimento per chiunque voglia accedere ad una parte del mondo finora sconosciuto del poeta nonché di molti altri scrittori e personalità della cultura novecentesca, non solo italiana, legati a Luzi da rapporti epistolari. * Il Centro studi è curato da un comitato scientifico, di cui fanno parte noti studiosi dell’opera luziana e da un comitato operativo. * Associazione Mendrisio Mario Luzi poesia del mondoIl sodalizio svizzero ha digitalizzato numerose opere del poeta, che sono fruibili gratuitamente online. AltroNel 2014 sono state tante le commemorazioni per celebrare il centenario della nascita del poeta. Tra queste, anche il Comune di Siena ha voluto ricordarlo dedicandogli il Palio del 16 agosto, dipinto dall’artista Ivan Dimitrov. Nel medesimo anno va ricordato il convegno, dedicato al poeta, che si è tenuto a Buonconvento, Mario Luzi 1914-2014 cui ha fatto da cornice la mostra fotografica di Daniele Sasson e Caterina Trombetti e le testimonianze di Carlo Fini, Luigi Oliveto, Marco Brogi e la stessa Caterina Trombetti. Va inoltre ricordato il documentario In Toscana. Un viaggio in versi con Mario Luzi di Marco Marchi con la regia di Bartoli e Silvia Folchi, promosso dalla Regione Toscana Nello stesso anno del Centenario (2014) si sono tenuti in varie parti d’Italia convegni e seminari dedicati alla figura e alla poesia di Mario Luzi.La rivista Poesia, mensile internazionale di cultura poetica, edita da Crocetti ha dedicato al poeta il numero 159 del marzo 2002 e il numero 187 dell’ottobre 2004. * La rivista Mosaico gli ha dedicato un numero monografico nel maggio del 2010, dal titolo “Mario Luzi e la voce della poesia”. Dal 2017, viene inoltre pubblicata “Luziana”, Rivista internazionale di studi su Mario Luzi e il suo tempo a cura di C. Carena, P. Baioni e S. Verdino, in collaborazione e con la partecipazione dell’Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo. * Strade intitolate a Mario Luzi sono a Firenze, Siena, Pisa. Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Luzi

Amelia Rosselli

Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma, 11 febbraio 1996) è stata una poetessa, organista ed etnomusicologa italiana che ha fatto parte della “generazione degli anni trenta”, insieme ad alcuni dei più conosciuti nomi della letteratura italiana. Biografia Amelia Rosselli nacque a Parigi, figlia dell’esule antifascista Carlo Rosselli, teorico del Socialismo Liberale, e di Marion Cave, nata in Inghilterra e attivista del partito laburista britannico. Nel 1940, dopo l’assassinio del padre e dello zio, ordinato da Mussolini e Ciano, ad opera delle milizie fasciste (cagoulards) in Francia (1937), esulò con la famiglia, esperienza che determinò il carattere apolide e insieme personalissimo della sua opera. Amelia Rosselli si trasferì dapprima in Svizzera e quindi negli Stati Uniti. Compì all’estero (senza regolarità) studi letterari, filosofici e musicali, ultimandoli in Inghilterra, poiché in Italia, dove era tornata nel 1946, non le poterono essere riconosciuti. Negli anni quaranta e cinquanta si occupò di teoria musicale, etnomusicologia e composizione, trasponendo le sue ricerche in alcuni saggi. Nel 1948 cominciò a lavorare come traduttrice dall’inglese per alcune case editrici di Firenze e Roma e per la Rai; nel frattempo continuò a dedicarsi a studi letterari e filosofici. In questi anni cominciò a frequentare gli ambienti letterari romani (tramite gli amici Carlo Levi e Rocco Scotellaro, conosciuto nel 1950) e gli artisti che avrebbero successivamente dato vita all’avanguardia del Gruppo 63. Negli anni sessanta si iscrisse al PCI e cominciò a pubblicare i suoi testi principalmente su riviste, attirando l’attenzione di Zanzotto, Raboni e Pasolini. Nel 1963 pubblicò su Il Menabò ventiquattro poesie. L’anno successivo uscì la sua prima raccolta di poesie, Variazioni belliche, edita da Garzanti, e nel 1969 la raccolta Serie ospedaliera, comprensiva del poemetto di difficile gestazione e inedito La Libellula. Nel 1966 iniziò a pubblicare numerose recensioni letterarie su giornali come Paese Sera e L’Unità. Nel 1981 uscì Impromptu, un lungo poema diviso in tredici sezioni, e nel 1983 Appunti sparsi e persi, scritti tra il 1966 e il 1977. Notevole anche la sua ricerca plurilinguistica in poesia (poesie e prose giovanili in francese e in inglese, la successiva raccolta in inglese Sleep). Alcune prose italiane, autobiografiche, di vari periodi, furono raccolte e pubblicate nel 1990, con il titolo Diario ottuso. La morte della madre (avvenuta nel 1949) e altre drammatiche vicende biografiche le causarono ricorrenti esaurimenti nervosi. Non accettò mai la diagnosi di schizofrenia paranoide che le venne fornita da cliniche svizzere e inglesi, ma parlò per lo più di lesioni al sistema extrapiramidale, connesse alla malattia di Parkinson, che le si manifestarono già a 39 anni. È rimasta una figura di scrittrice unica per il suo plurilinguismo e per il tentativo di fondere l’uso della lingua con l’universalismo della musica. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Roma, nella sua casa a via del Corallo, dove è morta suicida l’11 febbraio 1996 per cause connesse ad una grave depressione. La data del suicidio segna forse volontariamente un nesso indelebile con quella di Sylvia Plath, autrice che la Rosselli tradusse e amò, dedicandole anche diverse pagine critiche. Su Amelia Rosselli e la sua poesia Elogio del fuoco davanti alla bara di Amelia Rosselli, Roma, Casa della cultura, 16 febbraio 1996Il fuoco riscalda. A leggere la poesia di Amelia, la temperatura del nostro corpo si altera un po’. Talvolta si abbassa, più spesso si innalza. E non diversi effetti scaturivano dall’ascolto, dalla sua viva voce di straordinaria lettrice. […] La sua voce era un basso profondo, una musica che faceva lievitare la fondamentale tra le parole rese singole e compenetrate le une nelle altre. […] Mai un grido nella sua recitazione, eppure quanti soprassalti nelle sue poesie! Per lei hanno nominato Campana, Rimbaud. Ma nulla le era più estraneo dello sregolamento dei sensi, dello sfrenato abbandonarsi all’altra voce che urge quando la ragione tace. In lei parlano entrambe, la ragione della mente e quella che piove dall’Altrove, ma in una educata, civilissima convivenza che non dimenticheremo mai. Il fuoco illumina. La poesia di Amelia Rosselli è oscura eppure chiarissima. Certo, bisogna abituarvisi, come quando si entra da fuori in una stanza buia. All’inizio avanziamo cautamente, abbiamo paura di farci male, urtiamo negli spigoli, imprechiamo. Ma poi diventiamo come i gatti che vedono anche nelle tenebre. Come loro impariamo a sviluppare sensi normalmente inerti, latenti. La sua forma di conoscenza è la Pietà, un grande canzoniere d’amore, senza tracce di narcisismo. […] Il fuoco scotta. Con la Storia che le ha marchiato i suoi segni sul corpo, prima ancora che nella mente. Dietro la sua poesia-amore avanzano la persecuzione politica, l’assassinio, la tragedia del conflitto più violento di un secolo ormai alla fine. La sua lingua, dissennatamente poliglotta, ne è stata disarticolata, ma quanto dilatata! Con Amelia se ne va l’ultima vittima di un secolo divoratore dei suoi poeti. Un’epoca che ostenta indifferenza verso la poesia e che continua a nutrirsene avidamente, cannibalisticamente. Marina Cvetaeva diceva che con la poesia bisogna comportarsi come con le creature amate. Si sta con loro finché non sono loro a lasciarci. E chi resta da solo con il dolore e il lutto non dimenticherà la gioia della dedizione fino al sacrificio finale.(Biancamaria Frabotta, Elogio del fuoco, in Quartetto per masse e voce sola, Roma, Donzelli, 2009, pp. 65-67)

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana. Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi, come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico. Biografia L’infanzia e la giovinezza Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale di fanteria bolognese Carlo Alberto Pasolini e della maestra casarsese Susanna Colussi, nacque nella zona universitaria di Bologna il 5 marzo 1922 in una foresteria militare, in via Borgonuovo 4, dove ora c’è una targa in marmo che lo ricorda. A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che da Bologna si era già trasferita a Parma, nel 1923 si trasferì a Conegliano, e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guido Alberto. A Belluno viene mandato all’asilo dalle suore, ma dopo pochi giorni si rifiuta di andarci e la famiglia acconsente. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo prima di compiere i sei anni fu iscritto alla prima elementare. L’anno successivo traslocarono a Casarsa della Delizia, in Friuli, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ripresero i trasferimenti a un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa. Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa. Dopo un breve soggiorno a Idria nella Venezia Giulia (oggi in territorio sloveno), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. Venne bocciato in italiano, per poi superare la prova a ottobre. A Conegliano cominciò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 1932-1933 il padre fu trasferito a Cremona, dove la famiglia rimase fino al 1935 e Pier Paolo frequentò il Liceo Ginnasio Daniele Manin. Fu questo un triennio di intense fascinazioni e di un precoce ingresso nell’adolescenza, come testimonia il vibrante tratto autobiografico Operetta marina, scritto alcuni anni più tardi e pubblicato postumo assieme a Romàns. Successivamente il padre ebbe un nuovo trasferimento a Scandiano, con gli inevitabili problemi di adattamento per il tredicenne causati anche dal cambiamento di ginnasio a Reggio Emilia, che raggiungeva in treno.In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Completato il ginnasio a Reggio Emilia, frequentò il Liceo Galvani di Bologna, dove incontrò il primo vero amico della giovinezza, il reggiano Luciano Serra. A Bologna, dove avrebbe trascorso sette anni, Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati sotto il portico della Libreria Nanni, circa di fronte a Piazza Maggiore. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni.Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno. Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative insegnata al tempo dall’affermato critico d’arte Roberto Longhi. Frequentava intanto il Cineclub di Bologna dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu promosso capitano di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, perché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal Regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana. Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa, e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio: Il padre era stato richiamato in servizio ed era partito per l’Africa Orientale, dove verrà fatto prigioniero dagli Inglesi. I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale: La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Cominciarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano anche se le poesie inviate agli amici continuavano a essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana. Le prime esperienze letterarie Di ritorno da Casarsa all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati il 14 luglio 1942, a spese dell’autore, e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi. Nel luglio 1942 passò tre settimane in un campo di addestramento per allievi ufficiali presso Porretta Terme.A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolse all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto durante i giorni dell’otto settembre del 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli per poi rinunciarvi e passare a una tesi più motivata sulla poesia di Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di letteratura italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’Antologia della poesia pascoliana (introduzione e commenti) tra il 1944 e il 1945, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche della tesi, una personale selezione di testi provenienti dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. Il 26 novembre 1945, Pasolini si laureò in Lettere con 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Bologna, discutendo una tesi su Giovanni Pascoli ma solo nel 1993 l’Antologia vide la luce per la casa editrice Einaudi. La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche fronda culturale. Pasolini aderì insieme e ne diventò viceredattore, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile, Giovanni Falzone, che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo soli sei numeri ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista anche grazie all’incontro con Giovanna Bemporad a cui propose di tradurre per la rivista dove lei si firmava Giovanna Bembo per sfuggire alle leggi razziali.Nell’autunno del 1942 partecipò a un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo Cultura italiana e cultura europea a Weimar (gennaio 1943), che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul “Setaccio” tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo, e della sofferta sensibilità critica, un percorso che lo poneva già al di fuori del fascismo. Il periodo della guerra Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare: Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando: Alla vigilia dell’Armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Pisa il primo settembre 1943, una settimana dopo, l’8 settembre, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire dalla deportazione travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia (Cesare Bortotto, Riccardo Castellani, Ovidio Colussi, Federico De Rocco e il cugino Domenico Naldini) con i quali fondò l’Academiuta di lenga furlana che si proponeva di rivendicare l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio del 1944 con il titolo "Stroligùt di cà da l’aga" ("Lunario [pubblicato] di qua dall’acqua [il Tagliamento]"). Nel frattempo la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti di fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò e cominciavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto tenne lezioni private per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine.Nell’ottobre del 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di tre chilometri per raggiungere la loro sede scolastica a Casarsa che era stata bombardata. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. Pier Paolo visse il suo primo amore in quei momenti per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalc (Josipina Kalc), che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. La vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra.Il 7 febbraio del 1945, Guido, il fratello diciannovenne di Pier Paolo fu ucciso, insieme ad altri 16 partigiani della Brigata Osoppo, a Porzus, in Friuli, da una milizia di partigiani comunisti in quello che fu ricordato come l’Eccidio di Porzûs. Questa notizia fu data a Pasolini il 2 maggio 1945 dal suo amico partigiano Cesare Bortotto gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l’"Academiuta di lenga furlana" che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale: In agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, cominciò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati nel 1946 in un primo volumetto a spese dell’autore sulle “Edizioni dell’Academiuta”, e sulla rivista fiorentina Il Mondo, pubblicò due poesie tratte dalla raccolta e scelte dallo stesso Montale. Nello stesso anno aderì a Patrie tal Friul (l’associazione per l’autonomia del Friuli creata da Tiziano Tessitori, con sede a Udine) e dopo il ritorno del padre nell’autunno del 1945, prigioniero degli inglesi in Africa poi rimpatriato, in anticipo per il lutto ricevuto, dal Kenya. Il dopoguerra in Friuli e il primo processo Nel 1946 Pasolini lavorò a un romanzo autobiografico rimasto incompiuto intitolato dapprima Quaderni rossi perché scritti a mano su cinque quaderni scolastici dalla copertina rossa, poi Pagine involontarie e infine “Il romanzo di Narciso”. In queste pagine l’autore descrive per la prima volta le sue esperienze omosessuali. Scrive di queste pagine Nico Naldini: "Prima di allora Pier Paolo non aveva mai descritto, se non per simboli ed ellissi, il suo eros e il suo dolore. Lo ha fatto con una sincerità che direi “musicale” dove anche l’ombra di una falsità avrebbe stonato." Isolato a Versuta (la casa di Casarsa era stata danneggiata dai bombardamenti) Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga dove risiedeva la famiglia Mauri, e approfittando dell’occasione si recò a Domodossola per incontrare Contini. Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa Cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. Il 29 marzo 1947 vince a Venezia il premio Angelo (presieduto da Giuseppe Marchiori) per poesie in friulano e veneto. In ottobre Pasolini si recò a Roma dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria”. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti. Nel corso del 1947 si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa, di cui divenne segretario nel 1949. Il 26 gennaio del 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano "Libertà" di Udine: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, (...) una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad: Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo. Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però a ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Alla fine dell’anno ottenne l’incarico, per due anni 1947-1948 e 1948-1949, di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, il 7 gennaio 1948, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solo nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI partecipò nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace. Il 29 agosto del 1949 alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello Pasolini pagò tre minori per dei rapporti di masturbazione. La voce arrivò ai carabinieri della Stazione di Cordovado, competente per il territorio. La famiglia di Pasolini intervenne e l’avvocato Bruno Brusin convinse le famiglie dei ragazzi a non sporgere denuncia, offrendo 100 000 lire a testa alle famiglie per il danno subito. L’indagine proseguì, con l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minore (uno dei ragazzi era sotto i sedici anni). Il 28 dicembre venne stralciata l’accusa di corruzione di minori per mancanza di denuncia e il dibattimento si concentrò sul fatto che gli eventi non si svolsero in un luogo pubblico ma in un campo nascosto da siepe e da un boschetto d’acacie. La sentenza arrivò nel gennaio del 1950: Pier Paolo Pasolini, e i due ragazzi sopra i sedici anni vennero giudicati colpevoli di atti osceni in luogo pubblico e condannati a tre mesi di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali; la pena venne interamente condonata per effetto dell’indulto.. mentre i dirigenti del PCI di Udine, il 26 ottobre, decisero di espellerlo dal partito «per indegnità morale e politica». Fu anche sospeso dall’insegnamento, come previsto in simili casi. A questo punto aveva ormai maturato la consapevolezza di essere una sorta di “poeta maledetto". Gli anni cinquanta a Roma Pasolini nel gennaio del 1950 si rifugiò con la sola madre, che dovette prendere servizio come cameriera, a Roma. I primi tempi a Roma furono difficili, a piazza Costaguti dove viveva in una stanza in affitto, per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Grazie all’intervento del poeta dialettale abruzzese Vittorio Clemente, Pasolini ottenne un lavoro come insegnante in una scuola privata a Ciampino. Sempre per cercare di sbarcare il lunario, si iscrisse al sindacato comparse di Cinecittà, e si offrì come correttore di bozze presso un giornale; riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva cominciato in Friuli: Atti impuri, Amado mio, La meglio gioventù. Comincia a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, che saranno in seguito riprese in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, che diventò l’amico inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel '51 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo aiuterà ad apprendere il gergo e il dialetto romanesco costituendo, come scriverà lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente riuscì a ottenere un posto di insegnante presso una scuola media di Ciampino, dove insegnò dal 1951 al 1953, cosa che gli permise di far smettere la madre di lavorare e di affittare una casa in via Tagliere – nella borgata Rebibbia – dove li raggiunse il padre. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di Ragazzi di vita, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. Partecipò al premio di poesia dialettale Cattolica (nella giuria anche Eduardo De Filippo) vincendo il secondo premio (50.000 lire) con Il testamento di Coran (ora compreso ne La meglio Gioventù). Riuscirà a vincere un premio anche i due anni successivi, (premio Sette Stelle di Sinalunga e Le Quattro arti di Napoli).In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre del '52 con una recensione di Eugenio Montale. Nel 1953 prese a lavorare a un’antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo presentò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo. Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, presso l’editore Sansoni, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci ex aequo con Paolo Volponi, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta.Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto "per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila". Risale al marzo del 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume. Il lavoro con il cinema gli permette di lasciare l’insegnamento e trasferirsi nell’aprile del 1954 in un appartamento in via Fonteiana. Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio del 1954 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera “Le ceneri di Gramsci”. Il romanzo Ragazzi di vita Tra il 1955 e il 1960 Pasolini, iniziando con il successo di Ragazzi di vita, assunse un ruolo centrale nel panorama della cultura italiana. Il 13 aprile del 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità. Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il “Premio letterario Mario Colombi Guidotti”. Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la segnalazione della presidenza del consiglio dei ministri, rappresentata da Antonio Segni, di “carattere pornografico” del libro.Il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà Officina (maggio 1955-giugno 1959), rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile Eredi. Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi (con il coinvolgimento dell’amico bolognese Gianni Scalia), procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente.Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura del film di Luis Trenker Il prigioniero della montagna. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura cominciano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini: Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Carlo Salinari e Antonello Trombadori che scrivevano sul Contemporaneo. A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze di Pietro Bianchi e Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi "perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati" e non contenente oscenità perché "i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà", e di Giuseppe Ungaretti, che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni. Pasolini si dichiarava razionalmente ateo e anticlericale ma «...io so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io con i miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono nel mio patrimonio, nel contenuto e nello stile.». Cineasta e letterato Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Fellini alle Notti di Cabiria. Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale “Il Punto” (la prima recensione sarà per “La Bufera” di Montale) e assistette i nuovi giovani scrittori di “Officina”, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo '63. Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri. Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in Ungheria), il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta.Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori. Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”.Nel settembre 1958, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a “Una vita violenta”, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, “La notte brava”, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti”. Il 19 dicembre 1958 muore suo padre, Carlo Alberto: l’evento coincide con una crisi del rapporto di Pasolini con la comunità degli intellettuali, sancito dalla traumatica fine della rivista Officina e un conseguente impegno di Pasolini nel cinema con una riduzione della sua produzione letteraria. Il romanzo Una vita violenta Nel dicembre del 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo del 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega. Apprezzato e stimato comunque da un consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani. Il lavoro di sceneggiatore gli permette di cambiare appartamento, nel giugno 1959, da via Fonteiana a via Giacinto Carini, dove abitava anche Bernardo Bertolucci.Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Il sindaco democristiano di Cutro querelò Pasolini per diffamazione a mezzo stampa a causa della descrizione del suo paese nel servizio, cinque giorni dopo la consegna del Premio Crotone, città governata allora dal partito comunista, la querela venne archiviata. Tradusse l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo. L’Azione cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia "per oscenità" alla magistratura per “Una vita violenta”, denuncia che verrà però subito archiviata. Nell’anno 1960 Pasolini cominciò a collaborare a “Vie nuove”, a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, e raccolse i versi de La religione del mio tempo. Gli anni sessanta Nel 1960 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile. Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India. A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”. Dal 4 giugno 1960 fino al 30 settembre 1965 tenne, su invito di Antonello Trombadori, una rubrica Dialogo con i lettori sul popolare settimanale comunista “Vie Nuove”.In quello stesso anno si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del '43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio con un soggetto dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone. Pasolini provò a proporre il soggetto alla casa di produzione dell’amico Fellini, la Federiz. Fellini gli chiese di girare due intere scene di prova, ma il girato non piacque alla produzione che lo rifiutò. L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini (a cui si associò Cino del Duca), al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio e aiuto regista Bernardo Bertolucci al suo primo film. le riprese del film 'Accattone furono ultimate nel luglio del 1961, il film non ottenne il visto della censura per la proiezione nelle sale italiane, ma verrà lo stesso presentato, il 31 agosto 1961 al Festival di Venezia, fuori concorso. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson. Dopo la tempestosa accoglienza alla Mostra di Venezia Accattone divenne il primo film italiano a ottenere il divieto ai minori di anni 18. La prima del film a Roma, al cinema Barberini, il 23 novembre 1961, vide l’irruzione di un gruppo di neofascisti che interruppero la proiezione, aggredendo gli spettatori e vandalizzando la sala. Nell’autunno del 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962, annoverando fra gli interpreti Anna Magnani. Denunce e processi Nel corso della sua vita Pasolini ricevette 24 denunce e/o querele. Il 30 del giugno 1960 Pasolini venne convocato in commissariato per ricevere una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente.Il 22 novembre 1961 la polizia perquisì, senza risultato, il suo appartamento in cerca di una pistola con cui Pasolini avrebbe rapinato, il 18 sera, un distributore di benzina di San Felice Circeo. Il 30 novembre Il Tempo uscì a tutta pagina con un articolo Denunciato per tentata rapina Pier Paolo Pasolini con una foto di scena che lo ritraeva con un mitra in mano. Il processo che ne seguì si svolse il 3 luglio a Latina e condannò Pasolini per minaccia con arma. Il romanzo Il sogno di una cosa Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 31 agosto 1962 ottenendo un grande successo e una denuncia per oscenità poi archiviata. Alla prima di Mamma Roma, il 22 settembre 1962, al cinema Le quattro fontane di Roma, viene aggredito da un gruppo di neofascisti e interviene la polizia. Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, al film a episodi Ro.Go.Pa.G. insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio, girato nell’autunno del 1962, su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il primo marzo del 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Il processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno. Come scriverà Alberto Moravia su l’Espresso: Nel marzo del 1963 acquistò una casa in via Eufrate, all’EUR, dove si trasferì con la madre, in maggio. Quasi contemporaneamente a La Ricotta, Pasolini gira la prima parte del film, formato dal montaggio di pezzi di cinegiornali commentati da testi di Pasolini, La rabbia (1963), la seconda è per la regia di Giovannino Guareschi. Pasolini, visionato il film, ritirò la firma e cercò di impedirne la distribuzione ritenendosi vittima di una manovra del produttore Gastone Ferrante. il film, uscito in poche sale nell’aprile 1963, ebbe scarso successo e fu ritirato quasi subito.Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio cominciò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo. Insieme al biblista Andrea Carraro e una troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi. Dopo averlo cercato nel poeta Evtusenko, trovò per caso, poco prima delle riprese, uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta.Contemporaneamente alla preparazione dei film, tra marzo e novembre 1963, Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Cominciò a scrivere La Divina Mimesis tentativo incompiuto di rifacimento critico della Divina Commedia di Dante, il rifacimento in romanesco del Miles gloriosus di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il Menabò e la Notizia su Amelia Rosselli. Nel maggio del 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile cominciarono le riprese de Il Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera è stata girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali. Il film, presentato il 4 settembre 1964 a Venezia e poi diffuso in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes. Nel mese di ottobre del 1965 cominciarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown. I titoli di testa e di coda del film sono cantati da Domenico Modugno.Nel novembre del 1965 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia. In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala, partirà per un viaggio in Nordafrica. Già sofferente di ulcera, nel marzo del 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto per quasi un mese. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa, nella convalescenza scriverà l’impianto delle sei tragedie che compongono la sua opera teatrale: Calderón, Pilade, Affabulazione, Porcile, Orgia e Bestia di Stile. Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero. Per l’estate del 1966 si comprò una Maserati 3500 GT di seconda mano, con cui trascorse le vacanze estive in Carnia con la madre Susanna.Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse. Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre a elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón. Nell’ottobre del 1966 si recò a New York per la presentazione di Uccellacci uccellini a un festival cinematografico. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg. All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un episodio del film Le streghe, dal titolo La Terra vista dalla Luna con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli. Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese dell’episodio Che cosa sono le nuvole? del film Capriccio all’italiana, ancora con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno. In aprile ebbero inizio le riprese dell’Edipo re nei deserti rossi del Marocco del sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna. Il film, che verrà presentato alla Mostra di Venezia nel settembre 1967, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone. Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico. Il 26 ottobre dello stesso anno intervistò nella sua casa veneziana il poeta Ezra Pound, allora di 83 anni, per conto della Rai. I due discussero della Neoavanguardia italiana e dell’arte, quindi Pasolini lesse alcuni versi dalla traduzione italiana dei Canti pisani. Il Sessantotto Nel marzo del 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film, girato nella primavera dello stesso anno, che verrà presentato alla Mostra di Venezia il 4 settembre, alla critica, e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “Premio OCIC” (Office Catholique International du Cinèma, organizzazione cattolica che si occupa di cinema). Gli autori, tra cui Pasolini, Francesco Maselli e Cesare Zavattini, contestarono la Mostra del Cinema evidenziando come fosse una rassegna di produttori e non di autori e occuparono la Sala Volpi, solo l’intervento della polizia, il 26 agosto, permise la ripresa del festival. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: A chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste (In ogni immagine, in ogni scena si sente il turbamento di un artista). Il 13 settembre la Procura di Roma ordinò il sequestro del film per oscenità. In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, Pasolini scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! che, destinata alla rivista Nuovi Argomenti uscì senza preavviso su L’espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia. Autore di canzoni A partire dagli anni sessanta Pier Paolo Pasolini fu anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore. Le prime canzoni furono scritte su musiche di Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni, e vennero incise da Laura Betti nel 1961, si tratta di Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione. Il valzer della toppa venne in seguito reincisa da Gabriella Ferri, che la inserì nel 1973 nel suo album Sempre, mentre Cristo al Mandrione fu reinterpretata da Grazia De Marchi e, nel 1997, dalla Ferri nel suo album Ritorno al futuro. Nel 1963 collaborò con Sergio Endrigo, per cui preparò un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano. Nel 1967 collaborò con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole: La canzone è poi stata reinterpretata nel 1996 da gianCarlo Onorato nell’album Il Velluto Interiore, nel 1997 dagli Avion Travel nell’album Vivo di canzoni, nel 2006 da Stefano Bollani nell’album I visionari e nel 2007 da Paolo Benvegnù. Modugno aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando i titoli di testa e coda del film Uccellacci e uccellini, che il regista aveva scritto in forma letteraria su musica di Ennio Morricone. Nel 1968 collaborò con il gruppo di rock psichedelico Chetro & Co., per cui scrisse il testo della canzone Danze della sera (suite in modo psichedelico), adattandolo da una sua poesia intitolata Notturno. Fine anni sessanta, tra teatro e cinema Nell’estate 1968 Pasolini girò La sequenza del fiore di carta con Ninetto Davoli tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”. Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano. Il 27 novembre 1968 rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, nel novembre del 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile. Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra. Dopo Porcile, che l’autore ritenne "il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente", realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa. La Callas e Pasolini strinsero un fortissimo legame di amicizia. Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda, Tanzania e Tanganica per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana. Gli anni settanta In questi anni l’opera di Pasolini si allontanò ulteriormente dalle forme della cultura tradizionale per aumentare le occasioni di espressione su vari giornali e riviste. Nell’autunno del 1970, acquistò la Torre di Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, dove fece costruire un appartamento-rifugio per due. Il sito era stato scoperto da Pasolini nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo. Scrisse una recensione molto critica su Nuovi Argomenti a “Satura” di Montale, che gli rispose in versi nella Lettera a Malvolio e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar accolta da lettori e critici distratti. All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni militanti di “Lotta Continua” sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato” per un supplemento sulle forze armate di Lotta Continua, Proletari in divisa. La Trilogia della vita Durante l’estate del 1970 scrisse la sceneggiatura di dieci novelle tratte, tra quelle tragico-comiche, dal Decameron che ambienterà nel mondo napoletano. Il Decameron voleva essere il primo del trittico che Pasolini “dedicava alla vita”. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte, i veri successi di pubblico di Pasolini. Nel settembre dello stesso anno cominciò a girare a Casertavecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Si accinse poi a scrivere la sceneggiatura dei Racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, “Il Decameron” ottenne l’Orso d’Argento e più di 30 denunce in tutta italia. Nove settimane, dal settembre al novembre 1971, furono impegnate per le riprese nel Regno Unito di “Canterbury”. Nel 1972 cominciò durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto, in Giordania, in Guinea, in India e in Ghana.I Racconti di Canterbury vinse l’Orso d’oro al festival di Berlino, ma venne stroncato dalla critica internazionale e ripetutamente sequestrato in Italia. Nel 1973 cominciarono nel frattempo le riprese del Fiore delle mille e una notte a Isfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana’a, che voleva essere un appello all’Unesco perché salvaguardasse l’antica città yemenita.Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974, vincendo il Grand Prix Spécial du Jury, al Festival di Cannes, e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore. Le sceneggiature della Trilogia della vita vennero pubblicate nel 1975 con alcune pagine di introduzione titolate Abiura dalla Trilogia della vita dove prese le distanze dalle sue opere precedenti Il romanzo Petrolio e gli scritti tra il 1972 e il 1975 Nel 1972, accolto da indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare, rifugiandosi nella torre Chia, al romanzo Petrolio, pubblicato postumo nel 1992, del quale, in tre anni, aveva compilato più di 500 pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo: “forse per il resto della mia vita”. Nel 1973 interruppe i rapporti con l’editore Garzanti e accettò le offerte di Giulio Einaudi. Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Orgia e Affabulazione.Alla fine del 1973 lo scrittore aveva già in mente il progetto, di cui rimangono solo qualche decina di pagine, per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-Teo-Kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo. Il progetto venne rinviato. Durante l’estate del 1974 scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile. Nel maggio 1975 vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò, che fu presentato, dopo la sua morte, il 22 novembre del 1975 al festival di Parigi. A ottobre consegnò a Einaudi La Divina Mimesis. Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma.Pasolini scrisse quindi quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico. Si tratta del testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15º Congresso del Partito Radicale: Gli Scritti corsari A novembre del 1972 cominciò a collaborare con il settimanale Tempo occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni. All’inizio del 1973 passò al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone e da Gaspare Barbiellini Amidei, e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò un’ininterrotta serie di interventi riguardo l’ambito politico, il costume, il comportamento pubblico e privato: questi articoli saranno raccolti nel volume Scritti corsari. In seguito al referendum sul divorzio, pubblicò il 10 giugno 1974, sul Corriere, l’articolo Gli italiani non sono più quelli che scatenò dure polemiche con Maurizio Ferrara e Italo Calvino.Pasolini dedicò all’operato politico dei Radicali una certa attenzione. Pur mantenendo inalterata la sua posizione contraria non tanto alla legalizzazione dell’aborto in sé, quanto al conformismo che, riguardo a questa tematica, si traduceva in quello che lui definisce “fanatico abortismo”, anche se "in una situazione pratica avrebbe scelto il male minore cioè l’aborto". Divorzio e aborto erano invece propugnati con forza proprio dal PR, tra il 1974 e il 1975 scrisse alcuni pezzi, sul Corriere della Sera e su altri quotidiani, dedicati alle battaglie radicali e agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famoso articolo Il fascismo degli antifascisti (uscito sul Corriere del 16 luglio 1974). Il 14 novembre del 1974, pubblicò sul Corriere della Sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana.Il 19 gennaio del 1975 uscì sul Corriere della Sera il suo articolo “Sono contro l’aborto”, che suscitò altre polemiche. Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane, tra cui l’ultimo suo scritto pubblicato in vita, il 30 ottobre 1975. Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per i quotidiani Corriere della Sera, Tempo illustrato, Il Mondo, Nuova generazione e Paese Sera, tra il 1973 e il 1975, e che comprendeva una sezione di documenti allegati, redatti da vari autori e alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974. In una lettera del 3 ottobre 1975 indirizzata a Gianni Scalia, Pasolini comprendeva l’urgenza di mettere in termini di economia politica quello che Pasolini scriveva sul Corriere e chiedeva al suo amico di aiutarlo in questa fatica. Questo progetto era rimasto naturalmente solo sulla carta. Il film Salò o le 120 giornate di Sodoma Interessato al progetto del film tratto da Sade si mise a studiare intensamente il kantiano “male radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi (precedentemente definiti “una terra ancora non colonizzata dal potere”). Ai primi di febbraio del 1975 terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio e a metà dello stesso mese cominciarono nel mantovano le riprese di Salò o le centoventi giornate di Sodoma, ultimo film scritto e diretto da Pasolini, che verrà presentato al pubblico quando l’autore sarà già morto da tre settimane. Il 12 settembre 2015, in occasione del 72º festival di Venezia, il film verrà premiato nella categoria classici come miglior film restaurato. La morte Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa; sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell’omicidio fu incolpato Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, già noto alla polizia come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato la notte stessa alla guida dell’auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di Piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura (un’Alfa Romeo 2000 GT Veloce) dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore, nella trattoria Biondo Tevere nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane venne minacciato con un bastone del quale poi si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi Pelosi salì a bordo dell’auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d’Appello, pur confermando la condanna dell’unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio. Controversie e altre ipotesi Due settimane dopo il delitto apparve un’inchiesta su L’Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista di quel giornale ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni e alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane tuttavia, dopo un’iniziale collaborazione avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio ("volevamo rubargli il portafoglio). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell’Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori– indizio della presenza di ben più di due persone sul posto– e invocazioni disperate di aiuto da parte del Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota al Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità. Nella sua biografia su Pasolini Enzo Siciliano sostiene che il racconto dell’imputato presentava delle falle perché il bastone di legno– in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l’abitazione di una delle baracche– a lui sembrava marcita per l’umidità e troppo deteriorata per costituire l’arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l’impossibilità, per un giovane minuto come il Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti. Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un’inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un’intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent’anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva, ha affermato di non essere l’esecutore materiale del delitto di Pier Paolo Pasolini, e ha dichiarato che l’omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su un’autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento “calabrese o siciliano” e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli " jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata Catania di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia ma di sentirsi adesso libero di parlare, dopo la morte dei genitori. A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo. Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della sera, chiedendogli la riapertura del caso sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, “anni cui si facevano stragi e si ordivano trame”. Nel 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che i proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l’identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s’era presentato la sera del delitto come alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all’indietro, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1.60 m., tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell’epoca. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini che però sono state definitivamente archiviate all’inizio del 2015. Le nuove indagini non hanno portato infatti a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di Dna sui vestiti dello scrittore. Tracce però di impossibile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti. Sostenitori della sentenza Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent’anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l’immagine edulcorata del personaggio che porta a farne “un santo e un martire”. Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell’uomo e dell’opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell’opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all’autodistruzione.Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto “bufale che si inseguono e che si divorano l’un l’altra”, e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato", nel suo libro “Breve vita di Pasolini”, scrive che l’attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (era alto 1,69 m e pesava 59 kg.) che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte autore del suo stesso destino. La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico. Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand’era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, “per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt’altra… a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi”.Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. L’amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte». Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l’italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un’immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio. Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che "i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche".Un altro cronista che non ha mai creduto alla tesi del complotto neofascista è Massimo Fini: nel 2015, in occasione dei quarant’anni dell’omicidio, ricordò che quella teoria fu innescata da Oriana Fallaci (sua collega all’Europeo) dopo aver sfogliato alcune riviste dal parrucchiere e aver raccolto dei boatos in quel senso, e che successivamente fu ripresa dai grossi intellettuali (tra cui Umberto Eco e Alberto Moravia), poiché negli anni settanta «attribuire ogni nefandezza ai fascisti era uno sport nazionale, tanto più facile perché [...] i fascisti erano scomparsi, e tutti, dal sociologo paraculo del Corriere della Sera, al Corriere stesso, ai democristiani, a chi scriveva manuali di cucina, ma, beninteso, sempre in “ottica rivoluzionaria”, all’ultima cocotte erano diventati di sinistra» e poiché non volevano accettare che Pasolini fosse morto «cercando di infilare un bastone nel culo al diciassettenne Pino la rana». Fini aggiunse che Pasolini era solito recarsi in zone periferiche e malfamate, come il quartiere Pigneto, per incontrare i «ragazzi di vita» e comportarsi in maniera sadica con loro dal momento che quella era la sua zona d’ombra, e all’idroscalo Lido di Roma incontrò un ragazzo che si ribellò a una certa richiesta. A prescindere dai fatti e dalle responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che la sua morte è stata paragonata a quella di Caravaggio: Archivi personali Presso la Cineteca di Bologna si trova l’archivio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini donato nel 2004 da Laura Betti. Il Gabinetto Vieusseux di Firenze ha un suo consistente fondo comprendente circa 39 anni di epistolario, manoscritti e dattiloscritti delle sue opere, foto personali e foto di scena, rassegna stampa sulle sue attività, opuscoli, locandine ecc. Una raccolta di manoscritti del periodo friulano, tra cui Quaderni rossi (1946-1947) e i Manifesti politici (1949) e una fitta corrispondenza epistolare con gli amici e i parenti sono depositati al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia Opere * Per l’importanza della sua poesia il critico statunitense Harold Bloom ha inserito Pasolini tra gli scrittori che compongono il Canone Occidentale. Poesia * Poesie a Casarsa, Libreria Antiquaria Mario Landi, Bologna, 1942. * Poesie, Stamperia Primon, San Vito al Tagliamento, 1945. * Diarii, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1945; ristampa anastatica 1979, con premessa di Nico Naldini. * I pianti, Pubblicazioni dell’Academiuta, Casarsa, 1946. * Dov’è la mia patria, con 13 disegni di G. Zigaina, Edizioni dell’Academiuta, Casarsa, 1949. * Tal còur di un frut, Edizioni di Lingua Friulana, Tricesimo, 1953; nuova edizione a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine, 1974. * Dal diario (1945-47), Sciascia, Caltanissetta, 1954; nuova edizione, 1979, con introduzione di L. Sciascia, illustrazioni di Giuseppe Mazzullo. * La meglio gioventù, Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze, 1954. * Il canto popolare, Edizioni della Meridiana, Milano, 1954. * Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 1957; nuova edizione Einaudi, Torino, 1981, con un saggio critico di Walter Siti). * L’usignolo della Chiesa Cattolica, Longanesi, Milano, 1958; nuova edizione, Einaudi, Torino, 1976. * Roma 1950. Diario, All’insegna del pesce d’oro (Scheiwiller), Milano, 1960. * Sonetto primaverile (1953), Scheiwiller, Milano, 1960. * La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1961; nuova edizione Einaudi, Torino, 1982. * Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano, 1964. * Poesie dimenticate, a cura di Luigi Ciceri, Società filologica Friulana, Udine, 1965. * Poesie [riunisce una scelta d’autore di 24 poesie da Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa]; Garzanti, Milano, 1970. * Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano, 1971. * La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi, Torino, 1975; Collana Gli struzzi n.243, Einaudi, 1981; Collezione di poesia, Einaudi, 2002. * Le poesie [riunisce Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar e alcune inedite], Garzanti, Milano, 1975. * Poesie e pagine ritrovate, a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini, con disegni di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina, Lato Side 25, Roma, 1980. Bestemmia. Tutte le poesie, 2 voll., a cura di Graziella Chiarcossi e Walter Siti, prefazione di Giovanni Giudici, Garzanti, Milano, 1993, ISBN 978-88-116-3584-0; nuova edizione nella Collana Gli elefanti Poesia, 4 voll., Garzanti, 1995-1996. Poesie scelte, a cura di Nico Naldini e Francesco Zambon, con un’introduzione di F. Zambon, Collana Poeti del nostro tempo, TEA, Milano 1997; Collana Poeti della Fenice, Guanda, Parma, 2015, ISBN 978-88-235-1253-5; Collana Tascabili poesia, Guanda, 2017, ISBN 978-88-235-1747-9. * Tutte le poesie, 2 voll. in cofanetto, a cura e con uno scritto di Walter Siti, saggio introduttivo di Fernando Bandini, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2003. Traduzioni poetiche Dal latino Dall’Eneide, in Umberto Todini, Virgilio e Plauto, Pasolini e Zanzotto. Inediti e manoscritti d’autore tra antico e moderno, in Lezioni su Pasolini, a cura di Tullio De Mauro e Francesco Ferri, Sestante, Ascoli Piceno 1997, p. 56. Dal francese * Roger Allard, Storia di Yvonne, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 82–87. * Jean Pellerin, La romanza del ritorno, in Poesia straniera del Novecento, a cura di A. Bertolucci, Garzanti, Milano 1958, pp. 88–93. * André Frénaud, Esortazione ai poveri, in «L’Europa letteraria», dicembre 1960. In friulano * Niccolò Tommaseo, A la so Pissula Patria, «Il Stroligut», n. 1, avost 1945, p. 19. * Giuseppe Ungaretti, Luna, «Il Stroligut», n. 2, avril 1946, p. 19. Dal greco al friulano * Tre frammenti di Saffo, in Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 243–244. Narrativa * Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 1955 (nuova ed.: Einaudi, Torino 1979, con un’appendice contenente Il metodo di lavoro e I parlanti). * Una vita violenta, Garzanti, Milano 1959 (nuova edizione: Einaudi, Torino 1979). * Donne di Roma. Sette storie di P.P.Pasolini, Introduzione di Alberto Moravia, 104 fotografie di Sam Waagenaar, Collana Specchio del mondo n.8, Milano, Il Saggiatore, 1960. * L’odore dell’India, Longanesi, Milano 1962; Nuova ed., Guanda, Parma 1990, con un’intervista di Renzo Paris ad Alberto Moravia. * Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano 1962. * Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1965. * Teorema, Garzanti, Milano 1968. * La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1975; Nuova ed. con una nota introduttiva di Walter Siti, Einaudi, 1993. * Amado mio preceduto da Atti impuri, con uno scritto di A. Bertolucci, edizione a cura di Concetta D’Angeli, Garzanti, Milano 1982. * Petrolio, a cura di Maria Careri e Graziella Chiarcossi, con una nota filologica di Aurelio Roncaglia, Einaudi, Torino 1992; a cura di Silvia De Laude, Collana Oscar, Mondadori, Milano, 2005. * Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1993 [oltre a racconti, contiene saggi di argomento friulano] * Romàns, seguito da Un articolo per il «Progresso» e Operetta marina, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1994. * Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (1950-1966), a cura di Walter Siti, Einaudi, Torino 1995. * Romanzi e racconti, 2 voll., a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due saggi di W. Siti, Mondadori, Milano 1998. Sceneggiature e testi per il cinema * La notte brava, in Filmcritica, novembre-dicembre 1959. * Accattone, prefazione di Carlo Levi, FM, Roma 1961; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, introduzione di Ugo Casiraghi, Garzanti, Milano 1993, pp. 23–236. * Mamma Roma, Rizzoli, Milano 1962; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 239–401. * Il Vangelo secondo Matteo, a cura di Giacomo Gambetti, Garzanti, Milano 1964; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, introduzione di Morando Morandini, Garzanti, Milano 1991, pp. 7–300. * La commare secca, in «Filmcritica», ottobre 1965. * Uccellacci e uccellini, Garzanti, Milano 1966. * Edipo re, Garzanti, Milano 1967, poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 313–454. * Che cosa sono le nuvole?, in Cinema e Film, 1969. * Porcile (soggetto del primo episodio, titolo originario Orgia), in «ABC», 10 gennaio 1969. * Appunti per un poema sul Terzo Mondo (soggetto), in Pier Paolo Pasolini. Corpi e luoghi, a cura di Michele Mancini e Giuseppe Perrella, Theorema, Roma 1981, pp. 35–44. * Ostia, un film di Sergio Citti, sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini, Garzanti, Milano 1970; poi in Accattone, Mamma Roma, Ostia, cit., pp. 405–566. * Medea, Garzanti, Milano 1970; poi in Il Vangelo, Edipo, Medea, cit., pp. 475–605. * Storie scellerate, un film di Sergio Citti, soggetto e sceneggiatura di S. Citti e Pier Paolo Pasolini 1973. * Il padre selvaggio (racconto-sceneggiatura scritto nel 1963 per un film mai realizzato), Collana Nuovi Coralli n.114, Einaudi, Torino, I ed. 1975. Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, il Fiore delle Mille e una notte), a cura di Giorgio Gattei, Cappelli, Bologna 1975; nuove edizioni Oscar Mondadori, Milano 1987, e Garzanti, Milano 1995, con introduzione di Gianni Canova. * San Paolo, Collana Supercoralli. Nuova serie, Einaudi, Torino, 1977, ISBN 978-88-060-9878-0; Prefazione di Enzo Bianchi, Collana Elefanti bestseller, Garzanti, Milano, 2017, ISBN 978-88-116-7277-7. * Appunti per un’Orestiade africana, a cura di Antonio Costa, Quaderni del Centro Culturale di Copparo, Copparo (Ferrara) 1983. * Ignoti alla città (commento), in Pier Paolo Pasolini, Il cinema in forma di poesia, a cura di Luciano De Giusti, Cinemazero, Pordenone 1979, pp. 117–18. * La canta delle marane (commento), ibid., pp. 119–20. * Comizi d’amore (scaletta preparatoria), ibid., pp. 123–27. * Storia indiana (soggetto), ibid., pp. 134–35. * Le mura di Sana’a (commento), in «Epoca», 27 marzo 1988. * Porno-Teo-Kolossal, in «Cinecritica», aprile-giugno 1989. * Sant’Infame, ivi. * La Terra vista dalla Luna, sceneggiatura a fumetti, presentazione di Serafino Murri, in «MicroMega», ottobre-novembre 1995. La Nebbiosa, in «Filmcritica», 459/460, novembre-dicembre 1995; edizione integrale secondo le sequenza della prima stesura, a cura di Graziella Chiarcossi, prefazione di Alberto Piccinini, nota al testo di Maria D’Agostini, Biblioteca delle Silerchie, Il Saggiatore, Milano, 2013. * Per il cinema, 2 voll. in cofanetto, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, con due scritti di B. Bertolucci e Mario Martone, saggio introduttivo di Vincenzo Cerami, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 2001. Teatro * Italie Magique, in Potentissima signora, canzoni e dialoghi scritti per Laura Betti, Longanesi, Milano 1965, pp. 187–203. * Pilade, in «Nuovi Argomenti», luglio-dicembre 1967. * Affabulazione, in «Nuovi Argomenti», luglio-settembre 1969. * Calderón, Garzanti, Milano 1973. * I Turcs tal Friùl (I Turchi in Friuli), a cura di Luigi Ciceri, Forum Julii, Udine 1976 (nuova edizione a cura di Andreina Nicoloso Ciceri, Società filologica friulana, Udine 1995). * Affabulazione-Pilade, presentazione di Attilio Bertolucci, Garzanti, Milano 1977. * Porcile, Orgia, Bestia da stile, con una nota di Aurelio Roncaglia, Garzanti, Milano 1979. * Teatro (Calderón, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile), prefazione di Guido Davico Bonino, Garzanti, Milano 1988. * Affabulazione, con una nota di Guido Davico Bonino, Einaudi, Torino 1992. * La sua gloria (dramma in 3 atti e 4 quadri, 1938), in «Rendiconti», 40, marzo 1996, pp. 43–70. * Teatro, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey, Mondadori, Milano 2001. * Bestia da stile, a cura di Pasquale Voza, Editrice Palomar, Bari 2005. Traduzioni teatrali Eschilo, Orestiade, a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico per le rappresentazioni classiche nel teatro greco di Siracusa, Urbino 1960; poi Quaderni del Teatro popolare italiano n.2, Einaudi, Torino 1960; con una Lettera del traduttore, Collana Scrittori tradotti da scrittori, Einaudi, 1985. * Plauto, Il vantone, Garzanti, Milano 1963; Prefazione di Umberto Todini, Garzanti, 1994. Saggi * “Paolo Weiss” testo di Pasolini, con 34 tavole del pittore, Edizioni della Piccola Galleria Roma 1946 * Passione e ideologia (1948-1958), Garzanti, Milano 1960 (nuove edizioni Einaudi, Torino 1985, con un saggio introduttivo di C. Segre, e Garzanti, Milano 1994, con prefazione di A. Asor Rosa). * “I parlanti” (1948) estratto da “Botteghe Oscure”, Roma 1951, ripubblicato in appendice all’edizione Einaudi di “Ragazzi di vita”, 1979 * “Donne di Roma” con introduzione di Alberto Moravia, Milano, Il Saggiatore, 1960 * Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972. * Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli). * Volgar’eloquio, a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, Napoli, 1976 * Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976; con un’introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003. Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Collana Gli struzzi n.194, Einaudi, Torino, I ed. 1979; prefazione di Giampaolo Dossena, Garzanti, Milano, 1996; introduzione di Paolo Mauri, Collana Saggi, Garzanti, 2006. [raccoglie le recensioni letterarie apparse sul settimanale «Tempo» tra il 26 novembre 1972 e il 24 gennaio 1975] * Il Portico della Morte, a cura di Cesare Segre, «Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini», Garzanti Milano 1988. * Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, saggio introduttivo di M. A. Bazzocchi ed Ezio Raimondi, Einaudi, Torino 1993. * I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, Parma 1996. * Poesia dialettale del Novecento, a cura di Mario dell’Arco e Pier Paolo Pasolini, introduzione di Pasolini, Guanda, Parma 1952 (nuova edizione Einaudi, Torino 1995, con prefazione di Giovanni Tesio). * Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda, Parma 1955 (nuova edizione Garzanti, Milano 1972 e 1992). Pier Paolo Pasolini e il setaccio 1942-1943, a cura di Mario Ricci, Cappelli, Bologna 1977, con scritti di Roberto Roversi e Gianni Scalia (contiene i seguenti saggi pasoliniani: «Umori» di Bartolini; Cultura italiana e cultura europea a Weimar; I giovani, l’attesa; Noterelle per una polemica; Mostre e città; Per una morale pura in Ungaretti; Ragionamento sul dolore civile; Fuoco lento.Collezioni letterarie; Filologia e morale; Personalità di Gentilini; «Dino» e «Biografia ad Ebe»; Ultimo discorso sugli intellettuali; Commento a un’antologia di «lirici nuovi»; Giustificazione per De Angelis; Commento allo scritto del Bresson; Una mostra a Udine). * Tutti gli articoli di Pasolini per «Il Setaccio» sono leggibili sul sito della Biblioteca comunale dell’Archiginasio * Nota sull’odierna poesia, «Gioventù italiana del Littorio. Bollettino del Comando federale di Bologna», aprile 1942, p. 6. Stroligut di cà da l’aga (1944)– Il Stroligut (1945-1946)– Quaderno romanzo (1947), riproduzione anastatica delle riviste dell’Academiuta friulana, a cura del Circolo filologico linguistico padovano, Padova, 1983 (contiene i seguenti saggi pasoliniani: Dialet, lenga e stil; Academiuta di Lenga Furlana; Alcune regole empiriche d’ortografia; Volontà poetica ed evoluzione della lingua). * Saggi sulla letteratura e sull’arte, 2 voll., in cofanetto, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Cesare Segre, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 1999. * Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Piergiorgio Bellocchio, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano 1999. * I giovani e l’attesa. Tre scritti giovanili (1942-43), Ogni uomo è tutti gli uomini, 2015, ISBN 978-88-96691-93-9. * Il mio cinema, Collana Il cinema ritrovato, Cineteca di Bologna, 2015, ISBN 978-88-99196-13-4. Dialoghi con i lettori Le belle bandiere. Dialoghi 1960-65, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David n.19, Roma, Editori Riuniti, 1977. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Vie Nuove» tra il 4 giugno e il 30 settembre 1965] Il caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Collana I David, Roma, Editori Riuniti, dicembre 1979. [contiene una scelta dei dialoghi apparsi sul settimanale «Tempo», dal 6 agosto 1968 al 24 gennaio 1970]; Collana Saggi, Garzanti, Milano, 2015, ISBN 978-88-11-68501-2; Prefazione di Roberto Saviano, collana Gli elefanti. Saggi, Garzanti, 2017, ISBN 978-65-11-67298-1. * I dialoghi, a cura di Giovanni Falaschi, prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana I Grandi, Roma, Editori Riuniti, 1992, ISBN 978-88-359-3638-1. [comprende tutti i dialoghi apparsi su «Vie Nuove» e su «Tempo»] Epistolari * Lettere agli amici (1941-1945), Collana Biblioteca della Fenice n.3, Parma, Guanda, 1976. * Lettere 1940-1954, Con una cronologia della vita e delle opere, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa n.2, Torino, Einaudi, 1986, ISBN 978-88-06-59331-5. * Lettere 1955-1975, a cura di Nico Naldini, Collana Biblioteca dell’Orsa, Torino, Einaudi, 1988, ISBN 978-88-06-59953-9. * Vita attraverso le lettere, A cura di Nico Naldini, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 1994, ISBN 978-88-06-13580-5. Interviste Il sogno del centauro, A cura di Jean Duflot. Prefazione di Gian Carlo Ferretti, Collana Universale scienze sociali, Roma, Editori Riuniti, 1983. (lunga intervista concessa in due tempi– 1969 e 1975– apparsa dapprima in francese– nel 1970 e nel 1981– col titolo Les dernières paroles d’un impie); Collana I libelli, Editori Riuniti, II ed. 1993, ISBN 978-88-35-83789-0. * Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday, traduzione di C. Salmaggi, Collana Biblioteca della Fenice, Parma, Guanda, 1992, ISBN 978-88-7746-622-8. * Interviste corsare sulla politica e sulla vita 1955-1975, A cura di Michele Gulinucci, Roma, Liberal Atlantide editoriale, 1995. * Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti (a cura di), L’ultima intervista di Pasolini, Collezione Le Coccinelle, Avagliano Editore, 2005, ISBN 978-88-8309-186-5. * Povera Italia. Interviste e interventi, 1949-1975, A cura di Angela Molteni, Kaos Edizioni, 2013, ISBN 978-88-7953-253-2. * Polemica Politica Potere, conversazioni con Gideon Bachmann, A cura di Riccardo Costantini, Collana Reverse, Milano, Chiarelettere, 2015, ISBN 978-88-6190-789-8. Programmi radiofonici * Paesaggi e scrittori: il Friuli, a cura di Pier Paolo Pasolini, sabato 17 agosto 1956, RAI programma nazionale. Filmografia * Accattone (1961) * Mamma Roma (1962) * La ricotta, episodio di Ro.Go.Pa.G. (1963) * La rabbia (1963) co-regia con Giovannino Guareschi * Comizi d’amore (1964) * Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1964) * Il Vangelo secondo Matteo (1964) * Uccellacci e uccellini (1966) * La Terra vista dalla Luna, episodio di Le streghe (1967) * Edipo re (1967) * Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana (1968) * Appunti per un film sull’India (1968) * Teorema (1968) * La sequenza del fiore di carta, episodio di Amore e rabbia (1969) * Porcile (1969) * Medea (1969) * Appunti per un’Orestiade africana (1970) * Il Decameron (1971) * Le mura di Sana’a (1971) * I racconti di Canterbury (1972) * Il fiore delle Mille e una notte (1974) * Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) Discografia Album * 1995: Meditazione Orale (BMG Ricordi, 74321-27043-2) * 1997: Pasolini / Kresnik / Schwertsik– Gastmahl Der Liebe (Volksbühne Recordings) * 2005: Pasolini Rilegge Pasolini (Archinto) * 2006: Pier Paolo Pasolini, Giovanna Marini– Le Ceneri di Gramsci (Block Nota, I Dischi Di Angelica, CD BN 608) Singoli * 1962 Poesia In Forma Di Rosa (7") (RCA Italiana, 17 CL-12) Canzoni scritte da Pier Paolo Pasolini Premi e riconoscimenti cinematografici * Festival di Cannes 1958 al miglior soggetto originale per Giovani mariti di Mauro Bolognini * Nastro d’Argento 1960 al miglior soggetto originale per La notte brava di Mauro Bolognini * Primo premio per la regia al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary 1962 per Accattone * Mostra internazionale di Venezia– 1964: Leone d’argento– Gran premio della giuria e premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento al miglior regista 1965 per Il vangelo secondo Matteo * Nastro d’Argento 1967 al miglior soggetto originale per Uccellacci e uccellini * Mostra internazionale di Venezia– 1968 premio O.C.I.C. (Office Chatolique International du Cinéma) per Teorema * Premio “Amelia” 1969 per la cinematografia * Kinema Junpo Awards 1970: Miglior film straniero per Edipo re * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’argento 1971 per Il Decameron * Festival internazionale del cinema di Berlino: Orso d’oro 1972 per I racconti di Canterbury * Festival di Cannes 1974: Grand Prix Speciale della Giuria per Il fiore delle Mille e una notte * Festival di Venezia 2015: Miglior film restaurato per Salò o le 120 giornate di Sodoma Riferimenti Wikipedia – https://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Paolo_Pasolini




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